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“Di quei giorni”, dalla genesi al messaggio di speranza
15 aprile 2021

Un anno di pandemia, avremmo voluto sperare non così tanto, è passato. Abbiamo dovuto rinunciare a tante cose, abitudini, emozioni, esperienze, ricorrenze, a quello che credevamo naturale e immutabile, alla vita che conoscevamo prima. Abbiamo dovuto reinventarci sotto alcuni aspetti e lavorare sulla pazienza e sullo spirito di sacrificio come mai prima, per dare speranza al futuro. Ma nelle nostre memorie e nel nostro cuore, il rispetto per gli appuntamenti più importanti, restano cristallizzati, nell’attesa di poterli rivivere ancor più intensamente. È il caso della Santa Pasqua, evento religioso molto sentito a Molfetta, anche per i riti che ne accompagnano ogni anno le celebrazioni. Per il secondo anno consecutivo infatti, non vi sono stati sepolcri allestiti, processioni, vie crucis, rappresentazioni teatrali della passione vivente. Un duro colpo al cuore della città che non ha ancora digerito quello precedente. Ma quest’anno a salvare una parte di quella fiamma sacra che alimenta il tempo antecedente la Pasqua, ci ha pensato L’Associazione Fotografi Professionisti Molfetta che con alcuni tra i fotografi più esperti e di talento su tutto il territorio molfettese, ha dato vita ad una passionale e commovente mostra a cielo aperto che dona a chi ne voglia ricevere, il ricordo vivo di alcuni dei momenti più emozionanti ed emblematici delle processioni della Settimana Santa. A tal proposito, “Quindici” ha voluto sentire Gianni Visaggio, uno dei fotografi che ha preso parte alla mostra “Di quei giorni”, grazie ad alcuni dei suoi bellissimi scatti. Alla base di questo progetto vi sarà stata un’emozione che si è fatta quasi sentimento, condiviso poi da tutti voi, professionisti e autori di questa meravigliosa opera d’arte. È andata così? Come e da chi è nata l’idea? «Dunque, partiamo dal principio. I mesi di lockdown sono stati difficili per tutti, sotto ogni punto di vista. Sicuramente il lato lavorativo è stato e continua ad essere quello più martoriato e per chi svolge un mestiere come il nostro, è davvero dura. La nostra professione vive di eventi e celebrazioni che sono stati e continuano ad essere cancellati o rimandati per cui il nostro settore ne esce davvero malconcio e demoralizzato. Ma da questa situazione di sofferenza e smarrimento dovevamo trarne qualcosa di buono e costruttivo e così a partire da questa estate, molti tra noi fotografi di Molfetta, me compreso, abbiamo pensato di unirci: di unire le nostre professioni e quindi le nostre identità professionali, le nostre personalità, i nostri animi, le nostre passioni, l’amore e la dedizione per quello che è il nostro lavoro ma prima ancora che questo, la ragione del nostro cercare e cogliere l’essenza di ogni cosa. Così è nata, pian piano, la nostra associazione. Ci siamo incontrati, ed ognuno di noi ha portato con sé il proprio vissuto e il proprio lavoro svolto negli anni, un momento di condivisione che ci ha spinto ad aprire i nostri archivi e da lì, è saltato fuori una mole incredibile di materiale su Molfetta. Così abbiamo iniziato a pensare a qualcosa che potesse omaggiare la città e restituirle il bisogno di appartenenza, di senso di comunità e che potesse soprattutto avvicinare i giovani al loro paese e alla sua storia. Questo è stato il sentimento comune che ha unito i pensieri di tutti e che ci ha portato, dato l’avvicinarsi del periodo pasquale, a puntare sulla Settimana Santa e a partorire un’idea che si è fatta subito strada nelle menti di tutti, quella di una mostra. In otto tra i fotografi facenti parte dell’associazione, me compreso, abbiamo partecipato a quest’iniziativa e non è stato facile poiché ognuno di noi era impegnato in altre faccende e commissioni, e gli scatti che venivano fuori man mano che si sfogliavano gli archivi, erano sempre più numerosi. Alla fine ne sono stati contati più di duemila in tutto e c’è stato un ennesimo lavoro di scrematura non indifferente. Inoltre, inizialmente avevamo pensato ad una mostra che poteva aver luogo in un posto al chiuso ma eravamo a cavallo tra la seconda e la terza ondata di contagi con i luoghi di cultura che non aprivano le loro porte al pubblico già da qualche mese, per cui siamo stati costretti ad abbandonare questo step a favore di quello all’aperto. A giudicare però dal riscontro che