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Emiliano: Molfetta è un ospedale vecchio molto vecchio, chiuderlo è un dovere La battaglia per la sopravvivenza
15 febbraio 2017

Preferireste un ospedale vicino a voi ma con pochi specialisti e al massimo un pronto soccorso o un ospedale più completo in ogni settore? è la retorica domanda che circola sempre più spesso nei dibattiti e sui social quando si parla del piano regionale di riordino ospedaliero. Messa in questi termini, la risposta é ovvia: chiunque vorrebbe potersi curare in un ospedale in cui abbia la certezza di trovare la risposta più completa, sicura ed efficiente ai suoi bisogni. E, certamente, un ospedale unico è meno pericoloso di piccoli ospedali che costringano i malati a fare la spola tra vari paesi per una diagnosi completa. Ma la realtà è molto più complessa. Sono tanti gli aspetti di cui tener conto. Non a caso il piano di riordino è stato bocciato due volte nella terza Commissione Sanità della Regione Puglia. Una Commissione che, come tutte le commissioni regionali, può solo esprimere un parere «obbligatorio ma non vincolante» come ha ricordato il consigliere regionale Mario Conca (Movimento 5 Stelle), durante il suo intervento nel recente dibattito promosso dal Comitato per la tutela della salute pubblica. Tutti concordi sulla necessità di mettere mano all’organizzazione del sistema di salute in Puglia ma divisi sul come raggiungere gli obiettivi. IL TAVOLO TECNICO Partiamo dall’incontro promosso dal Comitato (bipartisan) per la tutela della salute pubblica che ha affidato il dibattito a tre esperti, tre medici: Tommaso Fiore, già Assessore alla Sanità della Regione Puglia, Tommaso Fontana già direttore sanitario dell’ospedale di Bisceglie, e Domenico Ruggiero, portavoce comitato per la tutela della salute, moderati da Ottavio Balducci, fiduciario dell’ordine dei medici e Stanislao Caputo, coordinatore dei medici di medicina generale di Molfetta. Un vero e proprio “tavolo tecnico” che ha unito personalità di estrazione diversa, accomunate dalla volontà di migliorare l’offerta dei servizi sanitari del territorio. Ma quali sono le critiche rivolte al Piano di Riordino? La prima è sicuramente l’eclatante carenza di posti-letto che il Piano produrrebbe (la media calcolata è di 1,3 posti letto per 1.000 abitanti, rispetto alla media regionale pari a 2,76 per mille abitanti e a quella nazionale che è pari a 3 per mille) nel nostro territorio rispetto ad altre zone della Puglia. Non a caso il dibattito, al quale hanno preso parte, oltre a numerosi operatori sanitari, il consigliere regionale del M5S Mario Conca, il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma e numerosi ex consiglieri comunali e rappresentanti del mondo politico cittadino, ha visto sulla stessa linea d’onda il sen. Antonio Azzollini e l’ex sindaco di Molfetta Paola Natalicchio, entrambi convinti che la nostra città, il nostro ospedale siano stati umiliati. «.un piano che genera campanilismi – lo ha definito Azzollini, che ha sottolineato - È un piano che dice tre cose diverse». Paola Natalicchio ha aggiunto: «quello di Molfetta è l’ospedale più declassato dei comuni della nostra dimensione. siamo il nono comune di Puglia. vengono penalizzate le due fasce più deboli, ossia i bambini e gli anziani». Il piano di riordino, infatti, prevede il trasferimento dell’ambulatorio di pediatria e del reparto di urologia. «Non solo protesta ma anche proposta, una proposta che sia unica, coinvolgente e condivisa » è stato l’appello del sindaco Depalma. TRE RICHIESTE In sintesi, però, cosa si propone concretamente per rispondere alle esigenze dei cittadini? Il Comitato per la tutela della salute pubblica avanza tre richieste: che, al momento non vengano tagliati i posti letto all’ospedale di Molfetta (e non solo), rimodulando il piano ospedaliero, così come è accaduto nel 2002 col piano predisposto dal governatore Fitto, il potenziamento immediato delle attività specialistiche del poliambulatorio, in altre parole di quella che viene chiamata “medicina territoriale”. Questo aspetto, per il quale da tempo sista battendo il Tribunale per i diritti del malato – è estremamente importante perché le liste d’attesa sono diventate intollerabili tanto che spesso i cittadini (soprattutto anziani) – che rinunciano alle cure se non hanno la possibilità di pagarsi le prestazioni. Altri finiscono col rinunciare per difficoltà logistiche in caso di ricoveri a chilometri di distanza dalla propria città di residenza. La terza proposta riguarda la realizzazione di una nuova struttura ospedaliera, l’Ospedale del Nord Barese Area Adriatica, il cosiddetto ospedale consortile, il cui