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Francesco Padre ancora dubbi e perplessità: un'altra verità
15 novembre 2010

Sul luogo del naufragio del motopesca “Francesco Padre” furono inviate due navi militari italiane, la Fenice e la Dreide (Sagittario) che si desume già assegnate al Servizio della Sicurezza in mare. Nel libro scritto sulla tragedia, dal documento “RITROVAMENTO RESTI M/P FRANCESCO PADRE”, si legge che sul luogo del naufragio, oltre alle dette navi, c’erano le motovedette C.P. 249 che recuperò il primo relitto alle 14.25 del 4 novembre e la C.P. 317 che recuperò il primo relitto alle ore 7 del 5 novembre. Dunque sul posto, operarono due motovedette, due navi militari, un elicottero ed una motobarca delle stesse navi militari italiane. In un altro documento però, la Capitaneria di Bari aff erma che alle operazioni partecipò anche la motovedetta C.P. 238 che recuperò un borsone con indumenti, ma senza alcun cenno sull’ora e giorno di tale recupero. Ed allora; sul posto, operarono 2 o 3 motovedette? e da quale porto partirono? a che ora e in quale giorno? quando lasciarono la zona e quando ed in quale porto rientrarono? Queste notizie stanno nei giornali di chiesuola di ognuna delle navi e delle motovedette impiegate nel soccorso. A detta dei familiari poi, la salma di Mario fu sbarcata nel porto di Molfetta da una motovedetta verso le 22 del 4 novembre. I pescatori dicono che furono loro ad avvistare il corpo che fecero recuperare alla motobarca della nave militare alle 14.30. Dunque, non fu una delle motovedette a recuperare il corpo e non fu l’elicottero ad avvistarlo, ma l’equipaggio di uno dei motopesca intervenuti per il soccorso. Se il corpo fu recuperato dalla nave militare, perché arrivò nel porto di Molfetta su una motovedetta? Mario non era un militare. Non era imbarcato sulla nave da guerra e non c’era nessuna guerra. La salma, avrebbe dovuto essere spostata solo su autorizzazione del magistrato. Per l’autorizzazione, la nave sarebbe dovuta approdare in un porto; e, si sarebbe dovuta conoscere la Procura il cui magistrato autorizzò il trasferimento. Nulla di tutto ciò risulta nel libro. Si deve desumere che non ci fu alcun intervento della Magistratura che, considerando i luoghi, avrebbe dovuto essere la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi. Se non si parla del porto di Brindisi, né di altro porto, si deve desumere che il trasferimento della salma, dalla nave militare alla motovedetta, fu eseguito in off shore cioè, n mare aperto. In defi nitiva, pur di evitare l’intervento della Procura di Brindisi, la Marina considerò Mario come proprio arruolato e gli applicò il trattamento previsto al militare che perisce durante l’azione bellica. Ma allora, Sig. Ministro della Difesa, alla vedova ed agli orfani di Mario, non andava assegnata la privilegiata pensione di guerra? Se fi nalmente si abbandonasse la fascinosa tesi del trasporto illegale di esplosivo, forse si potrebbe costringere i responsabili, a confessare sull’ordigno che generò il disastro; e si inizierà a comprendere la ragione per cui non dovevano esserci superstiti e dalle indagini doveva restare esclusa la Procura della Repubblica di Brindisi. Mario però, era componente di regolare equipaggio del “Francesco Padre” cioè di un natante della marina mercantile e il trasbordo della sua salma in violazione alla legge, è risultato funzionale a trasferire l’indagine a Trani ed allora: chi aveva il necessario potere di programmare ma contestualmente di far ordinare al comandante del porto di Molfetta di privilegiare subito la veste di uffi ciale di polizia giudiziaria a discapito di quella di Organo periferico dell’amministrazione della marina mercantile? e quello di ordinare al comandante della nave Fenice la consegna del cadavere ad una precisa motovedetta? Un potere cioè, che possa confondere nella stessa persona, sia quello conferito allo Stato Maggiore della Marina che quello conferito al Comando Generale del Copro delle Capitanerie di Porto. Un potere romano che era terrorizzato dal pensiero che l’indagine fosse assunta dalla competente e naturale Procura della Repubblica di Brindisi. Un potere peraltro, capace di esporsi verso la NATO e gli americani, per garantire la propria capacità di controllare i fatti ed aff ossare la realtà. Per l’esperienza vissuta da marittimo nonché da operatore sindacale della categoria, spesso da arruolato, ho dovuto vivere la condizione di schiavetti dall’amministrazione periferica della marina mercantile; da marittimo iscritto nelle matricole della gente di mare spesso ho dovuto vivere la condizione e la sensazione di essere un suddito della amministrazione centrale della marina mercantile. Non sembrano diverse le condizioni riservate al povero equipaggio del “Francesco Padre”. In ultimo e dai giornali, ho avuto la conferma dell’avviso impartito dalla nave militare ai comandanti dei motopesca che si stavano avvicinando al punto del sinistro, con l’invito a venire avanti adagio ed a bassa velocità, perché c’erano delle mine disperse. Cioè, alla fi ne, si riaff accia l’ipotesi della mina. Che interesse poteva avere il Comandante di una nave della Marina a nominare ordigni se ne ignorava l’esistenza? Questo è successo alle 13.30 circa del 4 novembre 1994. Il corpo di Mario non era stato ancora rinvenuto. Quel Comandante non era stato ancora istruito sul depistaggio programmato e sulla tesi dello scoppio all’interno del natante? sul trasporto illegale del materiale bellico mai rinvenuto? oppure il depistaggio non era stato ancora programmato, ritenendo che tutto l’equipaggio si era disintegrato aff ondando col Francesco Padre? Mi rendo conto della fascinosità della tesi del missile e del mitragliamento, ma non la ritengo realistica. E’ invece presumibile che ci fu lo scoppio di una mina. Forse un ordigno sperimentale ma capace di coinvolgere alte responsabilità, anche della NATO e delle forze armate americane che aderirono al silenzio. Prescindendo dalla congettura e dalle altre ipotesi che si possono coltivare, per spazzare il fango gettato sulla città e liberare dall’infamia il povero Giovanni e il suo equipaggio, va conosciuta la realtà dei fatti; realtà che si conoscerà solo se si punta su Mario de Nichilo che non ebbe soccorso per volerlo o saperlo già defunto. Per questo, nel frattempo, noi molfettesi, noi marittimi pescatori e naviganti molfettesi, gli stessi familiari dei defunti, nell’attesa delle decisioni della Procura, dobbiamo sollecitare il Sig. Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti a disporre l’esperimento di una nuova e corretta inchiesta formale; come richiede il Codice della Navigazione.

Autore: Mauro Brattoli
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