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Gaetano Salvemini e Edoardo Germano fra gli emigrati in America (1927)
15 settembre 2014

Fuoruscito dall’Italia sotto il regime fascista, Gaetano Salvemini dimorava a Londra quando con R. D. del 30 settembre 1926 fu privato della cittadinanza italiana. Nello stesso tempo gli scrisse dall’America l’emigrato molfettese Giuseppe Ramieri (o Ranieri, n.1894), falegname, che aveva costituito con altri concittadini un circolo antifascista ad Hoboken (New Jersey), dove era rientrato nel mese di agosto dopo essere stato nei mesi precedenti a Molfetta, presso la sua famiglia (v. sua scheda biografica, in Mariolina Pansini, “La colonia dei molfettesi di Hoboken”, in Emigrati politici pugliesi, Edizioni dal Sud, Bari 2010, p. 264 – 265). Nel rispondere al Ramieri il 7 novembre 1926, Salvemini lo ringraziava dei “saluti degli amici di Molfetta residenti ad Hoboken, promettendogli di recarsi colà in visita, ove contava di recarsi dopo Natale e di tenervi una conferenza per rimanere poi negli Stati Uniti per un giro di propaganda antifascista per sei mesi” (v. scheda biografica di Salvemini, in Pansini, p. 192). L’8 gennaio 1927 Salvemini giunse a New York, dove nei giorni successivi tenne una conferenza il 22 (ricordata nelle sue “Memorie di un fuoruscito”) e un’altra il 24, di cui diede notizia “La Gazzetta di Puglia” (=GP), del 27 gennaio 1927, con i disordini avvenuti tra sovversivi e fascisti (I fasti del fuoruscitismo. Vigliacca aggressione a New York durante la conferenza di Salvemini) e un commento della Segreteria Generale dei Fasci italiani all’estero sui ferimenti avvenuti dopo la conferenza, nel numero del 2 febbraio (L’attività dei fasci all’estero). Alla fine di febbraio, nel recarsi in Canada per tenere una conferenza a Montreal, Salvemini scrisse una lettera da Chestnut Hill a Camillo Berneri, esule in Francia, datata 29 febbraio (sic.) (v. Archivio Gaetano Salvemini. Inventario della corrispondenza, p. 510), per dare la sua adesione a una manifestazione organizzata dall’anarchico italiano per la revisione del processo di Sacco e Vanzetti, che fu pubblicata su “Il Nuovo Mondo” di New York del mese di marzo (Per Sacco e Vanzetti) (v. Archivio Gaetano Salvemini. Manoscritti e materiali di lavoro, p. 670). In favore degli stessi condannati manifestò l’emigrato molfettese ad Hoboken Damiano Caputo di Sergio (n. 1897) il quale, come attore di una compagnia teatrale, prese parte un paio di volte a cantare sul palcoscenico per opera di beneficienza a pro Sacco e Vanzetti, prima che andassero a morte, nel mese di agosto, per salvarli dalla sedia elettrica (Pansini, p. 215 e 217). Il 17 aprile Salvemini fu ad Hoboken, dove a un banchetto di 1500 persone organizzato in suo onore (v. Pansini, p, 192) parlò contro il fascismo, seguìto sullo stesso tema da tre altri noti fuorusciti italiani, i quali esaltarono la sua figura morale: Vincenzo Vacirca (1886 – 1956), ex deputato socialista in esilio in America, dove collaborava al “Nuovo Mondo”, sul quale il 22 e 23 aprile pubblicò un’intervista – conversazione avuta con Salvemini sulle “accoglienze” ricevute dagli agenti fascisti negli Stati Uniti (v. M. Cantarella, Bibliografia salveminiana, p. 166); Carlo Tresca (1879-1943), anarchico, direttore – proprietario del giornale “Il Martello” di New York, che pubblicò il resoconto del dibattito di Salvemini su L’Italia sotto il fascismo, tenuto nella conferenza del 22 gennaio (ora in Appendice a G. Salvemini, Dai ricordi di un fuoruscito, Bollati Boringhieri, 2002); Raffaele Rossetti (1881 – 1951) la medaglia d’oro al valor militare che esule in Inghilterra