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Ettore Ciccotti tra socialismo e federalismo (I parte)
07 agosto 2008

NAPOLI - 7.8.2008 A cavallo tra Otto e Novecento, la proposta di un riassetto politico-istituzionale dello Stato italiano in senso repubblicano, democratico e federale non fu avanzata dal solo Napoleone Colajanni, ma anche da altri eminenti intellettuali meridionali, quali Gaetano Salvemini ed Ettore Ciccotti (foto). Innanzitutto, bisogna evidenziare che le ricerche dello studioso lucano sulla questione meridionale ne inaugurarono la fase socialista, che fu proseguita da Gaetano Salvemini e conclusa da Antonio Gramsci. Infatti, Ciccotti negò l'impostazione riformistico-liberale della fase precedente “attraverso l'aperta identificazione tra lotta meridionalista e lotta di classe, attraverso la coscienza viva e polemica della necessità di una più ampia mobilitazione di forze”. Come è noto, l'opera di Ciccotti non fu isolata in quanto la corrente democratica, i cui maggiori rappresentanti furono Colajanni e Nitti, contribuì a spostare l'analisi della questione del Sud d'Italia dal piano moralistico, proprio della fase borghese, ad uno piano socio-economico-politico. Formatosi nella temperie culturale del positivismo, Ciccotti aderì al marxismo, dando le prime applicazioni storiografiche del materialismo storico, che nello stesso periodo ebbe in Antonio Labriola uno dei suoi maggiori teorici italiani. I motivi che indussero lo studioso lucano a passare dal positivismo al marxismo furono “una profonda osservazione dei fatti sociali in sviluppo nel mondo occidentale e il suo mestiere di storico, particolarmente adatto al controllo della fecondità o meno di una filosofia come metodo storico”. Nell'introduzione ai suoi scritti meridionalistici, Ciccotti tracciò una sintetica ma acuta interpretazione storica delle varie fasi della questione meridionale. Egli con tale introduzione non solo mostrò di avere assimilato gli studi che fino ad allora si erano avuti sui problemi del Mezzogiorno, ma mostrò anche di averli rielaborati originalmente alla luce della prospettiva marxista, dando, così, ad essi una nuova impostazione critica. Secondo lo studioso lucano, la prima fase della storia del Sud d'Italia fu caratterizzata per molti secoli dall'economia naturale [nella quale] si produce quasi tutto quello che vi si consuma. Ciccotti sostenne che a questa fase economica corrispose sul piano delle coscienze la “fase dell'illusione, [nella quale] ciò che non può indagarsi o che non si indaga, ciò che si ignora prende ovviamente di fronte all'immaginazione, proporzioni fantasticamente inadeguate al vero”. In questo modo, si finì col ritenere vera la favola di un Meridione ricco sia di tesori accumulati che di terreni fertili e produttivi. A questo primo periodo seguì, dopo la conquista piemontese, quello della “economia capitalistica”, che impose al Mezzogiorno un rigido sistema fiscale ed un ritmo di vita corrispondenti alle sue esigenze. Secondo Ciccotti, alla struttura capitalistica corrisposero, sul piano della sovrastruttura, le fasi meridionalistiche della disillusione, dell'interpretazione antropologica e dell'analisi storico-economica, ossia marxista. Ciccotti riteneva che la fase della disillusione pur avendo avuto il merito di evidenziare realisticamente “la minore ricchezza del Mezzogiorno, con l'aggravante di un drenaggio permanente, che metodi e sistemi di governo seguitavano a determinarvi anno per anno, […] fu di discussione teorica anziché pratica: fu opera di diagnosi anziché di cura del male non ancora bene indagato ne convenientemente definito”. Ciccotti ritenne che le analisi di questa fase si caratterizzassero per un'impostazione prevalentemente moralistica, la quale attribuendo alla classe dirigente le responsabilità che invece erano inerenti al sistema socio-economico, si precluse la possibilità di “arrivare alla radice del male”, per poi cercare di estirparla. Alla fase della disillusione seguì quella antropologica, che, come è stato prima mostrato, attribuiva alla razza la causa dell'arretratezza del Mezzogiorno. Le tesi della “scuola antropologica” furono confutate da Ciccotti con un articolo pubblicato sulla Questione meridionale di Antonio Renda. Le osservazioni del Ciccotti a questo proposito furono sostanzialmente quattro: 1) “la razza [...] si forma nella storia; 2) pertanto, il degrado delle regioni meridionali doveva essere spiegato in relazione alla loro struttura economica, la cui arretratezza bisognava connettere alla “configurazione geologica e orografica del paese che crea spesso difficoltà grandi alla produzione e alle comunicazioni [...]; 3) il fattore ambientale spiegava il motivo per cui il capitalismo e le condizioni di una civiltà più progredita si fossero sviluppate maggiormente al Nord; 4) inoltre, era indubbio che “nell'ambito di un economia capitalistica, cioè in un mondo dominato dal principio della concorrenza e dallo sfruttamento degli economicamente deboli da parte degli economicamente forti” il Meridione d'Italia non avrebbe avuto la possibilità di riscattarsi, a ciò doveva opporsi il movimento socialista che “tende a mutare le basi della vita sociale e a sostituire il principio della cooperazione a quello della concorrenza”. Come testimonia quest'ultimo passo, per Ciccotti la fase antropologica doveva essere negata e superata da quella storico-economica. Secondo il marxista Ciccotti, le cause dell'inasprimento delle condizioni di generale arretratezza del Meridione dovevano essere ricercate nel modo in cui si era svolto il processo di unificazione risorgimentale, la cui genesi e le cui conseguenze acquistavano, a loro volta, un significato ben preciso in relazione al sistema capitalistico del Nord, da un lato, e a quello semifeudale del Sud, dall'altro. Per l'Italia settentrionale l'indipendenza dallo straniero e l'unità politica furono le condizioni “per un notevole sviluppo commerciale e industriale, necessariamente reso malagevole e soffocato dagl'inceppi della dominazione straniera e poco promettente nei chiusi cancelli di una sola regione autonoma, o d'una provincia aperta alla concorrenza di regioni industriali più progredite”. Salvatore Lucchese
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