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Crispino e il nulla
15 novembre 2018

Genova, 5 novembre 1980, Facoltà di Lettere e Filosofia, ore 8:45. Una spessa coltre di nubi incombe sulla città, oscurando il sole. La tramontana scende lungo il Polcevera, spazza le rive e lambisce il mare, che biancheggia di schiuma. Il professor Crispino Tramonti, incaricato di ermeneutica filosofica, sale lentamente l’ampio scalone marmoreo per raggiungere l’aula 45, posta al secondo piano e intitolata a Giuseppe Rensi. Cinquantenne, di origine siciliana, celibe, magro, di bassa statura è affetto da un curioso tic nervoso: ruota la testa a destra e a sinistra dando l’impressione di temere d’essere seguito. Indossa un abito che molti anni prima deve essere stato di color grigio, e tiene sotto braccio una borsa di pelle nera. Con un lieve accenno d’esitazione, si ferma davanti alla porta chiusa dell’aula: non tocca quella maniglia da cinque anni. Ma poi entra, fa pochi passi, sale sulla pedana e si siede in cattedra. L’aula è deserta perché Crispino, volutamente, è in anticipo di un quarto d’ora. Posa la borsa sul lato destro, estrae dal taschino la stilografica che tiene fra le mani quando fa lezione, e si guarda intorno. Forse potrebbe ricordare, ma sente che il passato è quasi del tutto svanito dalla sua memoria. È una sensazione gradevole e benevola, che lo illude di percepire come nuovo quanto in realtà si ripete con tetra monotonia. Era successo cinque anni prima, il 5 febbraio 1975, in quella stessa aula, alle 9 e 30 minuti. Da due mesi teneva il corso sulla fase proto nichilista del pensiero di Martin Heidegger, che aveva voluto intitolare: “Ontologia del Nulla ed essere per la morte”. L’ uditorio non era numeroso ma passibilmente attento, a parte i soliti sabotatori che con irritante evidenza acustica russavano nei banchi più alti dell’anfiteatro. Se avesse dovuto interrogarsi sul perché per tanti anni aveva studiato e insegnato quella filosofia, avrebbe faticato a trovare una risposta univoca. Certamente, nel suo intimo, non l’amava. Forse, quando aveva perduto la fede dei padri, angosciato dai silenzi eterni di quei mondi senza dio, si era ridotto a rifugiarsi nei deliri metafisici e privi di senso dei nichilisti. I quali, terrorizzati dal vuoto cosmico, si riducono spesso a vestire la rassicurante sottana del chierichetto. Ma questo non era il suo caso. Comunque sia, nel bel mezzo della lezione, la porta si apre di scatto, entrano quattro giovani, e si pongono intorno alla cattedra. Crispino li conosce bene: sono i rossi, i bolscevichi di Lotta Comunista. Non reagisce, ed attende paziente il solito Proclama sull’imminente Rivoluzione Proletaria Mondiale. Purtroppo per lui, questa volta non va così. Uno dei quattro, sicuramente il capo, cava di tasca un foglietto e legge. Con grande sorpresa degli astanti e del Nostro, il tono della voce è monocorde, burocratico, come quello di un procuratore che elenca gli articoli del codice penale violati dall’imputato. «Compagni, comunico la Risoluzione n. 22 del Comitato Centrale della sezione Balbi di Lotta Comunista. Il professor Crispino Tramonti, avendo deciso di tenere un corso monografico sul noto nazista Martin Heidegger, ha violato la gloriosa tradizione antifascista di questa Università. L’unico insegnamento ammesso in uno stato capitalistico è quello volto a diffondere mezzi e metodi utili a promuovere la sua distruzione. Compagni, ricordate bene: chi non si fa capire o è un fascista o è un imbecille. Professor Tramonti, si procuri la “Distruzione della Ragione” di Luckàs e la insegni agli studenti: vedrà che farà bene anche a lei. Da questo momento, il professor Tramonti è esonerato dal suo compito ed è invitato a lasciare quest’ aula. Potrà eventualmente riprendere le lezioni, quando ci avrà preventivamente informati in merito agli argomenti dei suoi prossimi corsi. La Risoluzione n. 22 è immediatamente operativa. Viva il Proletariato Internazionale! Viva Lotta Comunista!». Nessuno degli studenti interviene in sua difesa. Crispino, impassibile, raccoglie lentamente le sue cose ed esce dall’aula, mentre i rossi riprendono la loro caccia al fascista. Dopo qualche minuto, compra un quotidiano, si siede al solito bar in Piazza dell’Annunziata e legge in cronaca: “Una giovane di circa vent’anni rinvenuta cadavere in un angolo della stazione Brignole. Pare che la morte sia dovuta a malnutrizione ed ipotermia”. Sta per sentirsi banalmente inutile e senza qualità; ma è solo un attimo: all’ipocrisia torna a preferire l’indifferenza. Poi paga il conto e si avvia verso il miniappartamento da scapolo, con vista mare, dove vive in affitto da diversi anni. Non dà molta importanza a quanto gli è accaduto in facoltà. “Finirà presto – pensa –. Il tempo cancellerà anche le scritte sui muri e nei cessi”. Dopo due giorni è convocato in Facoltà dal professor Libero Bixio Grimaldi, ordinario di Filosofia della Scienza, direttore dell’Istituto di Storia e Filosofia, neoempirista convinto, e da lui cordialmente detestato. “Caro professor