Sono stato a Parigi per incontrare qualcuno del Collège internationale de Philosophie, là presso il Pantheon, rue Descartes; ho chiesto ad un custode del CNRS se sapeva dell’esistenza di quel collegio fondato da Derrida, ho insistito, gli ho detto di guardare su Internet e lo davano sempre in rue Descartes, ho percorso tutta rue Descartes chiedendo ad ogni porta se sapevano del collegio, ma nessuno sapeva niente. La fine del collegio, la fine della filosofi; volevo informare quelli del Collège che mi avevano messo in pensione, che a Bari non avevano più bisogno di uno che parlasse della differenza, che la filosofia da caserma che ormai si proponeva nell’università di Bari e nelle università italiane era incompatibile con la problematica della differenza, delle differenze che avevo proposto negli ultimi vent’anni e in effetti ero a Parigi per cose più modeste, sistemare la casa a mia figlia, emigrata, emigrata per scelta, per vocazione, costretta ad emigrare; ero a Parigi perché non la vedevo da tempo. E mi avevano detto che non dovevo più pensare, che dovevo solo vegetare. Con la lettera di pensionamento questo mi avevano detto e dagli a dire che vuoi ancora insegnare, magari con un contratto gratuito, ma vuoi ancora insegnare. Del resto quelli del Collège mi avevano mandato in terra di Bari, nelle Puglie, (andarsene alla Puglia fra l’altro significa andarsene di testa), proprio per insegnare decostruzione. E nel corso di due decenni dal Novanta al Duemilatredici avevo creato due seminari, uno nella facoltà di Filosofia di Bari e uno nei Giardini di Avalon. E ci avevano messo un grande impegno a distruggerli. Volevo solo immergere la domanda grigia sul senso dell’esistere nelle acque del Mediterraneo e volevo farlo accompagnato dalle dee, dalle donne del mare, ma ormai gli istanti sono segnati dai crampi allo stomaco; ogni respiro è un rantolo. Lo Spirito è il rantolo del respiro. De l’esprit. “Questa parola rinvia ad un serie di significazioni che hanno un tratto comune: opporsi alla cosa, alla determinazione metafisica della cosalità, e soprattutto alla cosalizzazione del soggetto, della soggettività del soggetto nella sua supposizione cartesiana.”1 De l’esprit: lo spirito nella sua significazione trascendentale è il ventre, il rantolo. Il ventre ruggisce perché la bocca è muta. Le parole ricacciate in gola si trasformano in crampi e in ruggiti del ventre. Anche il ventre del pachiderma ruggiva; il ventennio è stato dominato da un enorme pachiderma come quello di Fellini nella stiva della nave. Il dissidio è fra il ruggito del mio ventre, del ventre che è mio e la presenza del pachiderma. Il pachiderma, lo spirito del tempo è disteso nell’atrio; si gratta, suda, vomita parole nordiche, suda, si gratta, mangia un uovo sodo, si gratta, suda, ingrassa, poi s’addormenta. De l’esprit: la dissoluzione dello spirito occidentale in numeri e cose. La dimension prédominante est devenue celle de l’extension e du nombre. 2 Lo spirito è la possibilità permanente del no. L’esprit comme qui en somme dit toujours non et d’abord à soi-même. La possibilità del no rispetto alle cose, alle situazioni, ai numeri, al pensiero seriale che è pensiero imperialistico, parziale, neutrale; è un pensiero accademico e si nutre della divisione specialistica del lavoro intellettuale. La destituzione dello spirito occidentale, la destituzione dell’Occidente è passata attraverso l’introduzione massiva dei linguaggi seriali. Essi decompongono la considerazione unitaria del reale ed inibiscono la comprensione dei linguaggi differenti. Qualche imbecille crede che la modernizzazione delle facoltà filosofiche passi attraverso la progressiva introduzione dei linguaggi logico matematici, ma con l’abbandono dei concetti olistici, con la rinuncia alla comprensione globale dei saperi l’Occidente si allontana sempre più dalla sua missione storica: unire rispettando le dif- 1 J. Derrida, De l’Esprit - Heidegger et la