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Elezioni regionali. Trasformisti ancora in campo a Molfetta, ma il loro tempo sta terminando? Una riflessione di Corrado Minervini del Movimento “Rinascere”
Il gruppo "Rinascere"
30 ottobre 2025

 MOLFETTA – La campagna elettorale per le elezioni regionali è già in fase avanzata e i trasformisti di Molfetta sono già in corsa per raccogliere consensi e pacchetti di voti per gli ingenui che ci credono e soprattutto per gli opportunisti che sperano di ottenere quantomeno vantaggi politici.

Condividiamo una riflessione di Corrado Minervini del Movimento “Rinascere” (referente Felice Spaccavento) riferita al trasformista principe di Molfetta che passa con indifferenza da destra a sinistra (anche la sua origine è sempre quella di destra) manovrando un pacchetto di voti ai quali nessuno vuole rinunciare. Dopo aver fatto l’uomo ombra dell’amministrazione “ciambotto” di Tommaso Minervini, l’amministrazione del fare il nulla o l’inutile, torna in campo regionale con le solite promesse alle quali crede solo l’ex sindaco, che prontamente si fa risentire per sostenere questa candidatura.

Ma il disastro della città è sotto gli occhi di tutti, una devastazione del territorio operata dalla lobby del mattone che non lascia libero nemmeno un buco, consumando suolo all’infinito, senza produrre lavoro e benessere, ma solo un’economia parassitaria che arricchisce solo pochi costruttori, responsabili dello scempio che è sotto i nostri occhi. Senza considerare che la città è sempre stata interessata da indagini della magistratura (anche ora).

Ma il tempo dei trasformisti sta terminando? Corrado Minervini ci crede: «Recentemente ho letto le dichiarazioni di alcuni politici orgogliosamente trasformisti (absit iniuria verbis) della nostra Puglia. Tra tutte, colpiscono quelle di due esponenti di destra precedentemente accolti dall’anfitrione Michele Emiliano.

Mi riferisco alle penose esternazioni di Stefano Lacatena — che, dopo aver dichiarato di essere stato “fatto fuori” da Decaro, ha cercato immediatamente ricovero nella Lega di Salvini e Vannacci, ma senza successo — e che oggi polemizza con il gigante Gianni Cuperlo.

E mi riferisco alle grottesche dichiarazioni di Saverio Tammacco, che dopo settimane di silenzio — persino rispetto alle sette piaghe d’Egitto abbattutesi sulla città di Molfetta, di cui è stato il manovratore per un quarto di secolo — trova il tempo per un energico post di lancio della sua candidatura.

Afferma, con un pizzico di orgoglio, che “quando si guarda il territorio negli occhi, le cose si mettono in fila da sole”.

La risposta programmata è immediata: molti sostenitori intervengono - legittimamente - sulla sua pagina social per ricordare persino i finanziamenti che avrebbe fatto arrivare ad altri Comuni. Non a Molfetta. Qui, oltre alle chiacchiere sull’Ospedale e alla grottesca farsa di Prossimo negozio — a proposito, è naufragata? — sembra che abbiamo avuto soltanto i contentini del Molfest: una specie di scatola opaca di cui è complicato conoscere il contenuto (i pagamenti per servizi, lavori, attività) e di cui ci si dimentica dopo pochi giorni senza benefici per i cittadini.

Quante parole sul porto. Quante sullo sviluppo. Quante sul lavoro. Ciò che abbiamo visto, tuttavia, sono soltanto palazzi e una discreta quantità di appalti e gare su cui, troppo spesso, la magistratura e la polizia giudiziaria si sono soffermate con preoccupante interesse. Una città completamente fuori controllo e un indice di migrazione giovanile verso altre città impressionante.

Ecco il lascito dell’amministrazione del fare di Tommaso Minervini e Saverio Tammacco: il rovinoso principio di realtà — che ormai possiamo annoverare tra i principi della filosofia locale (altro che Critica della ragion pratica — limiti, fini, morale… figuriamoci, bazzecole!) — in conflitto aperto con Kelsen e in affiancamento entusiasta di Schmitt. La lezione, chiara e spietata, è: “Abbiamo la forza e facciamo quello che vogliamo”.

A terra rimangono tutti i problemi che inaridiscono il territorio come una perenne pioggia acida. Un diluvio universale di parole e cattiva gestione, dove alcuni si riparano sotto l’ala dei potenti, i meno fortunati elemosinano un aiutino (magari proprio in campagna elettorale) e il territorio sprofonda.

Ecco cosa produce il trasformismo: l’assenza di un dovere civico — di cui la mancanza di visione è conseguenza — e la prevalenza degli interessi dei propri portatori di voti.

Una confusione disgustosa, alla quale gli elettori rispondono sempre più spesso con quel maledetto “sono tutti uguali”. E così, più della metà di essi si convince che votare sia inutile. In questi anni di servizio nel movimento Rinascere abbiamo provato a partire esattamente da questo punto: la politica così com’è disgusta e noi abbiamo il dovere di costruirne un’altra. Insieme agli altri, ma con una chiarezza di valori e prospettive. Di orizzonte.

Traggo due conclusioni, e ve le sottopongo:

  1. La vicenda Lacatena ci dimostra che, a furia di giocare a destra, a sinistra, sopra e sotto, anche un abile giocatore di poker — con un cospicuo gruzzolo di consensi — alla fine può restare fuori. E mi viene da pensare ai saltafossi di Molfetta, che nemmeno quel gruzzolo di consensi hanno.
  2. La vicenda Tammacco, invece, ci costringe a guardare dentro di noi. Senza alibi e senza deviazioni: c’è una politica che si nutre delle metastasi del nostro territorio. Ci scarnifica, ci priva di senso e di opportunità, per mantenere il potere. Alimenta interessi particolari e distrugge le prospettive di futuro che, invece, possiamo pretendere e ottenere.
La nostra è una terra meravigliosa. E di fronte a tutto questo siamo chiamati a una responsabilità senza scorciatoie: non basta dire “io quello non lo voglio”. Addirittura qualcuno dice “non voto perché si candida quello o quell’altro”. Che tenerezza… Non abbiamo un’altra strada che sconfiggere questa politica mediocre nelle urne. Con il nostro voto. Nessun’altra strada possibile.

Non abbiamo altre strade se non spiegare a ogni cittadino cosa avvelena la vita comune della nostra città e cosa dobbiamo fare per tornare una comunità sana e orgogliosa di se stessa.

Nessuna scorciatoia: solo il voto, le idee e la capacità di confrontarsi.

Il tempo dei trasformisti sta terminando
Corrado Minervini».

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