Enrico Berlinguer, una mostra fotografica per ricordarlo
A 30 anni dalla scomparsa il ricordo di Enrico, come lo hanno sempre chiamato i compagni, non può essere una commemorazione retorica. Per lui che ha sempre avversato un tale genere di esercizio verbale. Piuttosto è necessario ripercorrere le tappe della sua azione politica da segretario del PCI per riscoprirne l’evoluzione, le lucide e profonde analisi, quei suoi “pensieri lunghi” che tutt’oggi conservano un’assoluta validità. Un esempio per generazioni di militanti la tenacia e il rigore profuso nel difendere quei “valori di gioventù” che non ha mai abbandonato, unitamente all’avversione per le ingiustizie nei confronti dei più deboli. Una scintilla scaturita sin dai tempi dell’assalto ai forni di Sassari in cui migliaia di persone, spinte da miseria e fame, si ribellarono a tale condizione con al fianco Enrico Berlinguer, allora ventiduenne, arrestato dalla polizia quale istigatore della rivolta. Una militanza sospinta da passione, ancorata a un profondo senso del dovere che lo portò a terminare quel suo ultimo comizio di Padova nonostante un ictus fosse già esploso dentro sé. Da quel momento un intero popolo si è sentito orfano di una guida per certi aspetti insostituibile, la cui eredità politica che fino a quel momento aveva poggiato sulle sue esili spalle, sarà parsa insostenibile ai suoi successori in virtù del forte legame che Enrico aveva saputo instaurare con la base, coi lavoratori, con le masse popolari. Nonostante il susseguirsi di numerosi momenti tragici e oscuri della vita repubblicana negli anni ’70 e ’80, non ha mai rinunciato a mantener saldi quei valori democratici e costituzionali frutto della Resistenza antifascista, al punto da rompere i dettami dell’ortodossia comunista e il legame con l’Unione Sovietica. La vicenda dell’omicidio Moro ha segnato uno spartiacque storico, che ha messo fine alla strategia del “compromesso storico” tra i principali partiti di massa. L’esempio dell’esperienza cilena di “Unidad Popular”, con Salvador Allende capo del Governo, aveva indicato la possibilità di un governo di alternativa di sinistra attraverso la via democratica e parlamentare. La tragicità e la violenza dei due eventi chiuderanno definitivamente una stagione e una possibilità di progresso per l’intero Paese. Sconvolge la rilettura dell’intervista rilasciata a Eugenio Scalfari su “la Repubblica” del 28 luglio 1981, conosciuta da tutti come “questione morale”: […] “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.” […] Una profezia che negli anni a seguire molti esponenti politici hanno cercato di esorcizzare con la presunzione di poter liquidare il tutto con l’etichetta del moralismo, o del sommario giustizialismo. Tentativi che non hanno avuto fortuna alla luce degli avvenimenti intercorsi a dieci anni di distanza da quelle affermazioni. Risulta evidente la capacità di analizzare la realtà oggi semi sconosciuta per come ci siamo assuefatti alla “politica degli annunci”, alle dichiarazioni demagogiche e propagandistiche le cui validità non superano in media le dodici ore. Si avverte un gran bisogno di riferimenti autentici, autorevoli, rigorosi e umani come ha saputo essere Enrico Berlinguer, il quale ha interpretato l’impegno civico come una missione da offrire alla collettività, ben lontano dalle lusinghe e dalle vanità del potere. Non possiamo consentire che un esempio così alto possa svanire nell’oblio del tempo, bensì occorre rilanciarne l’esempio e l’eredità politica di cui il nostro Paese ne è rimasto privato troppo a lungo.