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Francesca Dego: il violino è la mia vita. Il successo di un bravo esecutore? Trasmettere al pubblico le sensazioni dell'autore dell'opera
15 aprile 2016

Ha solo 26 anni, ma è già una violinista di fama mondiale, forse una delle musiciste italiane più conosciute e apprezzate a livello internazionale. Merito certamente di un talento naturale, dell’orecchio assoluto, ma anche della passione e di tanto, tanto studio. Francesca Dego nata a Lecco, bilingue, madre statunitense e padre scrittore con l’amore per la musica e violinista dilettante, aveva poco meno di 4 anni quando ha fatto il suo primo incontro con lo strumento che sarebbe diventata la sua vita. All’inizio ci fu un rifiuto, naturale per un’età in cui è difficile tenere la concentrazione, poi è bastato attendere qualche mese, per trasformare un timore in una vocazione e da allora non ha più smesso di suonare. Anche il maestro Riccardo Muti sembrava poco portato per la musica e il violino, tant’è che il padre aveva deciso di non fargli proseguire lo studio della musica, poi la mamma insistette per provare ancora un mese e il talento venne fuori. Francesca Dego il suo primo concerto lo ha fatto a 5 anni e a 7 si è esibita come solista con un’orchestra a San Diego con un concerto di Bach. E fu proprio quando aveva 7 anni che andò al concerto della violinista Hilary Hann. Guardarla sul palco mentre suonava meravigliosamente il suo violino in un abito fantastico la fece diventare il modello da seguire… voleva diventare come lei. Viene ammessa a studiare alla Fairbanks School of Performing Arts in California con Michael Tseitlin e a 9 anni incontra il suo mentore Daniele Gay, che la seguirà fino al diploma al Conservatorio di Milano nel 2006. Il perfezionamento musicale avviene con Salvatore Accardo all’Accademia Chigiana di Siena e all’Accademia Stauffer di Cremona. E nel 2010 consegue un Master in performance al Royal College of Music di Londra sotto la guida di Itzhak Rashkovsky. Nel 2004 incontra Shlomo Mintz che apporta un profondo contributo al suo sviluppo artistico. Francesca Dego suona un violino Francesco Ruggieri (Cremona 1697) e in particolare il famoso Giuseppe Guarneri del Gesù ex Ricci (Cremona 1734) per gentile concessione della “Florian Leonhard Fine Violins” di Londra e vanta concerti con le più prestigiose orchestre italiane e straniere, sotto la direzione di illustri maestri come Shlomo Mintz, Wayne, Marshall e soprattutto Accardo. E proprio Salvatore Accardo, parlando di lei ha detto: “è uno dei talenti più straordinari che io abbia incontrato”. Nel 2008 la Dego è stata la prima violinista italiana ad entrare in finale al Premio Paganini di Genova dal 1961, dove ha vinto il riconoscimento speciale “Enrico Costa” riservato al più giovane finalista. Quattro i Cd da lei già incisi, con la prestigiosa Deutsche Grammophon. Il suo primo Cd, dedicato proprio a Beethoven e inciso a soli 14 anni, è stato usato in gran parte come colonna sonora per il film documentario americano “The Gerson Miracle”, vincitore della Palma D’Oro 2004 al prestigioso Beverly Hills Film Festival e brani del suo secondo disco sono stati inseriti nella colonna sonora del film del pluripremiato regista americano Steve Kroschel, “The Beautiful Truth”, uscito nel 2008. Per via della mamma americana, Francesca ha vissuto una parte della vita negli Stati Uniti. È stato lì che il regista l’ha sentita suonare e ha voluto utilizzare la sua musica per i suoi due film. Oggi Francesca, quando non è in giro per il mondo, vive a Milano con suo marito il direttore d’orchestra Daniele Rustioni. “Quindici” l’ha intervistata in occasione del suo straordinario concerto a Molfetta in ricordo di Gabriella Cipriani la violinista molfettese scomparsa tragicamente due anni fa per un incidente stradale. Francesca Dego è stata accompagnata dall’orchestra Sinfonica della Città Metropolitana diretta dal Maestro Domenico Longo nella Chiesa