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Corteo di Roma, l'intervista a Pasquale de Candia e Federico Ancona del Coordinamento 15 ottobre di Molfetta
20 ottobre 2011

MOLFETTA - Bombe carta, spranghe di ferro e attacco violento ai simboli del potere capitalistico. E così quella che avrebbe dovuto essere una manifestazione pacifica, si è trasformata in una vera e propria guerriglia urbana che ha messo a ferro e fuoco la Capitale, oscurando il vero obiettivo del corteo. Questa la piega che ha assunto la manifestazione del 15 ottobre a Roma contro il mercimonio dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia, attuato da una politica che tutela profitti e speculazione finanziaria. Realizzato per favorire la massima convergenza e cooperazione delle molteplici e plurali forze sociali, il corteo è stato oscurato dai black bloc, che, secondo alcuni, avrebbero urlato il proprio disagio in modo del tutto incivile e inaccettabile.
Quindici ha intervistato Pasquale De Candia e Federico Ancona, componenti del Coordinamento 15 ottobre e organizzatori del gruppo di 50 molfettesi sbarcati a Roma per il corteo.

Quale è stato il passo in avanti dopo la manifestazione del 15 ottobre a Roma?
[De Candia] «Sicuramente la partecipazione, perché le cifre, anche se non ufficiali, si attestano intorno a 500mila persone. Mentre noi eravamo ancora al punto di partenza in Piazza della Repubblica, la testa del corteo era già in piazza San Giovanni. È un’adesione importante per un corteo autoconvocato. È un passo, ma ora bisogna andare avanti, fare un lavoro sui territori per rendere palese quella che è la necessità di un cambiamento forte e radicale in Italia nell'economia, nella società e nella politica.
Ad esempio, la presenza dei lavoratori al corteo non è stata indifferente, grazie all’interesse della Fiom e dei sindacati di base. È stato un corteo con una forte connotazione giovanile, l’età media era molto bassa, e questo mi ha sorpreso favorevolmente.
Però, mentre da una parte abbiamo le nuove generazioni che non trovano un lavoro, che non hanno la possibilità di costruirsi un futuro, dall’altra abbiamo anche la generazione dei nostri genitori che vivono delle difficoltà oggettive. Il passo successivo sarà costruire sui territori dei coordinamenti che possano manifestare questa voglia profonda di cambiamento presente in Italia, poiché molti cittadini non condividono la piattaforma e le ricette della Bce, le stesse che hanno portato la Grecia allo sfascio».
Ci sono altre modalità per concretizzare le idee della manifestazione?
[De Candia] «Serve una rappresentanza del disagio. Le nuove generazioni non trovano nel settore sindacale e politico un punto di riferimento per il cambiamento. Ecco perché l’unione delle forze nei territori, associazioni, movimenti e partiti, a mio parere, è la strada più adeguata. Bisogna, dunque, partire dai territori con maggiore consapevolezza, dimostrando che c’è ci chi pensa in maniera alternativa e riesce a realizzare pezzi di socialità alternativa e proposte di gestione dei beni comuni non mercificate.
Ecco perché un corteo da solo non basta, è un passaggio, una fase. L’obiettivo è fare capire alle persone che non sono sole».
L’insurrezione dei black bloc è stata una manovra politica, un sabotaggio organizzato, oppure opera del movimento anarchico e degli esponenti dei centri sociali?
[Ancona] «Potrebbe anche essere interesse del Governo evidenziare le violenze in piazza. Controllando la stragrande maggioranza dei mezzi di informazione, sta riuscendo, anche se in parte, a far venir fuori solo quello. È anche vero che le violenze convengono al sistema tanto da metterle in primo piano rispetto alla manifestazione in sé. Ma la verità viene sempre a galla prima o poi».
[De Candia] «Io ritengo quello che è successo un errore politico, ma non bisogna assolutamente pensare di ridurre tutto a un problema di ordine pubblico, come stanno facendo il Governo e anche pezzi di opposizione parlamentare come l'Idv di Antonio di Pietro. Il disagio sociale va affrontato con le politiche sociali adeguate, con un cambiamento di rotta radicale. Non si può pensare che la galera o le leggi speciali siano il modo per risolvere il problema».
Dare un segno tangibile punendo adeguatamente i responsabili che hanno messo a ferro e fuoco la Capitale, potrebbe essere un deterrente per ridurre questo fenomeno di violenze durante le prossime manifestazioni? 
[De Candia] «La legge di cui parla di Pietro non ha risolto il problema della violenza in piazza nel periodo in cui è stata attuata. Quel tipo di legge serve solo a limitare la libertà di dissenso. Bisogna risolvere il problema alla base, per esempio il problema della disoccupazione giovanile che in Italia è la più alta d’Europa. È necessario dare una prospettiva alla mia, alla nostra generazione. Bisogna risolvere i problemi sociali poiché con le leggi speciali non si risolve niente. Del resto nemmeno la maggioranza di governo è d'accordo su certe misure. Non si può affrontare una situazione sociale così grave come se fosse un problema di ordine pubblico».
Questo atteggiamento di violenze e scontri, potrebbe essere una conseguenza del clima nazionale?
[De Candia] «Certamente in Italia stiamo vivendo una fase in cui nel dibattito pubblico nazionale la politica non rappresenta più un punto di riferimento. Stiamo parlando di una politica sconvolta ogni giorno da scandali, che non risolve i problemi, ognuno pensa per sé e i grandi gruppi economici ci guadagnano di più da questa situazione».
Ci sono delle discrepanze tra ciò che hanno mostrato i media e la realtà? Esagerazione o reale stato dei fatti?
[Ancona] «Si è attuata una strategia mediatica per non parlare dei problemi. Buono o cattivo in questo caso sono categorie difficili da giudicare. Più che esagerare, direi deformare. Si è voluto far apparire le violenze in un certo modo, si è mandata in onda tante volte la scena della madonnina fatta a pezzi, un frangente brevissimo rispetto a una manifestazione di ore e ore. È chiaro che si sono voluti mettere in risalto i punti meno qualificanti, che servivano al potere per descrivere i black bloc o inventare, come spesso si fa, un nemico, un immaginario collettivo per poi assegnare a tutto il movimento l’etichetta di violento».
Questa la parte ideologica. E il concreto?
[Ancona] «È chiaro che dipende fino ad un certo punto dal movimento. Spetta non tanto al movimento, quanto a chi dice di voler incarnare gli ideali della piazza farli propri nell’azione politica. Nel momento in cui questo non avviene, e non è detto che avvenga, è chiaro che le risposte generate vanno al di fuori della pratica politica quotidiana. Questa è una spiegazione del perché siano nate queste forme di lotta. Nessuno è riuscito a rappresentarle adeguatamente».
 
