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Donne in giunta, punto e a capo Il sindaco Azzollini elude il Tar
15 ottobre 2008

Il ricorso promosso dalla consigliera regionale di Parità Serenella Molendini, dalla presidente della Commissione regionale di Pari Opportunità Magda Terrevoli, dall'Associazione “Tessere” Rosangela Paparella e dall'avv. Francesca la Forgia, su sollecitazione della Consulta Femminile del Comune di Molfetta e della sua presidente Maddalena Altomare, contro la composizione esclusivamente maschile della giunta, ha portato alla sentenza del TAR Puglia, lo scorso settembre che ha bocciato la Giunta di centrodestra del sindaco Antonio Azzollini per non aver inserito alcuna donna come assessore, dando 8 giorni di tempo per provvedere alla nomina. Una risoluzione che ha legittimato formalmente le proteste condotte a partire da luglio dalla consulta femminile e dai consiglieri di opposizione, che hanno rivendicato il rispetto dell'art. 37 dello Statuto Comunale, affinché “sia assicurata la presenza dei due sessi in giunta” e del principio di pari opportunità stabilito nell'art. 51 della Costituzione. Già la consigliera Carmela Minuto (Udc) chiedeva l'intervento del Prefetto di Bari, portava la denuncia del mancato rispetto degli articoli di fronte al ministro alle pari opportunità Mara Carfagna. Innumerevoli sono stati i comunicati della consulta che miravano a sensibilizzare la cittadinanza sulla violazione di un diritto fondamentale delle donne. Quello di poter esprimere le proprie esigenze nella massima istituzione cittadina, mettendo il sindaco al centro di nuovi spunti e indirizzi all'insegna della cittadinanza intera. La risposta del sindaco in consiglio comunale è violenta e autoritaria. La necessità di inquadrare le accuse nel rispetto dell'autorità porta Antonio Azzollini a sovrastare ogni voce dissenziente in un inno all'ineccepibile identità del sindaco. Azzollini invita l'opposizione a vergognarsi per le accuse infondate che hanno coperto il sincero rispetto della maggioranza nei confronti delle donne, e che hanno oscurato la giustizia insita nel rispetto della volontà popolare. Il sindaco viene trascinato dalle parole in una corsa alla distruzione delle posizioni avversarie, si indigna, trova nell'agio offerto del dialetto lo strumento per innalzare la propria voce su tutti gli altri. Alcuni consiglieri vanno via, il sindaco lascia dietro di sé un alone di stupore. Il massimo rappresentante della volontà popolare che subordina il valore delle sue parole al tono della sua voce, che sintetizza gli indirizzi politici che inevitabilmente animano il dibattito consiliare in un'unica voce strana ma potente, totale e intransigente. Una voce che non ammette rimbalzi di ogni genere, copre fino ad annullare il peso di una denuncia che ha percorso Molfetta e non solo. Il video del sindaco furibondo stuzzica il divertimento di tutti i molfettesi fino ad essere portato sulle maggiori reti televisive italiane come esempio di cattiva amministrazione. L'esempio di un sindaco che trova in se stesso il fondamento di ogni decisione, rifiutando di far scaturire l'essenza di ogni azione politica dalla volontà popolare portata a sintesi in Consiglio. Negando il riconoscimento del ruolo dello Statuto e della Costituzione. Fino alla messa in discussione dei diritti fra i più ambiti dell'età moderna, la cui acquisizione ha comportato lotte e inversioni di prospettive, come quello delle donne di dar forma alle istituzioni, insieme all'uomo, al fine di dirigerle a sostenere l'oggettivazione di entrambi i sessi. Del resto il rifiuto di dialogare con i giornalisti e di concedere intervista solo a giornali “amici”, conferma in quale scarsa considerazione il sindaco tenga la democrazia. La lingua incomprensibile, che le reti televisive sottotitolano grossolanamente, mira a render conto della singolarità del personaggio, dell'estremo individualismo che domina ogni presa di posizione di fronte ai problemi, ricondotti all'unità originaria dell'«io», senza che questa risenta minimamente dell'importanza della volontà altrui. Anche in consiglio comunale. E puntuale la denuncia del TAR arriva a siglare il comportamento del sindaco come irrispettoso nei confronti dello Statuto, dandogli otto giorni per la nomina di almeno un assessore donna. Ma per Antonio Azzollini ogni imperativo esterno non può che vivere per se stesso senza comportare la minima limitazione delle sue personali decisioni, che si legittimano grazie solo all'individualità che le ha emesse. Al di là di ogni differenza di genere che arricchisce il genere umano, ogni indirizzo politico ha la sua origine nel solo potere di maggioranza. E così, il sindaco si oppone al TAR riproponendo la stessa giunta, giustificando la decisione col fatto che «le nomine, in quanto atti di natura politica, sono motivate dal rapporto di fiducia esistente tra il primo cittadino e gli stessi assessori e sono avvalorate dal suffragio popolare ottenuto in occasione delle ultime elezioni amministrative». E' evidente così la coerenza del sindaco con la sua idea da lungo tempo affermata secondo la quale la partecipazione popolare si esprime esclusivamente al momento del voto. Per tutto il tempo a seguire, evidentemente, l'unico termine di confronto per ogni decisione non è altro che se stesso. Ci chiediamo come gli schemi numerici in cui sono stati inquadrati i diritti di maggioranze e opposizioni possano sostenere una prospettiva politica che guarda inevitabilmente in una sola direzione, ad un solo genere, subordinando la rappresentazione delle donne al buon senso di un gruppo. Di soli maschi. Quasi le istituzioni fossero degli strumenti nelle mani di pochi, piuttosto che l'esplicazione delle direttive popolari al fine di costituire una società all'insegna dell'uomo. E della donna.
Autore: Giacomo Pisani
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