ospitò Salvemini prima di partire per l’America (v. L. Sturzo – G. Salvemini, Carteggio (1925 – 1957), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009, p. 11). Al banchetto parteciparono anche parecchi emigrati molfettesi di Hoboken, tra i quali, oltre allo stesso Ramieri, vi fu Salvatore Sallustio di Sabino (n. 1906), marinaio, emigrato da Molfetta all’età di 14 anni (Pansini, p. 268-269). Comunista, egli era sorvegliato dalle autorità fasciste con una scheda biografica alla quale risulta allegato un elenco di altri 29 elementi molfettesi trovatisi al banchetto del 17 aprile (v. i nominativi con le relative schede, in Pansini), e il dattiloscritto di un volantino, a firma “Gli antifascisti di Hoboken”, che fu largamente distribuito nel 1927 presso la comunità molfettese, il cui testo diceva: “Concittadini! Sotto il manto umanitario fra qualche giorno un emissario del Brigante di Roma si presenterà alla colonia Molfettesi e in veste d’agnello per ciurlare la buona fede di chi ha dovuto sotto la sferza della disoccupazione e della fame emigrare per guadagnare il pane duro per sé e per i suoi. La colonia di molfettesi di Hoboken, composta quasi tutta da autentici lavoratori, non può senza rancore e senza sdegno dare il benvenuto ad un seguace del Fascismo disonoratore tiranno e schiavizzatore della classe lavoratrice italiana. Concittadini, in guardia. Sappiate redarguire con lo sprezzo e l’indifferenza chi noi accusiamo complice della persecuzione del nostro veramente amato illustre concittadino Gaetano Salvemini che sebbene profugo e proscritto, difende tuttora con animo fiero i nostri diritti conculcati. “Abbasso il Fascismo e il suo rappresentante” dev’esse il grido che ogni libero e cosciente lavoratore urlerà sul gruppo dei suoi sicari. Gli antifascisti di Hoboken”. *** In quel tempo, un “seguace del Fascismo” che giunse in America tra gli emigrati molfettesi fu il medico concittadino prof. Edoardo Germano (1865-1947), impegnato nella lotta antitubercolare, in un viaggio iniziato nel 1926, quando “con l’assentimento della Direzione Generale di Sanità mi unii – egli scrive nel maggio 1930 in Un viaggio in America, (in A. Mastrorilli, Ricordo del Prof. Edoardo Germano, p. 130) – alla Rappresentanza Italiana per il (5°) Congresso Internazionale a Washington, per la lotta contro la tubercolosi”. Dopo il congresso, che si tenne dal 30 settembre al 2 ottobre, “mi fermai poi – egli continua – nello Stato di New York e New Jersey per circa nove mesi a mie spese, allo scopo di propagandare il pericolo della tubercolosi ai miei comprovinciali e lo stato della lotta in Italia. Le molte società da me visitate mi offrirono un contributo di L. 120 mila circa, che feci inviare al Prefetto di Bari per il Consorzio antitubercolare”, e destinato “a favore della costruzione di un padiglione per i tubercolotici, intitolato a San. Nicola nell’erigendo Ospedale Moderno di Bari” (v. GP, 30 giugno 1927, p. 3). Qualcuno però – ricorda di suo padre la prof.ssa Elena Germano Finocchiaro – “arrivò a sospettare la presenza del Germano collegata a finalità politiche, e una sera, in un bar di Hoboken, il medico molfettese venne sfiorato da un proiettile, restando fortunatamente illeso” (v. Gaetano Salvemini e Edoardo Germano, in “Gaetano Salvemini una vita per la democrazia e la libertà”, a cura di M. I. de Santis, Molfetta 2010, p. 218). Nella visita a qualche società – scrive ancora nel suo Viaggio il Germano – “fui fatto segno alle ire dei Salveminiani (quando Salvemini era in America), i quali mi conoscevano bene per aver diretto contro di lui la lotta nel 1913”, nelle elezioni politiche vinte dal