Fidapa Molfetta, Artemisia Gentileschi, la pittora dotata dell’animo di Giulio Cesare
Lezione storica del professore Angelantonio Spagnoletti
La Martire, Allegretta, Spagnoletti
MOLFETTA - In coerenza con il tema nazionale del biennio 2017-2019 della Fidapa (Federazione Italiana donne arti, mestieri e professioni): la creatività femminile, il secondo appuntamento, della rassegna “Maggio molfettese” ha visto protagonista una delle personalità femminili più creative: Artemisia Gentileschi, presentata da una sapiente lezione del prof. Angelantonio Spagnoletti, docente di storia moderna presso l’Università degli studi di Bari.
“L’idea nasce dal cercare una figura femminile forte, un’artista seicentesca che ha preteso di farsi chiamare “pittora”, ispirata al sublime modus operandi di Caravaggio, suo modello di riferimento.”, afferma Vanna La Martire, presidente dell’associazione per la sezione di Molfetta.
All’excursus storico ha presenziato anche l’Assessore alla Cultura Sara Allegretta, lieta di partecipare all’evento: “Conoscevo già il personaggio di Artemisia, il quale è stato esempio anche per me, per il suo essere contro gli schemi precostituiti e il suo modo tenace di farsi valere.
Apprezzo l’invito della Fidapa e confido nel suo continuo impegno verso la valorizzazione del genere femminile, in maniera corale ed assidua come ora. Lunga vita alla Fidapa.
Queste le parole introduttive di Angelantonio Spagnoletti: “In questi quarant’anni di operato, la Fidapa, sezione di Molfetta, ha subito una grande trasformazione: basti notare che i nomi delle prime otto presidenti fossero accompagnati dal doppio cognome del coniuge ed ora, per fortuna non più”.
La figura di Artemisia Gentileschi, figlia del famoso pittore seicentesco Orazio Gentileschi, è stata categorizzata, fin dalla nascita, di un’aurea speciale: dotata di un nome parlante, che incarna perfettamente l’ideale di Artemisia I, regina di Alicarnasso, donna passionale e fortemente innamorata del marito Mausolo, a cui eresse la prima tomba monumentale: il mausoleo, per l’appunto.
Figura anticonvenzionale e anticonformista, riuscì a ribaltare il significato “negativo” di “donna dotata di animo virile”, dichiarando lei stessa di “avere l’anima di Giulio Cesare”, figura esemplare della storia romana e della storia europea, metafora per rimarcare la tenacia e la caparbietà del suo animo sui generis.
In un’epoca in cui la donna non veniva categorizzata se non in base al suo apparato riproduttivo, Artemisia è il primo esempio di donna passata alla storia non per il marchio dell’intrigo, del pettegolezzo, proprio di ogni cortigiana o regina, ma per la sua arte, per il suo talento creativo.
Talento indiscusso già nel suo contesto storico-sociale dal momento in cui produsse opere di vario lignaggio, su commissione, come un qualsiasi artista uomo del tempo.
Nei suoi autoritratti si mostra con la propria femminilità (corpetti scollati che modellano le forme femminili), con il collo impreziosito da una collana, simbolo duplice del favore dei principi e dell’appartenenza all’Accademia di disegno di Firenze, riproducendosi con i capelli scompigliati simbolo di fantasia e lo sguardo rivolto verso l’alto, in cerca di ispirazione. Tenace e resiliente è una delle poche donne che è riuscita a sfruttare, in maniera produttiva, l’evento luttuoso dello stupro di cui è stata vittima, facendone proprio una cifra stilistica ed artistica.
In un contesto storico in cui lo stupro veniva decretato un reato lieve, in cui veniva addirittura distinto in tre categorie: semplice se consenziente (come può uno stupro essere consenziente?), qualificato se poi susseguito da un matrimonio e violento, accusò di stupro violento Agostino Tossi e ne uscì vittoriosa.
“Nel 1612 il padre accusò di stupro l’uomo suddetto, ovviamente dopo gli accertamenti avvenuti postdenuncia, ci fu un processo in cui l’avvocato difensore del Tossi puntava sulla reiterazione dello stupro che portava a pensare che fossero atti consenzienti e non più violenti. Ma Artemisia, nonostante fosse sottoposta alla tortura delle Sibille (pratica in cui le dita di mani e piedi venivano stretta da una corda fino, nei casi più estremi, alla rottura delle falangi), nonostante tenesse moltissimo all’utilizzo delle sue mani che avevano decretato il suo talento, riuscì a dimostrare che fosse innocente e che lo stupro era effettivamente stato compiuto e costringendo il malfattore ad andare in esilio”.
La tematica dello stupro ha portato la pittora a produrre opere di grande levatura, intrise di violenza perpetuata da donne contro gli uomini, in un gioco di luci ed ombre rossastre degne del Caravaggio: emblematica a proposito è la rappresentazione di scene bibliche come “Susanna ed i vecchioni”, datata al 1610; come anche “Giuditta e Oloferne”.
La sua produzione vasta, purtroppo pervenuta in parte, consta anche in autoritratti “Artemisia come Cleopatra”, ritratti come “Cesare, cavalier d’Arpino”, fino ad arrivare all’acme del “Martirio di San Gennaro” a Pozzuoli.
A conclusione dell’evento è stato consegnato al relatore il libro “Storia di Molfetta, uomini e vicende di un comune della terra di Bari”, di Pasquale Modugno e Lazzaro La Forgia.
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Autore: Marina Francesca Altomare