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Comune, una crisi ancora aperta e senza soluzione Cosa succede nel Palazzo. Le fratture nel centro sinistra. Centro destra in attesa di invito a nozze
15 dicembre 1999

Non chiedeteci di fare un riassunto delle puntate precedenti. Anche per un giornale come il nostro, che ha cercato di seguire con attenzione le fasi di questa crisi amministrativa, ricapitolarne i passaggi, i capovolgimenti di fronte, gli spostamenti dei protagonisti è davvero impresa impossibile. La lunga crisi Aperta dai Ds ad aprile e trascinatasi stancamente per mesi, la crisi pare non trovare soluzione. Partiti e consiglieri continuano a chiedere a sindaco e giunta un maggiore coinvolgimento nel lavoro amministrativo, sindaco e giunta s’impegnano a concederlo, ma tutto rimane immutato. L’impressione è che le richieste siano altre, non sempre esplicitabili pubblicamente. Ma atteniamoci ai fatti. La ricerca del sedicesimo I fatti sono una sequela di Consigli comunali, svoltisi sotto il segno cabalistico del numero 16, ai quali il sindaco si è presentato con la valigia pronta. Fra i provvedimenti all’ordine del giorno ce n’era sempre uno che, qualora non fosse stato approvato, avrebbe determinato l’automatica caduta dell’amministrazione e che per passare aveva bisogno della maggioranza qualificata di 16 consiglieri. Belle performance, con i cittadini ad affollare la sala consigliare, gli amici per dare il proprio sostegno fino in fondo, i nemici per non perdersi lo spettacolo di veder finalmente cadere Minervini che, quasi miracolato, alla fine il sedicesimo voto lo ha sempre trovato. Le prime volte c’è stato quasi pathos, ma il livello dello spettacolo è poi scaduto sempre più. E’ diventata via via insopportabile la manfrina degli inizi ritardati per le persuasioni dell'ultimo momento, delle richieste di sospensione per cinque minuti, dilatatisi a volte in ore, dei consiglieri presenti a Palazzo Giovene, ma fuori dell’aula al momento del voto o richiamati all’ultimo secondo a fare il sedicesimo. Per non parlare del palese disinteresse per i provvedimenti in discussione, nel caso del penultimo Consiglio comunale si trattava d’ingenti finanziamenti che Molfetta rischiava di perdere, ma la cosa era assolutamente secondaria per i più. Dimissioni, dimissioni A molti, amici e nemici, è sembrato ad un certo punto che non ci fosse altra scelta se non quella del “rompete le righe e tutti a casa”. L’ostinazione di Guglielmo Minervini a tener duro e a cercare tutte le soluzioni possibili è stata interpretata con la classica formula “dell’attaccamento alla poltrona”, magari come voglia di mantenere il ruolo per presentarsi da sindaco in carica alle prossime elezioni politiche. L’idea che le dimissioni potessero essere lo sbocco obbligato della crisi si è radicata sempre di più con il succedersi di Consigli comunali via via più indecorosi. C’è da porsi però una domanda: con le dimissioni i problemi sarebbero stati risolti? E’ semplicemente un questione di uomo o di coalizione? Non c’è dubbio che la crisi si è sviluppata all’interno del centro sinistra. All’indomani della vittoria elettorale il sindaco aveva operato una sorta di quadratura del cerchio, dividendo più o meno equamente fra i diversi partiti assessorati e cariche di rilievo, rinunciando alla giunta tecnica, marchio distintivo della sua prima esperienza. Evidentemente non è bastato, se i partiti hanno denunciato da subito disagio, scarsa rappresentatività, mancato coinvolgimento nell’azione di governo, tutto aggravato dal passaggio del sindaco alla formazione dei “Democratici”, che l’avrebbe privato della sua condizione di super partes. Alla fine il centro sinistra sembra non esserci più, anche perché, se pur esso fosse la semplice somma dei partiti che lo compongono, la somma di tante crisi darebbe a sua volta una crisi. I partiti Verrebbe da dire, ma esistono? I Ds, che pure dovrebbero essere l’anima della coalizione, sono più tormentati. Dimissionario il segretario cittadino Corrado Samarelli, non si può certo pensare al congresso, in cui le diverse anime potrebbero giungere ad un chiarimento, spaccato il gruppo consigliare. Più volte in Consiglio comunale sono emerse due anime, da un parte Tommaso Minervini (laburista?) e Nicola Angione, dall’altra Corrado Samarelli e Michele Paparella, anche se quest’ultimo pare faccia