Don Tonino sul passo degli ultimi
A volte si ha solo bisogno di una testimonianza del bene per metterlo in pratica. In una società egoistica come quella odierna, dove c’è mancanza di interesse verso gli altri, risulta sempre più difficile credere che esista qualcuno disposto, come sosteneva Schopenhauer, ad amare dell’umanità l’umanità stessa. “Quindici” ha intervistato la direttrice della Casa Editrice “la meridiana”, Elvira Zaccagnino, che ha riportato la testimonianza di don Tonino Bello e del suo rapporto con i poveri. Qual era il rapporto di don Tonino con i poveri? «La scelta episcopale di don Tonino ha portato la Chiesa, la sua Chiesa, a tenere lo stesso passo degli ultimi. È così che definiva i poveri, tanto da chiamare il suo progetto pastorale “Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi”. Don Tonino teneva a precisare come poveri non si nasce, ma si diventa, dandoci quella spinta a trovare le cause sociali che generano la povertà per poterle eliminare. La stessa scelta di vita compiuta da don Tonino era una scelta di povertà: proprio con gli ultimi il vescovo condivideva il proprio tempo e i propri spazi. L’impegno di don Tonino ha sempre avuto la triplice sfaccettatura che prevedeva la denuncia, l’indicazione della soluzione e la messa in pratica per primo di quest’ultima. La sua grandezza risiedeva proprio nel non limitarsi ad osservare e a capire cosa si potesse fare per migliorare le condizioni dei più bisognosi, ma nell’intervenire concretamente». Può citare un esempio a proposito? «Quando ci fu il problema degli sfrattati don Tonino si rese conto che bisognava dare a queste persone una possibilità e mise a disposizione l’episcopio». Cosa è cambiato secondo lei da allora ad oggi? «A mio parere è cambiato, ed è ancora in evoluzione, il concetto di “sentirsi comunità”. Don Tonino aveva la capacità di far sentire la diocesi, composta da quattro città diverse fra loro sotto vari aspetti, un’unica comunità dove laici e credenti avevano possibilità di impegno che li vedevano alleati proprio nel servizio alle persone. Il suo insegnamento più grande è stato quello di farci capire che è possibile costruire una storia diversa. Oggi le comunità sono slegate al loro interno, sono orientate più al culto che alla condivisione di stili di vita che mettano in discussione la nostra fede e il nostro modo di incarnarla in questo tempo. Manca la prospettiva di analisi dei bisogni in maniera comunitaria e la ricerca di soluzioni condivise. Ma non solo: avverto anche la mancanza di qualcuno che funga da faro, o meglio da sentinella, come piaceva dire a don Tonino, per indicare alla comunità la strada possibile da percorrere con la comunità stessa». Qual è l’esperienza più forte che ricorda a proposito di don Tonino e dei poveri? «Ricordo un’estate in cui fui partecipe di un’esperienza di volontariato molto forte presso due case di riposo, quella comunale che ora non esiste più e la casa di riposo “Don Grittani” della città in cui vivo, Terlizzi. In quella comunale vi era solo indigenza, mancavano acqua e servizi primari, bisognava assolutamente fare qualcosa per assistere gli anziani, privi di risorse ma soprattutto di affetti. Io e gli altri volontari ci prendevamo cura di loro in tutti i sensi: li lavavamo, li cambiavamo, davamo loro da mangiare. Credo che quest’esperienza mi sia rimasta particolarmente impressa perché mi permise di stare a diretto contatto con il bisogno. Avevo 17 anni, c’erano momenti in cui volevo fuggire, ma non potevo perché avevo fatto una scelta, quella di prestare il mio servizio, per cui non avrei mai potuto abbandonare tutto. Io e gli altri volontari, direi la mia generazione, quella che ha condiviso gli anni di don Tonino, si è formata una coscienza di responsabilità». La formazione di una coscienza di responsabilità: è di questo che avremmo tutti bisogno in un momento, di bisogno appunto, come quello che stiamo vivendo. © Riproduzione riservata