abbiamo avuto e stiamo ancora avendo dalla cittadinanza molfettese, ciò che ne è venuto fuori sta ripagando tutti i nostri sforzi e tutto il lavoro fatto e che ha coinvolto anche altre aziende di stampa e montaggio, che hanno partecipato alla messa a punto della mostra e che è giusto ringraziare, e il cambio della cornice non ha intralciato questo successo. In merito a ciò, un ringraziamento importantissimo e doveroso va anche al nostro sindaco Tommaso Minervini, che ha subito appoggiato la nostra iniziativa e, resosi disponibile nei nostri confronti, si è sempre confrontato con le nostre persone e il nostro lavoro, offrendoci dei giusti suggerimenti e guidandoci nella giusta direzione». In ognuno degli scatti, è raffigurato il fotogramma di un preciso momento “di quei giorni”. Qual è il più caratteristico secondo lei? C’è n’è qualcuno in particolare che la commuove? «Personalmente, trovo che tutti gli scatti suscitino in me una certa commozione. I ritratti di tutti quei momenti scandenti le immagini di due dei riti pasquali molfettesi più importanti, scorrono per tutta la mostra come in una pellicola cinematografica e, giunti alla fine, si ha davvero l’impressione di essere tornati con la mente a “quei giorni”. E’ un susseguirsi di emozioni e ricordi che riportano lo spettatore al tempo reale delle celebrazioni della Santa Pasqua, e agli stati d’animo che le fanno da padroni. Il compito e l’aspettativa maggiore che noi fotografi abbiamo, infatti, nel mostrare le nostre foto alla gente è proprio quello di spogliare ogni foto di qualunque tono aggiunto o sovrastruttura e mostrare quello scatto per quello che è, libero e autentico. Noi fotografi non scattiamo foto, noi facciamo foto. E vi è una quasi impalpabile differenza tra queste due parole; perché quello a cui puntiamo è riuscire a catturare l’anima, l’essenza di quello che in quello scatto è raffigurato. Il messaggio di quello scatto deve arrivare diretto agli occhi e al cuore di chi lo sta guardando e vivendo, deve aver superato tutti gli strati di cui può esserne rivestito. C’è un lavoro sensibile dietro a quello che può sembrare un semplice click e benché tutti oggigiorno abbiamo la possibilità di scattare foto, anche con un semplice cellulare, farle è un discorso che sta su un altro piano. E in questa mostra credo che tutte le foto fatte, aprano la strada a quello che è il messaggio interno ad ogni frame». La mostra è stata allestita in P.zza Municipio e P.zza Garibaldi, lungo alcuni dei luoghi più vivi e simbolici di Molfetta, come la Villa Comunale e il Seminario Vescovile, tappe delle stesso itinerario di processioni pasquali. La scelta del montaggio dei pannelli è ricaduta su queste vie per questo motivo? «Assolutamente sì, la scelta dell’allestimento della mostra è ricaduta su queste strade per questo motivo, è stata voluta. E aggiungo, al principio l’intenzione era quella di coinvolgere nell’allestimento anche la Muraglia che si trova all’insù dell’entrata principale della Città Vecchia, anche quella è una zona cardine nel tragitto delle processioni e la mostra vista da lì, sarebbe stata ulteriormente suggestiva, ma la cosa non ha potuto avere prosieguo perché, se per la villa comunale abbiamo ottenuto il permesso dal Comune e per il Seminario lo abbiamo ottenuto dal Vescovo, lì avremmo dovuto coinvolgere le abitazioni private e i passaggi burocratici avrebbero richiesto tempi tecnici che noi, materialmente, non avevamo. A parte questa esclusione, la mostra ha tuttavia riempito due sentieri che sono sempre stati percorsi dalla tradizione». La mostra, a breve, potrà essere ammirata anche su una serie di cataloghi che sono in fase di produzione ma soprattutto, è stata oggetto d’interesse anche dei microfoni della Rai, che ci ha realizzato un servizio. Quanto vi rende orgogliosi questo e soprattutto, vi aspettavate questo tipo di risonanza? «Ho guardato e sono venuto a conoscenza di diversi servizi giornalistici sulla mostra e non posso esimermi dal dire che certamente, questo riscontro ci rende molto orgogliosi. Questo è stato un lavoro che è partito ed è stato realizzato da tutti noi partecipanti, in maniera orizzontale, non vi è stato né vi è alcun senso di concorrenza o competizione. Siamo stati tutti davvero entusiasti di portare il nostro contributo per la realizzazione di qualcosa di più grande, un regalo per una città come Molfetta che si merita questa attenzione e questa