repubblicano Pietro Pansini (su cui v. Relazione di Edoardo Germano sulle elezioni del 1913 a Molfetta, in “G. Salvemini una vita per la democrazia” cit.). Nello stesso Viaggio il Germano ricorda anche “il giorno in cui caddero vilmente assassinati Ambrosoli e Carini, (e) bene sette arresti furono operati presso casa mia, dove il mio padrone di casa, con la rivoltella in pugno teneva testa ai malintenzionati antifascisti”. A riguardo di questi due assassinati si ha notizia, da fonte non precisata, di un certo Michele Ambrosoli, nativo (1906)di Rionero in Vulture (Potenza) che fu ucciso da antifascisti il 30 maggio 1927 a New York mentre cercava di soccorrere Giuseppe Carisi, (e non Carini), nativo di Staiti (Reggio Calabria), che era stato accoltellato alla schiena. Dai giornali che riportarono il fatto, il nome del Carisi corrisponde a quello del 29enne fascista colpito per primo alle spalle da 14 pugnalate e da una revolverata, mentre si recava con altre camicie nere al corteo cittadino indetto per la celebrazione del Decoration Day. Il nome dell’altro fascista, accorso in sua difesa e colpito da tre proiettili alla testa e da quattro alla schiena, non è quello di Ambrosoli, ma di Michele Amoruso di 22 anni (v. GP, Due fascisti assassinati a New York, 1 giugno 1927, p. 6, che riporta la notizia arrivata al “Popolo d’Italia” per cablogramma da New York il 31 maggio; al fatto accenna anche J. P. Diggins, L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza, Bari 1982). Sul medico molfettese si dice anche, in una corrispondenza del 1950 tra Salvemini e Beniamino Finocchiaro, che alcuni giornali antifascisti di New York “riversarono addosso al Germano degli insulti, nei quali – scrive Salvemini – io non ebbi nulla assolutamente nulla da vedere. Germano andò a Brooklyn (New York) il 1927. Io andavo in giro per l’America facendo conferenze sull’Italia negli ambienti americani. Credo di aver parlato a New York in italiano per italiani un paio di volte, e una a Brooklyn. I giornali italiani non li leggevo (.). Naturalmente seppi che Germano era venuto a stabilirsi a Brooklyn, e che era conosciuto come fascista. A questo si limitò la mia attività di fronte a lui (Lettera di G. Salvemini a B. Finocchiaro, Londra 30 agosto 1950, in “Politica e Mezzogiorno”, n. 3 – 4, 1966, p. 295 – 296). Edoardo Germano – ricorda la figlia nello scritto citato – invitò allora con una lettera Gaetano Salvemini a collaborare insieme per trovare una strategia comune per l’attuazione di un Preventorio a difesa dell’infanzia insidiata dal contagio tubercolare famigliare, con una raccolta di fondi a favore dell’Asilo infantile Filippetto, fondato da Salvemini a Molfetta (1910) e in corso di avanzata costruzione. “Ricevei la lettera del Germano che mi invitava a collaborare con lui per raccogliere fondi per l’Asilo Filippetto”, scrive Salvemini nella sua lettera a Finocchiaro. “Non gli risposi, primo, perché non volevo avere nulla da vedere con un fascista: non era questione personale, era per me una questione d’onore non avere nulla da fare con chi seguiva un criminale come Mussolini. Quale terreno comune poteva esserci fra me e lui?; secondo, perché avrei fatto una bella figura da buffone presentandomi al pubblico a braccetto di un notorio fascista: avrei confessato che il mio antifascismo non era una fede, ma un capriccio, un rancore pelle pelle. Anche ora sono persuaso che Germano non avrebbe dovuto scrivermi quella lettera: che cosa potevo fare io? Non risposi. Mi pare di non aver oltrepassato in nulla né il mio diritto né il mio dovere di giustizia”. *** Nella sua opera fra gli emigrati del Barese, Edoardo Germano