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Don Corrado Salvemini carismatico educatore di coscienze
15 febbraio 2019

Era alto e magro, don Corrado. I suoi occhi celesti brillavano nel volto abbronzato. Suo padre Ignazio Salvemini era proprietario di paranze e sua madre Elisabetta Minervini una solerte casalinga. Insomma due coniugi economi e laboriosi, vivido esempio per i figli. Corrado Salvemini nacque a Molfetta il 9 dicembre 1833 e nello stesso giorno fu battezzato in Cattedrale. Come egli stesso racconta, la sua formazione si compì nel Seminario Vescovile tra il 1848 e il 1856, in una fase di profonda crisi, di lotta fra il «terrorismo bianco» dei Borbone e il «liberalismo benefico» dei patrioti risorgimentali, che voleva trasformare e «umanizzare» le istituzioni politiche, civili, sociali ed educative dell’Italia. Trionfò il liberalismo e il Seminario di Molfetta fu una delle più ardenti fucine liberali del Sud, ma «senza ostentazione, senza clamore», grazie al rettore Sergio de Judicibus, che teneva «le chiavi del cuore» del vescovo Nicola Guida e nel 1857 varò un nuovo piano di studi per il Seminario. In esso un posto fondamentale fu destinato alla storia, prima ridotta al solo periodo romano e tenuta in disprezzo, ma da allora ampliata ai secoli successivi ed elevata a «educazione veracemente italiana». In quello stesso anno de Judicibus chiamò Corrado Salvemini a insegnare storia e geografia in tutte le classi seminariali. Salvemini non era laureato, ma era un educatore nato. Insegnò nel Liceo del Seminario Vescovile e in quello Municipale, regificato nel 1903, per 59 anni di fila, dal 1857 al 1915. Nel contempo insegnò per pochi anni nel Liceo Vescovile di Trani e per parecchi anni nella Scuola Tecnica di Molfetta, dove fu incaricato anche per aritmetica e “diritti e doveri”. Corrado Salvemini, ordinato sacerdote il 6 giugno 1857, divenne maestro di intellettuali come Raffaele De Cesare, Gaetano Salvemini, Francesco Carabellese, Saverio La Sorsa, Piero Delfino Pesce e tanti altri. Don Corrado, per agevolare lo studio dei discepoli, preparò un Grande quadro murale sinottico della storia romana, che fu premiato con medaglia di bronzo nel 1872 nella 4a Esposizione didattica dell’VIII Congresso pedagogico italiano di Venezia. Il riconoscimento fu assegnato in quanto il quadro storico era «fatto con giudiziosa ripartizione e molta utilità pratica dell’alunno». Mentre era direttore della Scuola Tecnica l’avv. Giuseppe Panunzio, deputato costituzionale tra il 1886 e il 1890, si pensò di aggiungere ai tre corsi ordinari un quarto anno complementare con indirizzo commerciale. Allora don Corrado ritenne opportuno riepilogare sinteticamente tutta la storia d’Italia in tre quadri: antico, medievale e moderno. Su quella strada nel 1889 portò alla luce un Quadro sinottico delle dominazioni in Italia. Intanto nel 1880 l’amministrazione comunale di Molfetta aveva chiesto il pareggiamento del Liceo-ginnasio vescovile e quando l’anno dopo Francesco D’Ovidio, docente di storia comparata delle lingue neolatine all’Università di Napoli, ispezionò la scuola di Corrado Salvemini, nella relazione al Ministero della Pubblica Istruzione sottolineò la buona preparazione degli allievi e la non comune libertà di giudizio nel sacerdote. E concludeva così: «La impressione che il Salvemini mi fece fu insomma quella di un maestro non solo esperto della materia sua, ma atto a comprenderne tutto lo spirito». Grazie a quella relazione, l’educatore ottenne il titolo di abilitazione all’insegnamento. Don Corrado era un uomo generoso e, alcuni proprietari di sua conoscenza, che, travolti dalla crisi commerciale e agraria di quegli anni, poi non furono in