progetto nasce nel 2011, e che dovrebbe servire il territorio di Bisceglie, Bitonto, Giovinazzo, Molfetta, Palo del Colle, Ruvo di Puglia e Corato e che ha già ottenuto il consenso di diversi sindaci. Perché costruire nuovi ospedali, invece di potenziare le strutture esistenti? Come ha sottolineato Tommaso Fiore «la tendenza attuale è quella di cercare di costruire nuovi ospedali perché complessivamente abbiamo un patrimonio vecchio, che costa moltissimo in termini di manutenzione e richiede ristrutturazioni abbastanza onerose. È, però, evidente che costruire un nuovo ospedale significa fare un’analisi precisa del flusso dei pazienti, delle patologie, del territorio, quali sono le attrattive possibili, tenendo conto di ciò che si trova intorno. Su questo si innesta un calcolo economico inizialmente semplice, poi si passa all’individuazione delle fonti di finanziamento». «I tempi sono sicuramente molto lunghi – prosegue il dottor Fiore – Esistono, però, delle vie più brevi che sono quelle delle fondazioni con una natura giuridica di tipo privatistico ma con una presenza pubblica, ad esempio quella dei Comuni, che permettono di mettere in atto una serie di procedure burocratico-amministrative. Una forma più tradizionale, invece, è quella delle conferenze di servizio. Insomma se si ha voglia di farlo, si riesce». Sì è ipotizzato che la sua costruzione possa avvenire nell’arco di 4 anni, così come accade in alcune regioni del Nord Italia. In attesa della realizzazione di questo progetto, secondo i promotori, non andrebbero toccati i nosocomi esistenti. Diverse anche le proposte per il recupero dei fondi economici necessari alla costruzione del nuovo ospedale: creare fondazioni privatistiche in cui siano presenti anche i Comuni interessati, accesso a fondi europei o esperienze di “project finance”. Sicuramente, come ha sottolineato Fiore «la pianificazione in Sanità è molto difficile poiché va a toccare i problemi di salute delle persone e perché la pianificazione secondaria, in una regione come la nostra, è anche una forma di gerarchizzazione dei territori. L’impostazione data al piano di riordino dovrebbe essere di rete ma, in realtà, è fortemente gerarchica ». RISCHIO DESERTIFICAZIONE Il piano, secondo quanto sottolineato nel corso del dibattito, deve essere applicato entro il 31 dicembre del 2017, e prevede che l’ospedale di Corato sia classificato di I livello ma, successivamente, dovrà confluire nel nuovo ospedale di Andria che sarà classificato di II livello, mentre gli altri nosocomi del territorio sarebbero classificati come ospedali di base. Tale prospettiva comporterebbe una “desertificazione” dell’area compresa tra Andria e Bari, oltre ai negativi effetti che la pressione di un bacino di utenza così ampio provocherebbe, ad esempio, sugli ospedali più vicini. Parliamo di un territorio che conta circa 348.000 abitanti. È plausibile ipotizzare che tale utenza possa riversarsi sui nosocomi baresi e andriesi e che questi possano reggere una tale pressione (che andrebbe ad aggiungersi a quella del loro consueto bacino d’utenza)? E farlo in piena sicurezza per i pazienti? Del resto la struttura era stata già progettata e, come è stato rimarcato nel corso dell’incontro, erano stati individuate le fonti di finanziamento. Il Comitato, dunque, chiede l’inserimento dell’ospedale del nord barese fascia adriatica nelle previsioni a breve e medio temine. Questa opzione, però, pare non avere alcuna chance. Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano interpellato dai giornalisti nel corso del recente sopralluogo nell’ospedale di Molfetta ha, infatti, rimarcato la necessità di «un ospedale di secondo livello ad Andria, cioè del livello più elevato previsto dalle norme italiane. Ad Andria si costruirà un nuovo ospedale. Non è prevista la costruzione di altri nuovi ospedali». IL PRESIDENTE EMILIANO E LA PROPOSTA SPACCAVENTO Ha scelto un’altra proposta, quella rappresentata dal “progetto di Ospedale unico di Primo livello”, idea lanciata in primis dal dott. Felice Spaccavento esottoscritta da diversi operatori sanitari. In pratica si propone di far confluire i reparti in una delle tre strutture esistenti (Molfetta, Terlizzi o Corato). Bisogna, però, individuare la struttura che possa, efficacemente, essere classificata come ospedale di primo livello. Per fare questo Emiliano ha voluto effettuare un sopralluogo nelle tre strutture “candidate”: «Bisogna andare a vedere con i propri occhi le cose, non si può lasciare solo alle carte o ai racconti degli altri la decisione – ha sottolineato – Il presidente può, insieme ai suoi esperti, condurre un’istruttoria per stabilire in termini obiettivi e quindi