vita a sé e segua poco le questioni interne diessine. Nel Consiglio comunale del 19 ottobre Samarelli, allora ancora segretario in carica, sconfessò la scelta del suo capogruppo Tommaso Minervini di astenersi su di un provvedimento la cui mancata approvazione avrebbe comportato automaticamente la sfiducia, una scelta che Tommaso Minervini accompagnò con un duro discorso contro il sindaco, accusato di essere il capo di una cupola d’affari trasversale a tutte le formazioni politiche. Per arrivare poi al Consiglio del 29 novembre in cui, più o meno nella stessa situazione di voto che sarebbe valso come fiducia al sindaco, il consigliere Minervini, pur presente a Palazzo Giovene, dopo aver a lungo trafficato con documenti vari e con consiglieri della maggioranza e dell’opposizione, non è entrato nell’aula per votare, ancora una volta in evidente disaccordo con Samarelli. Identica scena nella seduta del 15 dicembre, quando Tommaso Minervini è stato in aula giusto il tempo di replicare la sua litania di accuse al sindaco, attaccato a ruota da Samarelli. Il Partito popolare non sta meglio. Onofrio Caputi, uno dei due rappresentanti in Consiglio, da parecchio morde il freno, avanzando richieste di maggiore coinvolgimento nell’attività amministrativa, e nel Consiglio del 25 novembre ha proclamato di prendere le distanze dal sindaco, affermando addirittura di parlare a nome del partito, ma in questo prontamente smentito dall’altro consigliere Mariano Caputo e poi da Oronzo Amato, segretario cittadino del Ppi. Ad ogni modo, nel Consiglio del 29 novembre Caputi non ha preso parte alla votazione, pur essendo presente all’inizio della seduta. Anche i Verdi sono protagonisti della crisi. Le dimissioni di Beppe Pansini da assessore ai lavori pubblici hanno avuto conseguenze polemiche. I Verdi hanno rivendicato per loro l’assessorato, secondo gli accordi post elettorali, e molto ristretto i petali della “rosa di nomi” da offrire al sindaco affinché operasse la scelta dell’uomo o della donna a suo parere più adatto al ruolo, ponendolo in pratica di fronte ad un aut aut. Nell’imminenza del solito Consiglio comunale decisivo, hanno fatto sospirare fino all’ultimo i loro due voti, così necessari per raggiungere i sedici. Chi era presente il 19 ottobre nella sala gremita, in attesa della dichiarazione di voto a favore o contro, sa bene che le cose sono andate proprio così, si pendeva dalle labbra di Pino Amato per sapere se Minervini sarebbe stato ancora sindaco o no. Dopo una serie di tira e molla hanno scelto di “fare un passo indietro” e, tramite un comunicato stampa, hanno dichiarano di rinunciare all’assessorato. Decisione durata pochissimo, visto che il 2 dicembre la delega ai Lavori pubblici è stata attribuita a Matteo Innominato, che lascia così il Consiglio comunale, sostituito dal primo dei non eletti Vito De Fazio. I “Democratici”, pur agitati al loro interno da anime differenti, in questa fase hanno mantenuto salda la rotta sulla fedeltà al centro sinistra e al sindaco, ma è stato smentito l’ingresso in questo partito di consiglieri dell’opposizione che così avrebbero rinfoltito le file della maggioranza. I Repubblicani parevano gli unici a non avere problemi ma, colpo di scena, in apertura del Consiglio comunale del 15 dicembre il consigliere Mauro Spaccavento si dimette dalla carica di vice presidente del Consiglio e annuncia che la strada del suo partito e quella del sindaco si dividono. I repubblicani da questo momento si ritagliano il ruolo di “coscienza critica” nei confronti della maggioranza. Si potrebbe dire che le cose vadano bene solo nell’estrema sinistra, dato che non è venuto mai meno l’appoggio dei Comunisti italiani, se non occorresse ricordare, anche se fuori contesto, che rimane fuori dalla maggioranza il Partito della rifondazione comunista, pure decisivo nella vittoria del ’98. Il movimento “Molfetta che vogliamo” si è in pratica liquefatto, prima Piergiovanni e Nappi hanno veleggiato verso i “Democratici”, poi Fiorentini nel Consiglio comunale del 19 novembre s’è dichiarato indipendente ed è rimasto il solo Azzollini, attirato dalla sirena Tommaso Minervini. Azzollini che nel Consiglio del 25 novembre aveva dichiarato di non far più parte della maggioranza, ma quattro giorni dopo, nella seduta del 29 novembre, al momento decisivo era entrato in aula a fare il sedicesimo e con il suo