grado di pagare i debiti. Allora i creditori si rivalsero accanitamente sul sacerdote, che fu costretto ad aumentare le sue ore di lavoro per far fronte agli impegni per cui aveva offerto incautamente garanzia. Fu così che dal 1893, sottoponendosi a una più grave fatica, andò a insegnare anche presso il Seminario di Trani, non solo storia, ma pure lettere italiane. Dopo che il Liceo-ginnasio del Seminario di Molfetta nel 1894 ottenne finalmente il pareggiamento, la valutazione positiva dell’eccellente docente di storia fu confermata dai regi commissari che presiedevano le commissioni esaminatrici, come Giacinto Romano, allora professore al Liceo “Parini” di Milano, e Amedeo Crivellucci, docente di storia moderna all’Università di Pisa. Corrado Salvemini ottenne anche il plauso di Bonaventura Zumbini, professore di letteratura italiana all’Università di Napoli. Ma è soprattutto il parere dei discepoli che spiega la sua passione per la storia e tutto il fascino didattico del maestro, carismatico educatore di coscienze con le sue spiegazioni limpide ed equanimi e col suo alto senso del dovere. Raffaele De Cesare ricordava come don Corrado tenesse le sue «lezioni di storia moderna con spirito ghibellino». Francesco Carabellese, in una lettera del 1896 a Pasquale Villari, rammentava il suo «primo professore di Storia, il quale» era «uno de’ migliori» ch’egli avesse «conosciuti in Italia». Gaetano Salvemini, in una missiva fiorentina del 27 gennaio 1921 all’avv. Giovanni Pansini, che stava organizzando una commemorazione per il maestro scomparso, scriveva: «era quel che si direbbe oggi un cattolico modernista; allora si chiamavano cattolici liberali. […] Don Corrado parlava con semplicità, con chiarezza, con ordine, con efficacia meravigliosa. Solo le idee essenziali, scolpite in formule caratteristiche. I fatti non mai isolati gli uni dagli altri, come materia bruta per la memoria, ma sempre concatenati dai rapporti di causa e di effetto, in modo che i legami logici risultassero nitidi e sicuri». Saverio La Sorsa nel marzo del 1948 rivelava: «Si aspettava la sua lezione, come un’ora di alto godimento spirituale. Più che storia insegnava filosofia, morale, politica, letteratura, critica e sociologia». E l’anno dopo a Firenze, nella prolusione universitaria sui propri antichi maestri, Gaetano Salvemini aggiungeva: «L’uomo aveva letto la Rivoluzione francese e Consolato e Impero di Thiers e parlava di quegli avvenimenti con calore di simpatia ed eloquenza». Corrado Salvemini divenne il primo presidente della sezione molfettese della Società “Dante Alighieri”, costituita il 2 gennaio 1898 con una conferenza di Francesco Carabellese, eletto segretario, nell’aula consiliare. Qui per l’associazione, nell’adunanza generale del 27 novembre 1898, don Corrado tenne il discorso Del patriottismo italiano, che venne stampato l’anno seguente dalla Tipografia Candida di Molfetta. Nominato dal Consiglio comunale nel settembre 1899 docente di storia nel Liceo pareggiato municipale di Corso Umberto, Corrado Salvemini nell’adunanza del 17 novembre successivo lesse in una sala del Liceo il discorso Il secolo XIX. Mentre questo lavoro era ancora inedito, il suo discepolo Piero Delfino Pesce (1874-1939), avvocato molese, che dal 2 aprile 1899 al civico n. 198 di Via Piccinni in Bari dirigeva la rivista Aspasia. Cronaca d’Arte, agli inizi dell’anno successivo chiese all’antico maestro un intervento per il suo quindicinale artistico-letterario. Don Corrado il 25 gennaio 1900 si scusò per lettera di non avere la competenza necessaria, ma gli propose in alternativa il suo discorso storico su Il secolo XIX. Dietro segnalazione del caro amico Ignazio Pansini, bibliotecario