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Duplice omaggio ad Antonio Nuovo Mostra antologica alla Sala dei Templari e alla Galleria54 Arte Contemporanea
15 dicembre 2019

Doveroso il duplice omaggio che la città di Molfetta rende in questi giorni al pittore Antonio Nuovo. Nella Sala dei Templari, il 7 dicembre, è stata inaugurata la mostra antologica di opere dal 1926 al 2008, patrocinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Molfetta. A introdurre l’evento è stato il prof. Gaetano Mongelli, storico dell’arte e curatore di un catalogo (i “pensieri in libertà”, come li ha definiti) dedicato alla produzione del pittore molfettese, presentato a Molfetta mercoledì 11 dicembre. Mongelli, nel corso dell’inaugurazione, ha sottolineato la maestria di Nuovo, seguendo gli snodi principali della sua produzione ed evidenziandone la felice “rosa di contaminazioni moderniste”. Il vernissage ha avuto luogo in presenza del Sindaco Tommaso Minervini, che, con nostalgia, ha ricordato un’indimenticabile generazione di maestri della cultura nella nostra città; dell’Assessore alla Cultura, Sara Allegretta, incantata dalla magia della produzione di un artista capace di muoversi sapientemente sulla linea del tempo, affondando le radici nella mediterraneità. Sono intervenuti anche il gallerista Michele Vitulano e una commossa Maria Colamartino, vedova Nuovo. Una selezione di opere raffiguranti I racconti di Tonino Nuovo sarà esposta sino al 31 gennaio (data di termine anche dell’allestimento dei Templari) presso la galleria 54 Arte contemporanea; l’inaugurazione si è tenuta l’otto dicembre, con successo di pubblico. Si sono succeduti gli interventi dell’assessore Allegretta e di Franco Valente, che ha annunciato l’apertura, presso 54 Arte Contemporanea, al termine della mostra, di una saletta di opere di Antonio Nuovo in esposizione permanente, donate da Maria Colamartino. Un ricordo di Nuovo di Vittoria Facchini ha innestato un dibattito polifonico, in cui sono intervenuti, tra gli altri, Gaetano Mongelli, Mauro Mezzina e il direttore di “Quindici”, Felice de Sanctis, sulla situazione culturale di Molfetta, soprattutto in merito alle nuove generazioni. Antonio Nuovo ha saputo esprimersi con genialità in ogni soggetto con cui si è misurato. Dagli arcani dei Tarocchi (per i quali Mongelli ha ricordato l’opera di Nicolas Conver, ma anche la sapienza combinatoria, in ambito letterario, di Italo Calvino) alle nature morte, sino ai soggetti ispirati al tema del sacro, la forza inventiva e la capacità di trasfigurazione del reale, per poi esprimerne l’essenza, si impongono all’attenzione dell’osservatore. Per commentare l’arte di Nuovo, mi tornano in mente delle affermazioni che Horkheimer avanzò a proposito della cosiddetta “arte inospitale”, termine con cui accomunava, tra gli altri, l’opera di Picasso in ambito pittorico, di Schönberg (richiamato anche da Sara Allegretta nel suo discorso) nel campo musicale e di Trakl in poesia. Diceva che sono proprio le “opere inospitali” a mantener “fede all’individuo contro l’infamia dell’esistente” e che pertanto “esse preservano il contenuto autentico della grande arte del passato; sono molto più profondamente affini alle madonne di Raffaello e alle opere di Mozart di tutto ciò” che gli appariva proteso a ripetere “pappagallescamente la loro armonia, in un’epoca in cui la spensieratezza si è trasformata in maschera della follia e i volti tristi della follia sono diventati l’unico indizio di speranza”. E la pittura di Antonio Nuovo determina un costante senso di straniamento, che però non inquieta, perché nella lunare essenza di questa produzione senti vibrare ciò che di più autenticamente umano possa essere concepito. I suoi ‘racconti’ ti conducono in una dimensione che spazia dal Medioevo al Rinascimento al contemporaneità, combinando le suggestioni più disparate, in un clima di surrealtà che, anche quando allude al Memento mori (e ciò avviene spesso, perché nei lineamenti seducenti della bellezza si cela già il germe del disfacimento e il viso non di rado cede al teschio), lo fa con levità. Lo percepisci distintamente mentre ammicca con ironia alla Venere dormiente, ripropone con moduli differenti il motivo del giardino edenico o ci offre figure di fool variamente declinati. Molteplici solitudini si sovrappongono, da quella dello spaventapasseri in campo aperto o dei Pierrot, figli della Malaluna, sino a quelle, tanto affini eppure notevolmente diverse, dell’incappucciato (confratello o boia?) e del gatto nero che contempla la Luna piena e si fa icona di levità, perché nelle sue escursioni sui tetti può sentirsi più vicino al cielo. Estremamente condivisibile l’accostamento effettuato dal prof. Mongelli, quando parla di “ammiccamenti (…) pressoché sincroni «alla» e «dalla» filmografia felliniana”. I suoi Racconti, più che essere informati da un’intenzione meramente narrativa, divengono una festa dello sguardo anche quando ci offrono figure espressionisticamente deformate; in quel procedere per visioni smaglianti e acute si cela una rara capacità di cogliere ciò ch’è immanente al visibile, di scrostare le immagini reali per rivelarne l’intima natura. L’umanesimo dell’armonica disarmonia. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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