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Autore: Angelica Vecchio
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Un estratto da un appello di Cornelius Castoriadis. - Il mondo contemporaneo è caratterizzato dalle crisi, dalle contraddizioni, dalle contrapposizioni e dalle fratture; ma ciò che soprattutto mi colpisce è l'insignificanza. Prendiamo per esempio il conflitto tra destra e sinistra: ha perduto ogni senso. Gli uni e gli altri dicono le stesse cose. “Faremo un'altra politica” – dicono, e invece proseguono con la stessa. I responsabili politici sono impotenti. La sola cosa che possono fare è seguire la corrente, o in altri termini, applicare la politica ultraliberale oggi di moda. Più che politici, sono politicanti, dediti alla micro politica. Gente che va a caccia di voti con qualsiasi mezzo. Non hanno nessun programma. Il loro scopo è rimanere al potere o tornarci, e per raggiungerlo sono capaci di tutto. La politica è uno strano mestiere, perché presuppone due capacità che non hanno tra loro nessun rapporto intrinseco. La prima è la capacità di accedere al potere. Se non si accede al potere, le migliori idee del mondo non servono a nulla; perciò è necessaria l'arte di accedere al potere. La seconda capacità è quella di saper governare, una volta conquistato il potere....... Quanto più la gente si ritrae dall'impegno politico, tanto più alcuni burocrati, politicanti o seducenti responsabili prendono piede. Hanno una buona giustificazione: “Mi assumo l'iniziativa perché nessuno fa niente”. E quanto più impongono il loro dominio, tanto più la gente si dice: “Non vale la pena immischiarsi; sono già in tanti ad avere le mani in pasta, e in ogni modo non ci si può fare nulla”. Nel 1991 si è verificato l'enorme crollo dell'Urss e del comunismo. C'è stata forse una persona tra i politici per non dire i politicanti della sinistra, che abbia veramente riflettuto su quanto è accaduto? Questo tracollo meritava una riflessione molto approfondita e una conclusione su ciò che un movimento impegnato a cambiare la società può e deve fare, e su quello che non deve e non può fare. E invece niente! E cosa fanno molti intellettuali? Hanno rispolverato il liberismo puro e duro dell'inizio del Diciannovesimo secolo. Le attuali istituzioni respingono la gente, l'allontanano, la dissuadono dal partecipare alla politica. Mentre la migliore educazione alla politica è la partecipazione attiva..... Non servono grandi discorsi, servono discorsi veri. Viviamo su questo pianeta che stiamo distruggendo. L'immaginario della nostra epoca è quello dell'espansione illimitata, è l'accumulazione della paccottiglia, un televisore in ogni stanza, un computer in ogni stanza ed è questo che bisogna distruggere. E' su questo immaginario che si fonda il sistema. La libertà è molto difficile. Perché è facilissimo lasciarsi andare. E Pericle dice agli ateniesi: “Se volete essere liberi, non potete riposare”. Non siete liberi quando state davanti alla Tv. Credete di essere liberi facendo zapping come imbecilli, ma non lo siete. E' una falsa libertà. La libertà è attività grave. Ma è anche un'attività che al tempo stesso si autolimita, nel senso che sa di poter fare tutto ma di non dover fare tutto. E' questo il grande problema della democrazia e dell'individualismo.” – Cornelius Castoriadis, 1997.