emerito che ringrazio per la sua generosa indicazione, trascrivo qui di séguito la missiva inedita di don Corrado a Pesce: «Pierino carissimo, | Io non so far nulla come ti ho detto altra volta, degno della tua Amicizia: non poeta, non letterato, non artista io sono. Ed il tuo periodico tratta di arte. Dunque che vuoi che io pensi e scriva da essere ben accolto ed accetto in quello? Mi dispiace di non potere contentarti: e ciò non viene da mal volere. Ti scrivo anzi, che dovendo pubblicare un mio discorso intorno al secolo 19° letto nell’adunanza della nostra Dante molfettese nel solo interesse dell’Associazione, se credi di pubblicarlo nell’Aspasia, io ne sarei soddisfatto e superbo. | La nostra associazione risparmierebbe le spese di stampa: e quel numero di copie che tu credi di mandarmi si venderebbe ai giovani a beneficio della Dante. Questo posso fare e dare all’amicizia onde tu mi onori. Che dici? Non sarebbe una stonatura in un periodico di arte un discorso politico, che non ha neanche il merito di una forma elegante? A me pare sì: ma tu sei il direttore; prendi consiglio dal tuo senno: io mi metto a tua disposizione. | Mi rincresce sentire che il tuo periodico, quanto a spese, va a rompicollo, e che le tue fatiche enormi potranno riuscire a un nonnulla. Ma la fede vince tutto, tempesta i monti: fede dunque nei tuoi propositi, e non fallirai a glorioso porto. | Abbiti i più cordiali saluti dal | Tuo devotissimo Amico | Corrado Salvemini». In Aspasia Pesce pubblicava saggi artistici, novelle, recensioni, poesie e cronache d’arte, ma non contributi storici. Quindi non poté accontentare il maestro. Tuttavia lesse il lavoro e, pur trovando a suo avviso ridondanti taluni nomi e fatti storici e criticando qualche elemento dell’aspetto formale, ne diede un giudizio positivo, affettuoso e lusinghiero. Lo si desume da un’altra lettera inedita di don Corrado a Pesce: «Carissimo Pierino | Proprio oggi colla tua lettera mi si annunzia la triste notizia della morte di vostro Zio. Esprimo le mie più sincere e sentite condoglianze, e ti prego di fartene interprete con tuo Padre. | Ero ansioso di sentire il tuo giudizio intorno al mio discorso, come di cosa che si ha molto cara. Me lo hai scritto; l’ho letto e riletto. In verità non saprei quali fatti e quali nomi avrei potuto tacere senza portare oscurità ed indeterminatezza all’idea cardinale. Io mi sono ingegnato, e mi ha costato non poco, di condensare tante cose senza offendere la chiarezza. | Erano due secoli che principalmente si presentavano alla mia mente: i quali si lumeggiano per la lotta delle due politiche, la dinastica e la democratica. Ò dovuto perciò premettere delle notizie relative al 18° secolo; le quali forse sembrano soverchie; ma io le vedo necessarie per intendere lo spirito della restaurazione. Della rivoluzione francese che sta in mezzo, mi premeva ben stabilire il suo spirito pacifico, e difenderlo dall’accusa di sanguinario che gli si dà comunemente: è lo spirito del nostro secolo, spirito di giustizia e di pace. E di questo secolo non ho, che accennato i punti culminanti della grandiosa lotta, tacendo i nomi di tanti eroi e le loro gesta, tanto degne di ricordo. Insomma ò cercato d’esser breve: e mi dispiace che io non sia riuscito. | Riconosco vera la tua osservazione, quanto alla forma, che non è perfetta. Lo credo anch’io; la penna ubbidisce stentatamente al pensiero. Di questo n’è cagione la poca pratica di scrivere nella mia vita. Certe doti di scrivere non si acquistano che coll’esperienza. Però son contento che non sia una forma nebulosa ed enigmatica. | In fine ti ringrazio assai del giudizio che in fondo è lusinghiero e forse un po’ superlativo. L’affezione, comunque