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De li mastri lavoranti vascelli: memorie della gente di mare
15 ottobre 2005

Le memorie del mare. Della sua gente. Allo scopo di custodirle nella neviera, all'interno del complesso della Fabbrica di S. Domenico, sempre più crocevia delle esperienze culturali cittadine, è stata inaugurata la mostra permanente “De li mastri lavoranti vascelli” (intitolazione, riferita ai maestri d'ascia, di uno dei Capitoli dei Dazii del Libro Rosso), frutto di oltre due anni di certosini lavori di documentazione e raccolta di testimonianze da parte della sede molfettese dell'Archeoclub d'Italia. Madrina dell'esposizione Alina Gadaleta Caldarola, presidente dell'Archeoclub, che delinea le finalità della mostra etnografica, fondata sulla salda convinzione che “le testimonianze materiali della cantieristica navale divengano un momento fondamentale per l'identità collettiva”. Un'identità che si alimenta del rapporto privilegiato di Molfetta col mare, un tempo primaria fonte di sopravvivenza per la popolazione locale. Identità i cui contorni sbiadiscono col trascorrere degli anni, asserisce Raffaele de Gaetano, impegnatosi a delineare un excursus sulla cantieristica molfettese. Cartina al tornasole di questa progressiva perdita di radici la mancanza di iscrizioni di molfettesi presso l'Istituto Tecnico Nautico di Bari, un tempo importante fucina per la formazione di attitudini alla progettualità navale nelle giovani generazioni della città. Conclude il discorso del sindaco, Tommaso Minervini, che sottolinea il fondamentale apporto femminile all'allestimento della permanente e auspica un ulteriore ampliamento di questo suggestivo museo del mare, monito alle nuove generazioni perché non trascurino il valore del tempo. A coronamento dell'iniziativa, e con funzione promozionale, l'organizzazione, sempre presso il Chiostro, del suggestivo concerto vocale e strumentale “I suoni del mare” con un ensemble d'alto livello (di cui è parte integrante la molfettese Adriana Ester Gallo) a eseguire melodie partenopee (in particolare si segnala la predilezione per Pino Daniele) secondo gli arrangiamenti di Diego Caravano. La visita dell'allestimento presso la neviera ci proietta in un mondo, quello dei maestri d'ascia (e non solo), che incanta, perché si tinge di leggendario (si pensi alle tecniche di progettazione e costruzione tramandate oralmente), pur rinviando a storie di duro lavoro e di sacrifici amari. Una prima sezione ci introduce nel sottobosco che gravita 'accanto al cantiere', con la raccolta di testimonianze dell'indotto legato alle produzioni navali. Dall'esposizione di chiodi usati per costruire imbarcazioni ai prodotti del catenificio dei Sallustio, passando per funi, fiscoli e cordami sino alle differenti tipologie di reti, con le preziose esecuzioni in scala di Carlo Amato. Siamo poi introdotti nel cantiere, dove hanno luogo le fasi della costruzione, dal modello del maestro d'ascia (con la successiva realizzazione delle sagome o seste) al prodotto finito. Tra le 'chicche' della mostra lo scheletro di un gozzo in legno di faggio e di acero, frutto del lavoro del maestro d'ascia Gerolamo Zenobio, una specie di 'gondola minore' con la pernaccia a certificare l'officina di provenienza. E poi ancora un modello in scala dell'ossatura di un'imbarcazione, allestito da Giuseppe Salvemini e dai figli, accanto a una pettinessa, carro che serviva a trasportare il legname dalla stazione ai cantieri. “I cantieri molfettesi in generale hanno fornito un contributo altissimo per concretizzare l'idea di 'De li mastri lavoranti vascelli'”, afferma Alina Gadaleta Caldarola. E ricorda altre sezioni fondamentali della mostra (di cui è stato realizzato un opuscolo illustrativo di grande pregio), come quella che serba progetti e disegni di Vincenzo Estere Uva, per donazione della famiglia di questo maestro d'ascia che visse tra Molfetta e Alessandria d'Egitto, morto a soli 39 anni, nel 1947, per un male incurabile, non ultima delle scomode eredità di una folle guerra. O quella che racchiude documenti, libretti di lavoro, permessi di navigazione o la famigerata patente di sanità, rilasciata dal luogo di partenza della nave, a certificare lo stato di salute a bordo. L'esposizione ne conserva una rilasciata in Egitto dal Conseil Sanitaire Maritime et Quarantenaire d'Egypte, bilingue, perché redatta in francese e in arabo. Al di là dei singoli oggetti e dei pannelli illustrativi, colpisce il quadro complessivo delineato. Emerge il volto più antico della nostra città. Della Molfetta che dialogava, ai primordi di quest'attività, con Ragusa e Venezia, carpendone i segreti di cantieristica, non senza attingere anche elementi bizantini e ottomani. Della Molfetta borbonica o di quella del primo cinquantennio del secolo trascorso. Col suo corollario di suggestioni apotropaiche a scacciare il terrore della morte 'battezzando' le imbarcazioni, consacrandole a San Corrado e alla Madonna o celando figurine di santi nella struttura della prora. Il miglior suggello di “De li mastri lavoranti vascelli” è la vivacissima testimonianza, clou dell'inaugurazione, di Ignazio Salvemini, classe 1913. Un racconto che muove dall'acquisto di due babbrabà (un tipo di barca più grande delle bilancelle) a Gaeta sino all'arrivo e alla permanenza ad Alessandria d'Egitto (dove alcuni molfettesi si fermavano un anno intero; altri addirittura vi si trasferivano). Una storia di lunghi viaggi che paiono odissee, tra inquietudini, tempeste, episodi di pietà verso chi non sopravvive alla furia del mare. Come quando i compagni di un vecchio morto d'infarto per la burrasca si rifiutarono di abbandonarne il corpo alle onde e, con mezzi di fortuna, costruirono una cassa in cui adagiarlo. Possono sembrare leggende. Sono le memorie del mare. E della sua gente. Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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