Cuore Immacolato di Maria (S. Filippo Neri) che ha proposto i brani E. Humperdinck: Ouverture da “Hansel und Gretel” e A. Dvorak: Sinfonia n. 9 in Mi minore op. 95 - “dal Nuovo Mondo”. Lei è stata il fiore all’occhiello della serata, che ha impreziosito con la sua musica incantando letteralmente il pubblico rapito dalla sua bravura nell’esecuzione del concerto per violino e orchestra n. 1 in sol minore di Max Bruch, in una serata straordinaria destinata a restare nella memoria della nostra città e di coloro che hanno avuto la fortuna di partecipare e assistere ad una performance meravigliosa, che ha visto la violinista impegnata in un’esecuzione mirabile del brano. Francesca Dego ha anche concesso ben tre bis esibendosi come solista e proponendo, fra gli altri, una straordinaria esecuzione di Paganini, della quale oggi è considerata la migliore interprete a livello mondiale. Vi proponiamo questa intervista per farvi conoscere oltre alla violinista, anche una persona umile, che ama il suo lavoro e il suo pubblico, che la segue fedelmente e per il quale non si risparmia nell’interpretare le opere dei più famosi musicisti di tutti i tempi. Da bambina per lo studio della musica ha mai rinunciato ai giochi? «Mai rinunciato a un gioco da bambina. I miei genitori mi lasciavano scegliere. Ho avuto una vita normale, ma ero una bambina ambiziosa, da piccola studiavo solo un’ora, ma direi che dovrebbe essere obbligatorio per tutti i bambini studiare musica perché dà un senso di responsabilità, dà il senso dello studio, che è utile tutta la vita. Mi ha facilitato negli anni scolastici lo studio delle altre materie perché avevo uno schema mentale aperto. Sicuramente non è stata pesante la mia vita da bambina». Oggi le manca qualcosa della sua vita privata, vorrebbe essere più libera, credo che al suo livello i sacrifici siano indispensabili? «Ho avuto una vita molto piena, forse troppo, tanti viaggi che mi portano a contatto con tanta gente diversa. Ma la solitudine in viaggio è molto forte, perché viaggio da sola». Lei recentemente ha detto “la mia casa è un aeroporto”: è solo una battuta? «E’ vero. Però ho amici in tutto il mondo, in tutte le città dove vado ci sono persone a cui sono affezionata, è anche bello tenere contatti con persone interessanti. La mia vita è molto piena. Mi sono appena sposata, ho 26 anni, non mi sento di aver rinunciato particolarmente a nulla. In questo momento potrei mettere su famiglia, avere figli, ma non è unacosa di cui sento il bisogno adesso». Suo marito è direttore d’orchestra, dovete fare salti mortali per stare insieme? La musica vi unisce. «Ci inseguiamo e ci sosteniamo a vicenda. E’ difficile vivere in modo regolare, però ci vediamo più spesso di quello che si possa pensare. Ci siamo sempre riusciti da alcuni anni a questa parte». Lei è una perfezionista molto rigorosa: è più importante il rispetto del testo o la personalizzazione e interpretazione? «Entrambe le cose. La più grande responsabilità dell’esecutore è fare da tramite tra l’opera d’arte e il pubblico. Un quadro lo si vede, lo si osserva, c’è un rapporto diretto con il genio che l’ha composto. Nel caso della musica, grazie al cielo c’è questo tramite: l’esecutore ha il compito di portare le note dallo spartito, che altrimenti non avrebbero possibilità di vivere, nell’orecchio di chi ascolta, all’ascoltatore stesso. Penso che questa sia la più grande e importante responsabilità dell’esecutore, dopo di che chiaramente basterebbero i dischi se non ci fosse una componente importante che è l’interpretazione personale dell’esecutore. Altrimenti non avrebbe senso riascoltare sempre gli stessi pezzi andare a sentirli da esecutori diversi. Certo, è importantissimo questo aspetto: tutto dipende dalla forte personalità e dal proprio modo di esprimersi, che passa attraverso le capacità tecniche». L’ho ascoltata più volte. Lei, come avviene per uno scrittore trasmette quello che ha dentro, come se la sua voce fosse il