risonanza, perché non è giusto concepirla come un paese marcio e senza frutti, che non ha nulla di bello da offrire o da contemplare, anzi. Dovremmo renderci conto sempre di più di quanto e cosa rappresenti Molfetta, e di cosa potrebbe ancora diventare per cui non mi aspettavo e non ci aspettavamo questa risonanza, piuttosto, ci speravamo. Questa è la dimostrazione che se delle persone con delle passioni e degli obiettivi comuni decidono di avvicinarsi e fare rete, potrebbe nascerci qualcosa di bello». A tutta questa bellezza dobbiamo però aggiungerci una nota di dolore. La mostra è stata, infatti, vandalizzata in quanto un pannello è stato danneggiato mentre un altro, è stato addirittura derubato. Cosa si sente di dire a riguardo? «Sicuramente mi sento di dire che è un vero peccato perché quella del vandalismo è un’occasione mancata. Un’occasione mancata per la nostra città che, come dicevo prima, merita tanto di più. Se tutti credessimo davvero in quello che siamo e che saremmo capaci di essere e di fare con solo un pizzico di fiducia in più in noi, nella cittadinanza, nel paese, non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlare di civiltà. Così come credo che continuare a dare addosso al vandalo di turno è poco utile, perché quest’ultimo non tornerà sui suoi passi sentendosi ripetere che è un combina-guai anzi, così finirà per convincersene. Piuttosto inizierei a parlare di occasioni sempre nuove che possano guidare chi si smarrisce, nella ripresa della retta via, perché un’altra strada, una strada positiva e propositiva, esiste sempre e parte dall’ascolto sincero dell’altro e dei suoi bisogni. Di questo don Tonino Bello ne è stato un faro e Molfetta lo sa bene. Del resto questi episodi, pur se spiacevoli, ci hanno portato solo bene. La vicinanza che la gente ci ha mostrato, sia sui social che dal vivo, è stata straordinaria e ha fatto unire noi membri dell’associazione ancora di più. Ci hanno caldamente invitato a non dar peso a quello che fosse successo perché quello che stavamo dando alla città, superava qualsiasi torto e questa per noi è la più grande vittoria». L’arte, ancora una volta, ci salva. Salva l’essere umano con le sue emozioni e i suoi punti di riferimento, come questa tradizione. Da professionista dell’arte, cosa si augura di aver donato con i suoi colleghi, al popolo molfettese? «Quello che ci auguriamo io e i miei colleghi, è quello che poi è stato il nostro obbiettivo sin dall’inizio: aver donato a Molfetta e ai molfettesi qualcosa di piacevolmente inaspettato, aver salvato un pezzo di quella Pasqua a cui la nostra città tiene particolarmente e alla quale è devota e che purtroppo, per il secondo anno consecutivo, non è stato possibile vivere come tutti vorremmo. Noi colleghi abbiamo unito le nostre forze e abbiamo provato nel nostro piccolo a regalare qualcosa di buono a tutti e, a giudicare dai risultati che ci fanno davvero molto piacere e ci danno grande soddisfazione, dovremmo esserci riusciti. Ci abbiamo guadagnato anche in rapporti umani e di questo sono davvero contento perché l’amore per il proprio lavoro, spinge anche a creare dei bei legami. Un altro contributo fondamentale per Molfetta e non solo, che sento di dover sottolineare e per il quale lavoreremo, è l’aspetto benefico. Abbiamo deciso infatti che al termine della mostra, i pannelli potranno essere acquistati e i proventi che se ne ricaveranno, saranno destinati a “Casa Emmanuel” un’associazione di volontariato che si occupa di tutelare e aiutare le categorie di persone più in difficoltà, e le famiglie più povere e meno abbienti che purtroppo, a causa della pandemia da Covid-19, sono tristemente aumentate. Con questo speriamo davvero di essere riusciti ad unire la gratitudine nei confronti di Molfetta, la sua storia, la sua dignità e la sua bellezza non troppo lodata, con un gesto di sincero e sentito altruismo che vuole essere una mano tesa ad aiutare chi è parte integrante di questa comunità, anche se non ne è al centro. Un sincero ringraziamento va anche a tutti gli altri professionisti che hanno partecipato attivamente e con spirito entusiasta alla mostra “Di quei giorni”, con il contributo del loro splendido lavoro. Grazie a: Antonio d’Agostino, Silvio d’Agostino, Valentina d’Agostino, Giuseppe Facchini, Roberto Lusito, Davide Pischettola, Vincenzo Tedesco. © Riproduzione riservata

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