Disoccupazione due storie: tra amarezza, abbandono e speranza
Due storie, due realtà differenti, unite nello stesso dramma: la disoccupazione, nel peggiore dei casi l’abbandono. Con la speranza di poter trovare un lavoro. Quindici ha raccolto due esperienze di vita (gli intervistati hanno preferito l’anonimato), che descrivono la violenza della crisi che consuma la serenità del singolo e lacera l’unità della famiglia. GIOVANNI: DISOCCUPATO, MA SPERO ANCORA «È una situazione drammatica, un vicolo cieco senza possibilità di uscita ». Lapidario Giovanni, 900 euro di disoccupazione da novembre, sposato e con un figlio a carico. Lavorava in un’azienda edile, ma la crisi del settore ha spezzato le gambe all’impresa che prima ha messo in cassa integrazione alcuni operai, poi ha licenziato gli altri. E a quanto pare avrebbe dichiarato proprio a maggio fallimento. «Ora mi arrangiavo con qualche lavoretto a nero. In alcuni casi, si sono pure approfittati del mio bisogno di lavoro e poi mi hanno scaricato». Con l’umore a pezzi e una bassissima autostima, come ha confessato a Quindici, Giovanni non è riuscito ancora a trovare un lavoro e la crisi attuale rende impossibile qualsiasi ricerca. Del resto, con i suoi 57 anni e senza particolari titoli di studio, la nebbia cala sempre più fitta sulla sua famiglia. A novembre di quest’anno terminerà la disoccupazione e «allora dovremmo arrangiarci, un po’ come facciamo ora». Infatti, con la disoccupazione mensile, la famiglia di Giovanni riesce a vivere dignitosamente, seppur con alcune rinunce, soprattutto sui cosiddetti beni di lusso. «I beni di prima necessità non mancano mai a tavola, ma le grandi spese si sono ridotte a una sola volta al mese, come, ad esempio, anche gli acquisti di indumenti - ha spiegato -. Anzi, alcuni cugini passano a mio figlio le robe e così abbiamo ovviato al problema». Un sorriso di velato sarcasmo, ma l’amarezza è profonda. E l’ansia è sempre dietro l’angolo. La paura, invece, è l’incubo di sempre. «Prima non mi fissavo così tanto sulla mancanza di lavoro, mi sono un po’ addormentato, per giunta ho anche preso qualche chilo, poi con il passare del tempo è tutto cambiato. Ora la mancanza del lavoro è quasi un’ossessione. Un pensiero fisso». Le uscite si sono ridotte e i pomeriggi si consumano o alla televisione o nel letto a dormire. «Non riesco a trovare altri lavori, non c’è nessun lavoro, nemmeno alle agenzie di lavoro o al centro per l’impiego». «Molti altri sono nelle mie stesse condizioni, qualcuno sta lavorando ancora per l’azienda che ci ha licenziati, ma senza essere assicurato». Appena 6-7 anni alla pensione, ma Giovanni, nonostante le difficoltà e una situazione davvero critica, non si scoraggia. «È inutile abbattersi, rinunciare a vivere o uccidersi. In questo modo si fa’ del male solo alla propria famiglia e, soprattutto, ai figli. Invece, è necessario continuare a sperare che una soluzione si possa sempre trovare, senza cullarsi nella disperazione o nel vuoto circostante». ANTONIO, LASCIATO DA MOGLIE E FIGLI Antonio, 55 anni, tornitore. Licenziato a settembre 2011. L’azienda non poteva pagare più gli operai. Ora è in disoccupazione. E non riesce a trovare lavoro. Vive da solo in casa: abbandonato dalla moglie che ha portato con sé i due figli piccoli alla casa dei genitori. «Uno strappo letale in un momento così delicato della mia vita, la mia famiglia mi ha abbandonato - ha raccontato a Quindici -. Mi aiuta mia madre, vedova, e ogni tanto qualche amico». Si è molto lasciando andare Antonio, con la sua barba incolta e i capelli arruffati. Trema mentre spiega a Quindici come passa la giornata. A volte fissa lo sguardo nel vuoto. «Mi è capitato di fare qualche lavoretto a nero, ma quando sono inoccupato la solitudine mi mangia l’anima. Avrei sopportato la mancanza di un lavoro, ma l’assenza della mia famiglia mi lacera ». L’abbandono della moglie lo ha segnato dentro. «Non passava giorno che non mi ricordasse la mia incapacità, la mia inefficienza e sufficienza. A volte si pensa che in questo modo la persona in difficoltà sia spronata a far meglio, ma, invece, tende ad affossarsi di più, a lasciarsi andare al caso. Mia moglie non lo ha capito, forse era anche in buona fede, ma alla fine è andata via, non ha retto al peso e mi ha lasciato solo». Ricorda sempre i suoi figli, che incontra ogni tanto, in degli scampoli di giornata. Si sente impotente e sfiduciato. È una vita senza poesia. Solo poche parole smozzicate.
Autore: Marcello La Forgia