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Festa della donna, 8 marzo un giorno per non dimenticare
08 marzo 2009

La “Giornata Internazionale della Donna”, conosciuta semplicemente come “Festa della donna” ha origini lontane e nel tempo ha mutato il suo significato. In realtà dovrebbe essere una giornata di lotta per i diritti, per la libertà, per la parità ma, purtroppo, oggi come oggi non è così. Ormai è diventata una festa commerciale, un momento per divertirsi, per mangiare al ristorante, andare nei locali a ballare… insomma, una manna dal cielo per i commercianti. Una data, rispettata in diversi paesi del mondo occidentale, che alcuni storici collegano all'8 marzo del 1848, quando il re di Prussica, assediato nel suo palazzo da dimostranti, cercò di salvarsi promettendo alcune leggi, tra le quali il diritto di voto alle donne. Ma la versione più condivisa è quella legata al 1908. A New York operaie dell'Industria tessile “Cotton” scioperarono per protestare contro le disumane condizioni in cui erano obbligate ad operare. Dopo qualche giorno di manifestazioni, il proprietario dell'azienda chiuse tutte le uscite della fabbrica, bloccando le donne all'interno. Scoppiò un incendio. 129 operaie morirono bruciate, senza alcuna via di scampo. In Italia giunge in prossimità della prima guerra mondiale e viene successivamente abolita nel periodo fascista. Durante la seconda guerra mondiale nasce l'UDI ( Unione Donne Italiane ). L'8 marzo del 1945, alcune sostenitrice dell'UDI si riunirono a Roma per approvare un ordine del giorno: “difendere il pane ai nostri figli, alle nostre famiglie e per difenderci sa freddo e dalla miseria”. La festa però, viene celebrata l'anno successivo, quando a Londra s'incontrano le rappresentanti di 20 paesi. L'obiettivo era approvare una “carta della donna” che chiedeva “il diritto al lavoro in tutte le industrie, la parità salariale, la possibilità di accedere a posti direttivi e di partecipare alla vita politica nazionale e internazionale”. Il 2 giugno 1946, per la prima volta, le donne italiane possono votare. Si cerca di trovare un simbolo per la giornata dell8 marzo: un fiore; viene scelta l'«acacia dealbata», la mimosa, economica e molto diffusa, fiorisce proprio ai primi di marzo. E' comunque un simbolo solo italiano: negli altri paesi ve ne sono altri. La festa della donna inizia ad avere il suo “successo” durante gli anni '70, periodo di movimenti femminili che lottano anche per la legge di parità, per il diritto al divorzio all'aborto. La prima manifestazione femminile in Italia è del 1972 a Roma. In piena contestazione studentesca, nel 1969-70, le ragazze italiane del movimento, si accorgono che preparare il caffè, vuotare portacenere e girare il ciclostile per i comunicati, è tutto quello che viene loro concesso: le decisioni le prendono sempre i compagni. A lanciare il sasso sono i collettivi femminili dell'Università di Roma, che denunciano l'emarginazione della donna. Da principio ignorate e poi accusate dai compagni di aver tradito la causa comune della rivoluzione giovanile, le femministe scoprono ed esibiscono il loro mondo, coniando slogan che annunciano la volontà di “cambiare, soprattutto nei confronti di loro stesse”. Con il famoso “ Io sono mia “, rifiutano di essere considerate una “funzione”, ossia strumenti della volontà altrui in compiti complementari nell'ambito familiare e sociale. Prendendo a prestito dai negri d'America lo slogan “ black is beautiful “ (nero è bello), lo trasformano in “Donna è bello”, che diventa la bandiera di una nuova identità femminile. La radice della rivolta femminile italiana s'ispira a quella americana. Rimbalzate in Europa, quelle idee infiammano anche gli animi del Vecchio Continente. Ma, come dice Simone de Beauvoir, “donne non si nasce, si diventa” e, infatti, la strada delle conquiste femminili è partita da molto più lontano. Fino al 1972, tutto questo viene considerato quasi folclore dalla stampa ufficiale; neppure i partiti della sinistra sono d'accordo su ciò che sta accadendo, perché temono sia un'insidia alla compattezza della lotta di classe, una pericolosa divisione sugli obiettivi da raggiungere. Ma l'8 marzo di quell'anno, a Roma succede il finimondo. La polizia carica le femministe venute da tutta Italia, le travolge con i loro cartelli dagli slogan duri ma anche ironici, come “Tremate, tremate le streghe sono tornate”, e in breve tempo, Campo dei Fiori diventa un campo di battaglia. All'ospedale finiscono molte ragazze del movimento, ma anche qualche robusto esponente della forza pubblica. La notizia è grossa, il femminismo quel giorno occupa le prime pagine dei giornali. Ormai il paese sa che esso esiste ed è ben deciso a non lasciarsi sopraffare. La fase calda delle campagne in favore della contraccezione, della depenalizzazione dell'aborto, della riforma del diritto di famiglia, del mantenimento della legge sul divorzio, invade anche le aule dei tribunali, dove sempre più spesso si giudicano le violenze fisiche e morali di cui sono vittime le donne. L'autodenuncia è un metodo di lotta molto seguito; Gigliola Pierobon, a Padova nel 1973, è la prima che finisce volontariamente sul banco degli imputati come rea confessa di aborto, per sollecitare la revisione della legge. Gli effetti non tardano: nella primavera del 1975 il Parlamento approva la riforma del diritto di famiglia; nel 1977 quella dell'interruzione volontaria della gravidanza, resa poi definitiva con referendum nel 1981. Si blocca, invece, il progetto di legge sulla violenza sessuale, che tanto scalpore sta' facendo nei giorni nostri attuali. Insomma, come scriveva il romanziere Joseph Conrad, “essere donna è terribilmente difficile, perché consiste soprattutto nell'avere a che fare con gli uomini”. Diceva Ghandi: “Gli uomini dovrebbero rimanere uomini ma allo stesso tempo diventare donne; ugualmente, le donne dovrebbero rimanere donne ma allo stesso tempo diventare uomini. Questo significa che gli uomini dovrebbero coltivare la gentilezza e la perspicacia delle donne; e le donne dovrebbero abbandonare la loro timidezza e diventare coraggiose e ardite”.
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