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Futur@, “Altro di me non saprei narrare”: Katia Ricciarelli si racconta all'Università Popolare Molfettese
05 aprile 2012

MOLFETTA - Vivere seguendo i propri desideri, anche cadendo in errore, ripetutamente, e tuttavia per questo non avere mai alcun rimorso. Continuare e “ricominciare”, con coraggio e forza di volontà. È questo il racconto che Katia Ricciarelli (nella foto) fa di se stessa in «Altro di me non saprei narrare», scritto per Aliberti Editore in collaborazione con Gioconda Marinelli, giornalista de Il Mattino e biografa di personaggi dello spettacolo.
Il libro è stato presentato dall’artista nell’intima cornice della sala dell’Università Popolare Molfettese con il giornalista Mario Valentino e con la presidentessa dell’Upm, Ottavia Sgherza. A salutare e ringraziare Katia Ricciarelli è stato anche Pietro Centrone, presidente della Fondazione Musicale Valente, partner del Progetto Futur@. Infatti, la presenza della cantante a Molfetta è legata a questo progetto ed è già iniziata lunedì con un workshop per giovani cantanti lirici.
L’autobiografia, ricca di fotografie e prefata da Vittorio Sgarbi, è un racconto appassionato di una vita densa di contraddizioni, di dolori e di gioie, di prove di coraggio e di umiltà. Nata nel Polesine, in quella nebbia che la «rende felice» perché attenua i rumori e, come per magia, nasconde alla vista le cose, Katia Ricciarelli vive con sua madre in povere condizioni, con il solo dono del bel canto con cui scalare le vette della società. A 7 anni canta per la prima volta in pubblico per i detenuti di un carcere. A 14 anni, per mantenere sé e la madre, è operaia in una fabbrica di mangiadischi, poi commessa ai grandi magazzini di Rovigo.
Solo più tardi inizia tutta un’affascinante avventura umana e artistica che ruoterà attorno a figure estremamente diverse fra loro: dall’«angelo custode» Leonardo Petrolini, vecchio funzionario di banca incantato dalla voce di quella giovane e bella vicina di casa, alla severa ma affettuosa insegnante di canto Iris Adami Corradetti; fino alla lunga e appassionata relazione con il tenore José Carreras, di cui «rimangono i ricordi e le nostre voci incise». Del suo matrimonio con Pippo Baudo, Ricciarelli non vuole nemmeno sentire parlare: «quell’episodio non è mai andato bene, di quell’esperienza non c’è nulla che sia degno di nota».
Un altro aspetto con cui l’autrice si descrive sono i suoi soprannomi: in occasione del memorabile flop del 1989 al Teatro alla Scala di Milano e della sua stizzita reazione sul palco, i sostenitori la chiamarono “colomba d’acciaio”, emblema del suo coraggio e della sua forza di volontà. La compianta amica e collega Lucia Valentini Terrani la chiamava invece “Chiquita 10 e lode”, per sottolineare la sua irrefrenabile voglia di sperimentare e impegnarsi in sfide sempre nuove, come ad esempio la sua recente carriera cinematografica e di attrice televisiva.
Sollecitata dal pubblico in sala, Katia Ricciarelli ha confessato che ha avuto l’idea di scrivere questo libro per rimettere nuovamente in gioco se stessa, raccontando qualcosa che, fin quando sua madre viveva, non poteva osare. L’artista è figlia di una ragazza madre e tuttora presiede una fondazione onlus intitolata a suo nome per aiutare e sostenere le cosiddette “madri sole” fin dal concepimento del figlio.
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Vito Angione
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