Le “violenze”, a seguito di queste manifestazioni di “proteste democratiche”, fanno prese negative nella volontà popolare e la richiesta di sopprimerle anche con la forza, si fa sempre più pressante. Sopprimere codesta dimensione nell'universo sociale della razionalità operativa significa “sopprimere la storia”, e questa non è una questione accademica ma bensì politica. Significa sopprimere il passato stesso della società ed il suo futuro, nella misura in cui il futuro invoca il mutamento qualitativo, la negazione del presente. Un universo di discorso in cui le categorie della libertà sono divenute intercambiabili con i loro opposti, e anzi si identificano con questi, non solo pratica di linguaggio di Orwell o di Esopo, ma respinge e dimentica la realtà storica: l'orrore del fascismo, l'idea del socialismo, le condizioni che fondano la democrazia, il contenuto della libertà. Se una dittatura burocratica governa e definisce la società comunista, se regimi fascisti sono ammessi come membri del Mondo Libero, se l'economia del benessere del capitalismo illuminato è liquidata col definirla “socialismo”, se i fondamenti della democrazia sono armoniosamente aboliti nella democrazia, allora i vecchi concetti storici sono invalidati da nuove definizioni operative debitamente aggiornate. Le nuove definizioni sono falsificazioni che, imposte dalle potenze in atto e dai poteri di fatto, servono a trasformare la falsità in verità. Il linguaggio funzionale è un linguaggio radicalmente antistorico: la razionalità operativa non sa che farsene della ragione storica. Non può essere che questa lotta contro la storia sia parte della lotta contro la dimensione della mente in cui potrebbero svilupparsi facoltà e forze centrifughe, tali da intralciare l'integrazione totale dell'individuo nella società? Ricordare il passato può dare origine ad intuizioni pericolose, e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria. Ricordare è un modo di dissociarsi dai fatti come sono, un modo di “mediazione” che spezza per brevi momenti il potere onnipresente dei fatti dati. La memoria richiama il terrore e la speranza dei tempi passati. Entrambi tornano in vita, ma nella realtà il primo ricorre in forme sempre nuove mentre la seconda rimane speranza. E negli eventi personali che ricompaiono nella memoria dell'individuo si affermano le paure e le aspirazioni dell'umanità – l'universale nel particolare. E' questa che soccombe al potere totalitario dell'universo del comportamentismo. Lo spettro di un'umanità senza memoria si sta affacciando all'orizzonte!
La disarmonia tra l'individuo ed i bisogni sociali, e la mancanza di istituzioni rappresentative in cui gli individui lavorino e parlino per sé, conduce alla realtà di universali quali la Nazione, il Partito, la Costituzione, la Corporazione, la Chiesa – una realtà che non si identifica con alcuna particolare entità identificabile (individuo, gruppo, o istituzione). Tali universali esprimono vari gradi e forme di reificazione. La loro indipendenza, sebbene reale, è spuria poiché è l'indipendenza delle potenze particolari che hanno organizzato l'insieme della società. Una ritraduzione che dissolvesse la sostanza spuria dell'universale è pur sempre necessaria – ma è una necessità politica. Si crede di morire per la Classe, si muore per gli uomini del Partito. Si crede di morire per la Patria, si muore per gli Industriali. Si crede di morire per la Libertà delle persone, si muore per la Libertà dei dividendi. Si crede di morire per il Proletariato, si muore per la sua Burocrazia. Si crede di morire per ordine di uno Stato, si muore per il Danaro che lo sostiene. Si crede di morire per una nazione, si muore per i banditi che la imbavagliano. Si crede – ma perché si crederebbe in una ombra così fitta? Credere, morire?......quando si tratta di imparare a vivere? Questa è una traduzione genuina di universali ipotizzati in fenomeni concreti, e tuttavia essa ammette la realtà dell'universale nel mentre lo chiama con il suo vero nome.... . E questo tutto non è una mera “Gestalt” (percepita come in psicologia: forma, schema, rappresentazione), né una metafisica assoluta (come in Hegel), né uno stato totalitario (come nella scienza politica di second'ordine); è lo stato di cose stabilito che decide della vita degli individui.


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