violino? «Penso che ci voglia una grande sensibilità anche descrittiva nel suonare, perché non può essere tutto solo la descrizione delle proprie emozioni, ma bisogna avere anche la capacità di interpretare e trasmettere le sensazioni emotive dell’autore. Chi racconta una storia sia in musica sia in un libro, deve avere una grossa capacità di empatia con tutte le emozioni, dalla rabbia all’odio, al dolore. Magari qualcuna di queste non le ha vissute direttamente nello stesso modo, però l’importante è la grande sensibilità nel poterle raccontare, nel poterle rendere con l’esecuzione. D’altro canto per me suonare è il momento in cui esprimo tantissimo di quello che sento: è una voce, un’atmosfera. In realtà, sono sempre un po’ riservata, mi lascio andare solo con le persone che mi conoscono veramente». Tra i musicisti che privilegia, oltre a Paganini c’è anche Beethoven. Ha altre preferenze per il suo repertorio? «Beethoven è uno dei più grandi geni della musica di tutti i tempi. È un autore vario in cui c’è tutto: dalla dolcezza al più grande dramma. In un mio Cd propongo le sue sonate per violino 3,4,9 Kreutzer. Si tratta del primo di tre incisioni che hanno come protagonista Beethoven. Ad accompagnarmi nel progetto c’è sempre la pianista Francesca Leonardi, con la quale suono da 10 anni». Per Francesca Dego tutto il repertorio violinistico è fantastico. Ha anche una passione incredibile per Brahms, ma le passioni cambiano di anno in anno. E poi, Paganini: il nostro orgoglio nazionale. «È così rappresentativo di quello che è il violino – ha detto parlando di lui –. Non si è arrivati a superare il violino, come concezione tecnica, dopo di lui. L’amore e il rispetto per Paganini sono d’obbligo e mi piace suonarlo, anche se mi “spaventa” sempre. Proprio ad Accardo avevo detto, una volta: “Maestro, io non ce la faccio a studiare così tanto Paganini: è troppo difficile. Ma chi ce lo fa fare a stare ore e ore su una battuta?” Lui mi ha guardato e mi ha risposto: “Se non ti diverti perché lo suoni?”. Mi sono fatta un esame di coscienza e mi sono resa conto che quello che muove un violinista a spingersi, a mettersi al limite suonando quel repertorio è sicuramente la sfida, e, quindi, il divertimento nella sfida. E da lì ho iniziato a divertirmi suonando Paganini». C’è un limite per un musicista in un ambiente così competitivo? «Non so esattamente che cosa intende come limite. Ognuno ha i propri limiti. Arrivare a un tot di concerti, per essere sempre al massimo? Bisogna capire dove uno vuole arrivare e cosa può fermarlo. La facilità degli spostamenti che rende possibile fare un concerto ogni sera e questo porta ad una stanchezza emotiva enorme. Sul palcoscenico un esecutore deve stare con se stesso tutti i giorni. E questo è drenante. Io finisco ogni concerto completamente drenata di energia, perché rispetto alle 6-7 ore di turno che uno fa durante il giorno, il concerto è totalmente drenante, uno avrebbe bisogno di più tempo di ripresa, che in passato c’era. Fino a 30 anni fa erano difficili i collegamenti tra una città e l’altra, era difficile fare un concerto oggi a Bari, domani a Stoccarda, il giorno dopo a New York, il giorno successivo in Giappone. Oggi si può, il mondo è competitivo e il nostro ambiente lo richiede come condizione sine qua non, se si vuole essere al livello degli altri». Lei ha conosciuto il maestro Riccardo Muti? «No, non l’ho conosciuto, ma ho seguito varie sue esecuzioni dal vivo». Le piace la Puglia, viene spesso, quali legami ha con Molfetta, visto che è al suo secondo concerto nella nostra città? «Sono stata altre volte in Puglia, ho un bel rapporto con questa regione. A Molfetta sono stata la prima volta due anni fa per il concerto per Gabriella Cipriani. L’ho fatto volentieri, mi ha profondamente toccato la tragedia di questa giovane violinista. Credo anche che la musica sia una via d’uscita dal dolore».

Autore: Felice de Sanctis
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