si voglia essere indifferente, vela il pensiero. Leggendo il mio discorso tu non hai dimenticato che l’autore ti amò e ti ama sempre. | I miei più cordiali saluti | Molfetta 13 Febb. ’900 | Corrado Salvemini». Nonostante la mancata pubblicazione in Aspasia, il nuovo discorso di don Corrado non rimase inedito, perché nel 1900 fu affidato ai torchi della Tipografia di Stefano De Bari in Molfetta a cura della sezione locale della “Dante Alighieri”. Più tardi Gaetano Salvemini entrò in possesso di una copia del saggio Il secolo XIX del suo antico maestro e lo donò alla Biblioteca della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze, dove credo che ancora si trovi. Nel 1915, dopo quasi sessant’anni di ininterrotto lavoro, don Corrado per legge fu collocato a riposo, per sopraggiunti limiti di età, ma senza pensione. Non potendo continuare a sostentarsi con l’insegnamento essendo privo della laurea, visse silenziosamente gli ultimi anni in dignitosa e solitaria povertà, ritirandosi con cristiana rassegnazione nella sua casina di campagna. A onor del vero, non l’avevano dimenticato né diversi discepoli né alcuni amici, tra cui il gentiluomo Gioacchino Poli, che verosimilmente gli propose un incontro fra intimi. Con una lettera del 13 giugno 1919 don Corrado declinò l’invito così: «Gioacchino carissimo | Gratissimo della incrollabile amicizia che tu mi dimostri spesso spesso e della buona memoria che conservi di me ricordandomi ogni volta te ne capita l’occasione, te ne ringrazio di gran cuore. Sentomi onorato grandemente vedendomi ricordato tra tanti cospicui ed insigni uomini, giovani di cuore nobilissimo e di mente eletta. Te ne sono immensamente obbligato e ti prego di ringraziare a nome mio i bravi amici che ancora si ricordano di me. | Caro Gioacchino, ti confido con tutta lealtà che mi sento così accasciato per età e per condizioni morali ed economiche, che non ho voglia di niente. Tienimi perciò per iscusato. | Tu non puoi pensare quanto m’è penoso quest’ultimo stadio della vita. Ed io non voglio annoiare nessuno con queste mie inutili querimonie. Perciò ti saluto cordialmente e credimi sempre | Tuo amico | C. Salvemini». Don Corrado si spense nel suo eremo campestre il 26 ottobre 1920, quasi a 87 anni. La sua salma fu portata nella chiesa dei Cappuccini e nel pomeriggio un corteo di discepoli trasportò a spalla il proprio amato maestro fino al cimitero. Qui fu sepolto tra le tombe delle dilette nipoti Mariannina Camporeale Salvemini, morta ventenne nel 1896, e Isabellina Valente Salvemini, deceduta nel 1908. Sulla sua lapide si legge: «CORRADO SALVEMINI | DENTRO QUEST’URNA FRA I DUE AMORI | ISABELLINA E MARIANNINA | MESSAGGERI DI PACE E GIOIA NELLE TRISTIZIE DI SUA VITA | LIETO RIPOSA | SPERANDO TROVARNE INSIEME | GAUDIO SEMPITERNO | 26 OTTOBRE 1920». A Giacinto Panunzio che gli chiedeva di venire a Molfetta a commemorare il maestro, Gaetano Salvemini, stremato dalle fatiche in Parlamento, rispondeva così da Roma il 21 dicembre successivo: «Nessuno più di me ha rispettato la memoria di don Corrado Salvemini. Ma il modo migliore di rispettarla è di fare il proprio dovere». Due mesi dopo, il 27 febbraio 1921, l’instancabile maestro di tante generazioni fu ricordato con un foglio commemorativo da un comitato capitanato dall’avv. Giovanni Pansini. Il 3 gennaio 1948 il Consiglio comunale, riunito in sessione straordinaria, con sindaco il comunista Matteo Altomare, deliberò di aggiungere un quadro di Corrado Salvemini alla Galleria degli uomini illustri di Molfetta. L’incarico di realizzare il ritratto fu affidato al pittore Leonardo Minervini. © Riproduzione riservata

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