partecipò nel mese di marzo a un ballo di beneficenza in favore degli abitanti di Toritto colpiti dall’alluvione del novembre 1926 , che fu organizzato dai dirigenti del Club Italiano “XX settembre” di New York, dove era ospitato l’Ufficio del Consorzio antitubercolare di Bari. Di quel ricevimento, la “Gazzetta di Puglia”, del 21 marzo 1927, pubblicò una grande fotografia con Edoardo Germano ritratto in primo piano, sotto il titolo Un grande ballo a New York in favore degli alluvionati di Toritto. Nel suo giro a favore dei tubercolotici, egli visitò anche l’Unione Progressiva Italiana fra Molfettesi di Hoboken (sorta nel 1918), la quale – come ricorda nel 1966 un vecchio socio, Carlo Ragno – organizzò per l’occasione un banchetto di beneficenza, il cui ricavato fu devoluto per il Consorzio antitubercolare di Bari (v. “Molfetta Nostra”, gennaio – marzo 1966, Corriere d’America). A riguardo di tali offerte – dice il Germano nell’intervista data al suo ritorno a Bari nel giugno 1927 – “una sottoscrizione immediata non era in genere nelle consuetudini delle associazioni di italiani in America. Durante i parecchi mesi che ho trascorso lì, ho cercato di destare in essi la coscienza completa del problema, ed ho iniziato ancora ad assicurare al Consorzio nostro per la lotta contro la tubercolosi delle correnti continue di offerte, senza di che i risultati del mio viaggio sarebbero stati del tutto relativi. Si intende bene che come avviene in quei posti non ho mancato dopo ogni conferenza ed ogni banchetto ed ogni ricevimento che mi venivano offerti con tanta affettuosità di eccitare gli animi alla raccolta di fondi e così qualche rimessa sufficientemente cospicua è già pervenuta o al Prefetto o al Consorzio ai quali io ho fatto sempre avviare direttamente le somme raccolte” (Roberto Beltrani, La necessità della lotta antitubercolare in provincia di Bari e l’azione benefica del prof. Edoardo Gemano tra i pugliesi in America, GP, 30 giugno 1927). *** Verso la fine di aprile, Gaetano Salvemini, dopo una conferenza su Il dovere degli italiani all’estero nell’ora presente, promossa dal “Nuovo Mondo” insieme alla Federazione antifascista per la libertà d’Italia, tenuta il 24 a New York, il cui resoconto fu pubblicato sullo stesso giornale il 26, con la presentazione fatta da Vincenzo Vacirca (v. Cantarella, p. 166), partì il 29 alla volta dell’Inghilterra (Pansini, p. 193). “Sbarcando, – egli ricorda nelle sue Memorie - mi domandarono il passaporto e mi tennero per un paio di ore ad aspettare. Finalmente me lo restituirono e mi consentirono di proseguire per Londra. Pensai che l’ambasciata italiana mi avesse denunciato per uso di passaporto falso”, quale era il suo, che egli si era procurato nel 1923. “Dopo, nel 1948 scoprii che quel documento era servito ad uso più personale. Armando Borghi mi donò le reliquie di un registro nel quale erano elencate le persone che la polizia italiana doveva arrestare alla frontiera. In uno di quei fogli di quel registro il mio nome era accompagnato dalla fotografia che in illo tempore era servita per mettere insieme il passaporto surrettizio. Nel 1927 la polizia inglese aveva tratto una fotografia dal passaporto (qui riprodotta dalla copertina del vol. Emigrati Politici Pugliesi) e questa era stata consegnata all’ambasciata italiana a Londra e finalmente era arrivata al registro delle persone da essere arrestate” (v. il foglio segnaletico pubblicato in Salvemini, Una vita per la libertà. Testimonianze e documenti, p. 77, e qui riprodotto nell’adattamento di Nicolò Andrea Germinario).

Autore: Pasquale Minervini
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