question, Galilée, Paris 1987, p. 89 2 J.Derrida, op. cit., p.94 ferenze. L’unità vera, l’unità unificatrice. Il y a d’abord la démission de l’esprit dans l’intelligence ( Intelligenz), l’entendement ( Verständigkeit), le calcul (Berechnung), la vulgarisation massive ( massenhafte Verteilung), le règne des littérateurs et des esthéticiens, de ce qui est seulement spirituel. Cette prétendue culture intellectuelle de l’esprit ne manifeste ainsi que simulacre et manque d’esprit. Il discorso vale per le università, come per la realtà politico-sociale. Bisogna, infatti, distinguere la cattiva unità, l’unità tecnica o amministrativa, che della unità ha soltanto il nome e l’unità veramente spirituale. Questa sola è vera unità; perché carattere specifico dello spirito è quello di unire. La mauvaise unité de l’université, l’unité technique ou administrative, qui n’a d’unité que le nom et l’unité vraiment spirituelle. Cette dernière seule est une vraie unité car le propre de l’esprit est justement d’unir. Lo spirito è il corpo; il rantolo, il respiro. Il soffio. La gente sta male; respira, ma sta male. Il soffio dell’amore apre la comunicazione; la comunicazione della sofferenza dei corpi. Lo spirito è il corpo. Per Heidegger è il fuoco delle falange naziste. Per noi è il fuoco dell’amore, della solidarietà umana. Lo spirito è la fiamma che illumina la notte dell’Occidente. È arrivato il crepuscolo e il pachiderma sta chiudendo gli occhi. Ha insozzato l’atrio delle sue lordure; gli occhi del folle lo guardano mentre si addormenta. Lo spirito è il bagliore nello sguardo dei folli, dei battuti, dei diversi. Lo spirito è il fuoco dell’amore. Gli stranieri d’Occidente volgono lo sguardo all’origine, all’Oriente. Il decorso solare di un giorno è il significato della vita; da Oriente a Occidente. Dall’origine al crepuscolo, alla notte, al buio. Questo straniero è morto, folle e interrato. Il suo passo lo conduce nella notte come uno che ritorna verso un’alba più originaria di ciò che non è ancora nato, verso l’ingenerato. Cet étranger est mort, fou et enterré. Sonpas le porte dans la nuit comme un revenant vers l’aube plus matinale de ce qui n’est pas encore né vers l’ingénéré. In questo la metafisica platonico-cristiana sostenuta dal dualismo sensibile-razionale, bene e male, uomo e donna mostra i suoi limiti. All’origine era l’unità; in seguito è subentrata la dicotomia, la scissione, la lotta, la guerra. Lo spirito è il soffio dell’amore (le souffle de l’amour), la fiamma che brucia, la fiamma che infiamma e diventa cenere. Ritorna alla sua origine: lo spirito trasporta l’anima, la deporta verso l’ignoto. L’esprit transporte l’âme. Ma l’anima lo nutre; lo spirito si nutre dell’anima, della femminilità dell’anima. L’anima, la fiamma in quanto ardente melanconia ( ardente mélancolie) va verso la sua essenza, la migrazione, il vagabondaggio. Nel dolore. È nel dolore che lo spirito dà origine all’anima. C’est dans la douleur que l’esprit donne l’âme. Nell’anima regna il tratto fondamentale del dolore. En l’âme règne le trait fondamental de la douleur. È la sua essenza. È l’essenza del Bene. C’est son essence. Le Bien n’est le Bien que dans la douleur. Il bene è nella sofferenza dell’anima, delle anime. Il pachiderma, lo spirito del tempo dorme. Niente si muove. Ci hanno condannato al silenzio. Anche il nazismo non è certo nato in un deserto. E anche se lontano da ogni deserto fosse nato come un fungo nel silenzio di una foresta europea, sarebbe nato in una foresta nera i cui alberi sono le istituzioni, le accademie, le filosofie, le strutture politiche ed economiche di questo mondo d’Occidente. Le nazisme n’est pas né dans le désert. Et même si loin de tout désert, il avait poussé comme un champignon dans le silence d’une forêt européenne, il l’aurait dans une forêt noire à l’ombre des grandes arbres qui sont les institutions, les académies, les philosophies, les structures politiques ou économiques de cet Occident.