convincenti per tutti, quale sia la struttura che con maggiore facilità possa accogliere i servizi che costituiranno poi l’ospedale di primo livello. L’ospedale di primo livello è impegnativo, ma consente di mettere insieme tutte le energie, il personale, i macchinari e anche il denaro necessario a far funzionare meglio la sanità di quest’area». Alcune dichiarazioni del presidente Emiliano, però, hanno sollevato ulteriori perplessità, a partire dalla volontà di ufficializzare la scelta della struttura da potenziare solo dopo le elezioni amministrative. Ad alcuni è parso il tentativo di sottrarre un tema così delicato alla campagna elettorale ma temiamo che, invece, offrirà il fianco alla peggiore strumentalizzazione. Michele Emiliano ha assicurato, invece, che questa decisione è dettata dai tempi tecnici, poiché «occorre istituire un gruppo di lavoro tecnico con gli uffici dell’Assessorato alla Sanità che valuterà anche le proposte che le direzioni sanitarie faranno. Vorrei lanciare una piccola sfida per immaginare in ciascun ospedale cosa si possa fare e quindi costruire l’organizzazione sanitaria di primo livello in modo partecipato e dal basso. dei segnali opposti, grazie alla buona volontà del personale, dei dirigenti, dei medici. Stiamo avendo degli punti di riflessione molto utili e soprattutto si sta azzerando il campanilismo, nonostante le campagne elettorali in corso. Dobbiamo separare la politica locale dall’organizzazione sanitaria e non fare come finora quando per non scontentare nessuno, si è lasciato un pezzo da una parte e uno dall’altra, quando invece i pezzi dovevano restare nella stessa parte». Più volte ha detto di aver trovato ospedali mezzi vuoti, reparti sottoutilizzati e, rispondendo ad alcuni commenti sui social ha detto: “Molfetta è un ospedale vecchio, molto vecchio”… “Sono tutti e tre ospedali vecchi ed inutilizzati per più di metà. Chiuderli è un dovere”… “Andrebbero chiusi tutti e tre per quanto sono vecchi ed incompleti. Ma vedremo di farne almeno uno buono”… “Sono ospedali mezzi vuoti, pericolosi ed incompleti tenuti così per compiacere politici e medici”. Nel comunicato stampa diffuso al termine del sopralluogo si legge anche: «Non sarà facile scegliere perché sono tutti e tre ospedali importanti con una tradizione, fermo restando che gli altri non vengono chiusi ma vengono trasformati in presidi sanitari territoriali comunque molto importanti, ma la decisione verrà dal basso, anche dallo stesso personale sanitario che si rende conto delle difficoltà. La scelta dal basso insieme alla Regione è una rivoluzione, perché non lascia la scelta al solo presidente. Perché è facile dire che si vuole salvare l’ospedale del proprio paese, e chiudere quello del paese accanto. Invece bisogna prendersi la responsabilità di fare le scelte migliori nell’interesse pubblico, di tutta la popolazione». Il Governatore ha assicurato che «la valutazione sarà obiettiva, i criteri saranno chiari e valutabili da chiunque». I requisiti potrebbero essere la capienza, ossia la possibilità di accogliere tutti i reparti e i servizi presenti nei tre nosocomi, la viabilità, lo stato della struttura, ossia la minore necessità di interventi di adeguamento e ampliamento. In questo modo si dovrebbero garantire anche gli investimenti realizzati negli ultimi anni. LE BUONE CHANCE DI MOLFETTA Al di là di ogni campanilismo, a questo punto l’ospedale di Molfetta potrebbe avere delle buone chance rispetto ai ‘‘concorrenti’’: è forse la struttura più grande, ha un ampio parcheggio, non avrebbe necessità di ampliamento (non sarebbe necessario costruire una nuova ala), ulteriori spazi si potrebbero ottenere spostando gli uffici del Distretto presso l’istituto Apicella (così come da tempo progettato), si trova a breve distanza dalla Statale 16 e dall’uscita dell’autostrada. Non va dimenticato il ‘‘fattore umano’’: i 60mila residenti, ai quali vanno aggiunte le migliaia di lavoratori e utenti che ogni giorno raggiungono la zona industriale,la zona artigianale e quella commerciale. C’è un altro aspetto, però, che non convince molti, a partire dal Comitato per la tutela della salute pubblica. Si continua ad affermare che la scelta non sia stata ancora effettuata ma, come è stato ripetuto nel corso dell’incontro del 3 febbraio scorso, il piano di riordino ospedaliero approvato in Giunta regionale cita esplicitamente l’Ospedale di Corato tra i 17 ospedali di I livello. Vero è che i documenti possono essere riesaminati e modificati ma, come ha affermato il dott. Fiore, le Istituzioni parlano attraverso le delibere, parlano “per tabulas”.

Autore: Isabella de Pinto
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