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Dibattito-intervista all'Aneb di Molfetta con la polacca Agnieska
16 ottobre 2011

MOLFETTA - «Rispettare le identità, ma senza chiudersi a riccio, in una sorta d’autarchia e aprirsi al nuovo», questo il monito posto coordinatore dell’Aneb, associazione presieduta da Annetta la Candia-Minervini, al pubblico presente in sede per l’intervista-dibattito «Multiculturalità». Protagonista Agnieska (nella foto, al centro), ragazza polacca di Przemysl, città di 66mila abitanti al confine con l’Ucraina.
Da 12 anni in Italia, si occupa, dell’assistenza domestica di un anziano, come tante sue connazionali (badante). Non è stato, però, il suo lavoro tema del dibattito, ma il suo paese natio, in cui la disoccupazione e i bassi salari fanno da contraltare ad un grande senso civico e ad una profonda cultura della famiglia, dove la sanità pubblica non è un servizio garantito a tutti, al contrario dell’istruzione che attraverso l’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 18 anni d’età ha fatto lievitare il grado di alfabetizzazione. Una Polonia, secondo Agnieska, propensa allo sviluppo dell’industria del legname e del mobile, crogiolo di confessioni tra cattolicesimo, ortodossia e Islam.
Il dibattito-intervista ha poi toccato tematiche attuali, tipiche dell’era del digitale. La globalizzazione della comunicazione ha investito anche i Paesi dell’Est, nel vivere quotidiano e nei costumi dei polacchi, che riproduce la moda degli altri paesi europei attraverso i mass media. Con lo sguardo triste e accigliato, Agnieska ha anche ricordato alcuni racconti dell’eroica nonna che, durante l’invasione nazista, fuggita con la famiglia in Ucraina, ha portato con sé una piccola ebrea, non riuscendo a sottrarla alla morsa dei campi di concentramento una volta arrivati a destinazione.
Un'altra invasione e occupazione segna i ricordi di Agnieska, quella dei russi sovietici, del loro controllo militare, della violazione dell’intimità domestica e del coprifuoco.
Agli inizi degli anni ’80, la Polonia iniziò ad affrancarsi dalla morsa del blocco comunista grazie a Solidarnosc, sindacato capeggiato da Lech Walesa (poi premio nobel), vincitore delle elezioni nazionali nel 1989. Evento storico che, come ha sottolineato Agnieska, non avrebbe avuto seguito se non con l’impegno e la perseveranza di una grande figura del secolo scorso, quel Karol Wojtyla che tocca ancora l’animo di tutti i suoi connazionali, insegnando ad amare il prossimo e a non vergognarsi nell’essere bisognosi.
La chiusura è stata riservata alla nostalgia, sentimento agrodolce con cui Agnieska ha ricordato il suo compagno di vita, che per forza di cose ha dovuto lasciare in Polonia raggiungere l’Italia. Paese che non le ha risparmiato dure critiche e preconcetti xenofobi e discriminanti, ma che in fondo è fonte di speranza per chi ne trae speranza per costruire un domani migliore accanto ai propri cari.

© Riproduzione riservata
Autore: Davide Fabiano
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I saggi raccolti in “Multiculturalismo e identità” convengono che, stanti queste sfide sconosciute nelle epoche pretecnologiche, oggi non c'è altra modalità di convivenza se non quella del “reciproco riconoscimento”, che non è l'assimilazione che dice: “Tu sei un uomo come noi, dunque non ti resta che elevarti al nostro modo di essere”, né l'integrazione che priva l'altro della sua alterità e quindi del costitutivo della sua identità, ma il “sostegno dell'alterità”, che evita alle relazioni multiculturali di precipitare nella somma indifferente delle identità puramente accostate e rese esangui nel loro potenziale creativo. E' evidente che, come agli albori dell'età moderna gli individui hanno deciso di rinunciare a una parte della loro libertà per garantire una più pacifica convivenza, così oggi sia gli occidentali sia i non-occidentali sono forse chiamati a rinunciare a una parte della loro “identità originaria” per una “identità utopica”, da intendersi non come un sogno, ma come un lavoro che impegna l'uomo a scoprire, al di sotto della sua identità elaborata all'interno della sua particolare cultura, le possibilità che, in quell'identità, ancora non hanno trovato espressione. “Noi siamo doppi, doppi in noi stessi,” scriveva Montaigne. Siamo quel che siamo, ma anche quel che possiamo essere. Del resto, già lo ricordava Nietzsche: “L'uomo è l'animale non ancora stabilizzato”. Perché non fidarsi di questa “non ancora raggiunta stabilizzazione” che è l'unica condizione che può aprire un futuro diverso, invece che continuare ad armare le mura delle nostre città? Lungo questa via non ci stiamo irrimediabilmente assediando da soli? (- I miti del nostro tempo – U. Galimberti)
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