voto ha mantenuto in vita la giunta Minervini. Rimane la testimonianza coerente e senza equivoci del “Percorso”, rappresentato da Franca Carlucci, ma quasi come fossile del passato, frammento fra altri frammenti. Questi sono i partiti del centro sinistra. Non che quelli del centro destra stiano molto meglio, lo si comprende anche dall’incapacità di approfittare di questa situazione, di mettere assieme una mozione di sfiducia. Le prospettive La maggioranza traballa, il centro sinistra si sgretola e, questo nodo problematico, a tratti sembra trasformarsi in una sorta di duello personale, quello fra due personaggi che, per ironia della sorte, hanno anche lo stesso cognome: Minervini. Ci scuseranno i Lettori, allora, se per un po’ li chiameremo per nome: Guglielmo e Tommaso. Partiamo da quest’ultimo che s’è ritagliato un ruolo da protagonista, con i suoi discorsi fiume e roboanti, le accuse pesanti, i tentativi personali d’allargamento della coalizione e in fondo una sola richiesta, quella della leadership del centro sinistra. E’ a questa che Tommaso punta, addirittura da prima che si parlasse di centro sinistra, prima che l’altro, l’antagonista, lasciasse il volontariato per la politica. La leadership che non vuole costruire, ma della quale vuole essere investito, come un cavaliere medievale, dall’unico che al momento ne abbia, almeno a suo pensare, il potere e cioè il sindaco. E se Guglielmo non lo fa, allora è pronto a costruirsi una coalizione alternativa, detta anche “grande centro”, con frange transfughe di questa maggioranza e altri che al momento sono all’opposizione. Chissà quanti ricorderanno che nel ’94, l’allora candidato sindaco Minervini fu scelto con le elezioni primarie, ad evocarle ora si sarebbe scambiati per illusi e anche sciocchi, perché il vento è cambiato. Ma di qui a pensare che la guida di una coalizione debba essere frutto di un’investitura ce ne corre. Se è un questione di passaggio di consegne da Minervini a Minervini, i partiti davvero che ci stanno a fare, per non parlare dei militanti e dimenticando completamente l’estinta “società civile”. La politica Lo abbiamo scritto per mesi e non ci fa per nulla piacere doverlo ricordare ancora, ma in ballo non sono semplicemente due nomi e due uomini, che altrimenti si potrebbe ipotizzare un bel gioco dell’oca: Guglielmo alla Camera dei Deputati, Tommaso finalmente e felicemente sindaco, qualcun altro, magari di centro, alla Regione e via dicendo fino alle caselle con gli incarichi minori da distribuire ai comprimari. In mancanza di casa Letta o di qualche altro importante salotto romano, un accordo così a Molfetta si può fare tranquillamente al Bar San Marco, senza neanche scomodare gli studi professionali, che pure sono stati tirati in ballo in Consiglio comunale come luogo di costruzione di patti ed alleanze. Dall’altro c’è un progetto che è stato vincente, ma che con gli anni si è scolorito e sfilacciato, che è stato necessario rammendare e rattoppare, tanto che non è quasi più leggibile il suo disegno originario. La politica che si fa accordandosi sui programmi e non sulla divisione delle cariche, sul confronto delle idee, scegliendo i compagni di strada e non spaccando i partiti e mettendone assieme, come una sorta di novello Frankestein, i vari pezzi per coalizioni senza identità, la politica che non cerca i contatti personali, ma il dibattito pubblico e la partecipazione, tutto alla luce del sole, quella che, anche a livello nazionale, brandendo il nome Ulivo, stenta a farsi strada. Quella che si gioca oggi è la partita sul futuro, non si tratta di sapere quale centro sinistra si metterà in competizione alle prossime elezioni con il Polo, né chi ne sarà la guida, ma quale idea di comunità e di sua gestione politica finirà per prevalere. Una partita che, ad ogni modo, non può continuare ancora a lungo. Se si tirerà avanti con lo spettacolo indecoroso degli ultimi Consigli comunali, in cui i vari provvedimenti amministrativi sono stati assolutamente secondari rispetto alle dichiarazioni di questo o di quell’altro che lascia la maggioranza, vi ritorna, che si mette in posizione vigile e quanto altro, davvero quel che rimarrà di questa coalizione e del progetto politico nato con le elezioni del ’94, non sarà nient’altro che il classico mucchietto di cenere. Lella Salvemini
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