Tramonti, venga, venga si accomodi pure! ho saputo dell’indegno episodio occorsole qualche giorno fa. La prego di accettare la solidarietà mia personale e di tutto il corpo docente di Filosofia. Disporrò una inchiesta interna per individuare i responsabili, e prendere gli opportuni provvedimenti atti ad impedire, per quanto è possibile, che questi odiosi incidenti abbiano a ripetersi… D’altra parte, lei sa bene, che per un antico privilegio di questa Università, mai violato, né io, né tantomeno il Rettore, possiamo disporre l’intervento della Polizia all’interno di palazzo Balbi. Potrebbe sporgere una denuncia personale per violenza privata nei confronti de quei quattro sciagurati, ma, onestamente, glielo sconsiglio. Né tantomeno posso impedirle di proseguire il corso su Heidegger… naturalmente, sotto la sua personale responsabilità. Ora però, mi consenta di darle un suggerimento. Questi giovani di Lotta Comunista hanno una preparazione, diciamo così, approssimativa, voglio dire che ignorano anche i Santoni dai quali derivano le loro litanie apocalittiche. Ora… si potrebbe, come dire… far finta di accontentarli senza rompersi per l’ennesima volta i coglioni con Lenin, Marx e Mao. Se fossi in lei… terrei un bel corso sui ciarlatani di Parigi, Lacan, Foucault, Deleuze, e compagni. Oppure se proprio vogliamo avvicinarci alla decenza, somministriamo a questi fascisti rossi la Venerabile Confraternita di Francoforte, che va bene in tutte le stagioni, come il pesto sulle lasagne. Mio caro professor Tramonti, mi rendo conto che forse le sto chiedendo troppo, ma lei comprenderà che la delicatezza dei tempi lo impone. Comunque, prenda le sue decisioni in assoluta autonomia e me le comunichi quanto prima; ma mi creda: la nostra sicurezza val bene quel fesso di Marcuse, che tra l’altro, come lei certamente saprà, è stato allievo del suo Heidegger. Stia bene”. Crispino ascolta impassibile le parole del Direttore. Il quale sa bene di lasciarlo solo e con due possibilità; farsi rompere la testa dai rossi, o piegarsi ad insegnare boiate. L’indomani chiede un’aspettativa di un anno e, dopo una settimana l’ottiene. Alla scadenza è trasferito con assegnazione provvisoria triennale presso l’Università di Verona, notoriamente soporifera, dove può tranquillamente riprendere il suo corso monografico sull’Ontologia del Nulla di fronte ad un uditorio numeroso ed attento. Circostanza quest’ultima che peggiora sensibilmente la sua cronica depressione. Nell’estate del 1975 viene richiamato a Genova per l’Anno Accademico 1979-1980. Torniamo al 5 novembre del 1980. Tramonti dà un’occhiata distratta ai suoi nuovi studenti, molto incravattati, molto composti, molto sbarbati: insomma, dei bravi ragazzi. “Sembra – pensa Crispino – che stiano in chiesa in attesa del prete, e riprende la sua lezione dal punto esatto in cui aveva dovuto interromperla cinque anni prima. Ora, perché il nulla nullifichi, e finché nullifica, sembra necessario che vi sia l’esistenza da nullificare, e che il nulla sia qualcosa, un essere, anzi, l’essere, che si presenta, che agisce come nullificazione. Il nulla nullifica l’esistenza, ma l’essere e l’esistenza non possono morire, anche se mortalmente malati. Il nulla nullifica perché è qualcosa: che cosa è? La volontà di annientamento si rifugia nel nulla per non rivelarsi, appunto, come volontà del nulla. L’obnubilazione dell’essere nell’essente, determina l’essente, come negatività, si pone come nullificazione dell’essente. L’essente, nullificato dalla presenza dell’essere, che in lui agisce come nulla, si delinea come esistenziale. Ma l’angoscia è sempre la presenza del nulla, i il nullificare del nulla. L’essere che acquista coscienza di se l’acquista nell’uomo, nullificando l’uomo. Il linguaggio della nuova epoca, estraniato, spaesato, disincantato, il linguaggio dell’occaso e del silenzio, non potrà oltrepassare la filosofia, se non nella forma della morte”. Il funerale della ragione è finito. Gli studenti, impietriti, fissano il vuoto. Crispino ripone la stilografica nel taschino, chiude la borsa, e la preme col palmo della mano, quasi volesse schiacciare qualcosa all’interno, lì dove, come un tarlo nel suo mobile, giace in permanenza il saggio di Rudolf Carnap sull’insignificanza della metafisica. Poi esce in via Balbi, e si avvia verso il suo eremo solitario. Il temporale è finito, ed il sole illumina la città: Genova risplende, mirabile. “La luce di Epicuro e di Lucrezio”, mormora fra se inforcando i suoi occhiali scuri. A casa socchiude le imposte, sospira stancamente, e prende un volume, “La Gaia Scienza” di Friedrich Nietzsche: il suo Breviario. Il segnalibro è fermo sull’aforisma 125: “Che mai facemmo, a scioglier questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro? Di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dallo strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto e noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?”. © Riproduzione riservata

Autore: Ignazio Pansini
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