Gianni Porta (Rifondazione): tra assoluzioni, trionfalismi e silenzi
Commento alla sentenza sulla vicenda del nuovo porto commerciale
La recente assoluzione del senatore Azzollini ha rinnovato la discussione pubblica sulla realizzazione del nuovo porto commerciale, rinverdendo al contrario – rispetto a questi ultimi anni – i fasti del dibattito sul rapporto magistratura- politica-istituzioni. Dopo l’assoluzione – giunta tra l’altro dopo la riduzione delle richieste da parte dell’accusa – ci sono stati commentatori che hanno ribadito la vecchia linea “berlusconiana” del “dagli addosso ai giudici” e del resto viste le gesta poco nobili di alcuni protagonisti degli ultimi anni operanti presso la locale Procura di Trani, gli elementi di disappunto non mancano. Tuttavia la risposta migliore rispetto a queste vecchie posizioni anti-magistratura, che a partire da un caso specifico intendono ledere l’autonomia di un potere dello Stato, giunge proprio dalla scelta di Antonio Azzollini: a differenza di tanti prima di lui (Berlusconi in primis) e dopo di lui (Salvini di recente), il senatore ed ex sindaco si è difeso nel processo e non dal processo. E nel processo è stato assolto. Ciò premesso doverosamente, rimane il punto dolente del “sequestro” per sei lunghi anni dell’attività istituzionale relativa alla realizzazione del nuovo porto. Ci sono stati commentatori che hanno intravisto in tutto quanto accaduto la mano di “nemici” della città di Molfetta e non si capisce in base a quali elementi. Rimane però il fatto oggettivo di una comunità rimasta ostaggio per tanto tempo di una vicenda giudiziaria. Ma la cosa peggiore dal nostro punto di vista – come altre volte abbiamo ribadito – è che l’intera comunità cittadina, politica, istituzionale ed economica non ha utilizzato questo periodo per riflettere sull’utilità dell’opera, su come completarla, su come finalizzarla e asservirla agli interessi diffusi del territorio. Sin dall’inizio e anche durante questi lunghi anni di indagini e processo una parte consistente della città ha pensato al porto come un’opera di per sè positiva e che una volta realizzata avrebbe apportato benefici a prescindere. Eppure stiamo parlando di un’opera progettata e costruita senza una banale analisi di mercato che indicasse i possibili competitor o le tipologie di traffico merci che avrebbe potuto intercettare. Un’opera progettata e costruita in un luogo dove anche le pietre sapevano che c’erano pericolosi ordigni bellici. Un’opera progettata e costruita perseguendo un’idea di sviluppo ormai superata dal tempo e dai fatti, per cui la grande opera crea di per sé sviluppo e occupazione. Ebbene, di tutti questi aspetti che non attengono alle vicende giudiziarie ma agli aspetti di sostenibilità economica ed ecologica della “grande opera” non si è parlato prima dell’approvazione del progetto né con l’avvio del cantiere né tanto meno con il sequestro del cantiere e l’avvio del calvario giudiziario. Solo una parte di città – tra cui noi – hanno provato a porre domande, costruire scenari, invocare studi e approfondimenti sull’utilizzo di risorse pubbliche nella costruzione di questa opera. Una grande opera ideata e voluta, paradossalmente, da chi di giorno criminalizzava la spesa pubblica, appoggiando e votando, tagli ai trasferimenti agli enti locali e allo stato sociale, di notte rastrellava soldi pubblici approfittando della propria posizione di potere. Evidentemente, i soldi pubblici sono buoni quando servono ad accrescere il proprio consenso, quando invece, servono a finanziare scuola, sanità ed enti locali diventano spese improduttive, alimentando sprechi e inefficienze. Ebbene oggi possiamo riconoscere di essere stati parte di una consistente minoranza cittadina che in questi anni sulla vicenda porto – e non solo – non si è mai affidata alle vicende processuali e giudiziarie per fare lotta politica. Abbiamo provato a misurarci sulle conoscenze utili a progettare una portualità economicamente ed ecologicamente sostenibile piuttosto che a portare il conto delle bombe chimiche o meno. Abbiamo evitato semplificazioni inutili, inservibili e specularmente legate l’una all’altra (“Il nuovo porto è una cosa magnifica a prescindere/ No alle grandi opere”) anche nella contrapposizione, provando invece ad affrontare pubblicamente temi, numeri, dati complessi e difficili. E’ stato questo atteggiamento che ci consente, dopo aver preso atto della sentenza giudiziaria - di non avere sul nuovo porto commerciale il trionfalismo del centrodestra molfettese, sia di quello al governo con Minervini, Tammacco, Caputo sia di quello all’opposizione con Azzollini e De Bari e di continuare a fare battaglia politica per ridurre il danno e consentire che questo investimento pubblico produca risultati socialmente distribuiti. Ad altri che si sono affidati al “gazzettino” della Procura per produrre posizioni politiche lasciamo il silenzio in cui oggi sono, disarmati poiché in questa come in altre vicende spesso si sono affidati erroneamente e subalternamente all’iniziativa giudiziaria cosa che la politica, e soprattutto la sinistra, non dovrebbero mai fare. Infatti, questa sentenza dimostra ancora una volta che le destre si battono non nelle aule di tribunale, ma con la politica e nella politica, proponendo alternative politiche e sociali.
Gianni Porta Consigliere comunale
Rifondazione Comunista/Compagni di Strada