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Colpire Silvia Romano per colpire la Cooperazione Internazionale
Silvia Romano liberata
14 maggio 2020

 È evidente che la vicenda e le circostanze che ruotano intorno alla liberazione di Silvia Romano destano qualche perplessità ai più e, in effetti, resta ancora molto da capire in relazione alle modalità del rilascio, così come in riferimento alle scelte, più o meno libere, che la ragazza ha compiuto in mesi di prigionia.

Ad ogni modo, questo secondo aspetto, in realtà, dovrebbe interessare solo lei e, per pura curiosità scientifica, anche chi si occupa di psicologia o di neuroscienza, in grado di illuminarci sui percorsi che la mente può fare in condizioni di cattività e come tutto ciò possa influire su ciò che crediamo o pensiamo “liberamente”. Eppure davvero non si comprende il motivo per cui molti debbano sentirsi altrettanto “liberi”, e per di più rivendicare tale libertà di parola come una conquista della democrazia, di esprimere personali punti di vista su questioni delicatissime che riguardano la vita di altri esseri umani, le loro scelte, i loro stili di vita. Sarà che molta responsabilità in questa evoluzione della libertà di parola in libertà di opinione sia stata sdoganata da un certo uso del mezzo televisivo, in cui abbondano i cosiddetti “opinionisti”, cioè persone evidentemente senza una competenza specifica sul tema trattato, divenute famose perché chiamate ad esprimere le proprie opinioni su politica, economia, costume, religione, varie ed eventuali. La mia impressione è che anche in questo caso la psichiatria, molto più della psicologia, abbia molto da indagare per spiegarci come mai la gente senta il bisogno di esternare e condividere attraverso i social network odio, risentimento e una violenza verbale che dopo alimenta anche la violenza vera, arrivando già alle minacce di morte a tre giorni dalla liberazione della ragazza. Sarebbe davvero un paradosso per una cooperante internazionale essere liberata dalla prigionia di guerriglieri islamici per mano dallo Stato italiano e poi essere ammazzata, non si capisce per quale motivo, per mano di cittadini liberi italiani: siamo a questi livelli di interpretazione della libertà!

Ciò che, invece, come cittadini italiani dovremmo pretendere di sapere è come mai sia trapelata a livello istituzionale la notizia che sia stato pagato un riscatto per la liberazione di Silvia Romano. E, per evitare qualsiasi fraintendimento, sarebbe il caso di ribadire il concetto: dovremmo chiederci perché e chi ha diffuso così repentinamente una notizia così dettagliata sul pagamento di un riscatto di quattro milioni di euro al gruppo terroristico che aveva la donna in ostaggio.

È plausibile che un riscatto sia stato pagato, così come è stato pagato in passato per la liberazione di tutti gli altri cittadini italiani che per ragioni militari, giornalistiche, pubbliche o private si sono recati in zone pericolose e così sarà in futuro, anche nel caso di uomini andati segretamente a cercare baby prostitute in altri paesi. È vero che lo Stato blocca i conti e il patrimonio della famiglia dell’ostaggio, ma è anche vero che i servizi segreti cominciano una difficile trattativa con i rapitori e/o i terroristi per la liberazione dei nostri concittadini, una trattativa che, per tradizione e orientamento, finisce quasi sempre con il pagamento del riscatto, che avviene con fondi riservati in dotazione agli stessi servizi segreti e che non rientrano nel bilancio del Ministero delle Finanze.

Ecco, eppure vedo che oggi molti vorrebbero che ci fosse la pena di morte in Italia, come negli Stati Uniti, e la augurano anche a Silvia Romano e, magari, preferirebbero vedersi l’action movie in diretta su youtube di una liberazione con i marines che attaccano con armi pesanti il piccolo paese africano, radendolo al suolo, pur di salvare una sola anima, quella americana, e con essa soprattutto la sua immagine. Ma in Italia, per fortuna, i servizi segreti funzionano diversamente e qualche volta, purtroppo, sono loro a rimetterci la pelle, come avvenne il 4 marzo 2005 a Nicola Calipari, funzionario del SISMI che, per proteggere Giuliana Sgrena, la giornalista de Il Manifesto rapita in Iraq, cadde sotto una raffica di colpi provenienti, guarda caso, proprio dagli americani.

Costa molta fatica ammetterlo, ma davvero in diverse circostanze gli ultimi governi ci fanno rimpiangere il personaggio di Berlusconi. Anche nella liberazione della Sgrena, probabilmente – perché non vi fu né mai deve esserci notizia ufficiale - fu pagato un riscatto e bisogna dire che, personalmente, già mi attendevo lo sfruttamento dell’occasione ghiotta per Berlusconi, che era al governo in quel frangente con Gianfranco Fini agli Affari Esteri, di tirare fuori la sua tiritera sui comunisti che se ne vanno in giro a combinare danni per la collettività e l’economia mondiale. Invece, non ci fu grande polemica e la questione fu gestita nel massimo riserbo istituzionale, con la complicità dei giornali, che, quantomeno, attendevano la liberazione di una collega.

Qui, invece, qualcosa non ha funzionato o ha funzionato davvero male a livello istituzionale, giacché la notizia del pagamento di un riscatto è trapelata, con dovizie di particolari, contestualmente alla liberazione, rilanciata da alcuni giornalisti e politici, anche di sesso femminile, che hanno assolutamente approfittato per rincarare la dose sulla inopportunità di salvare la vita di una donna che si è, innanzitutto, convertita all’islam, ma, soprattutto, si è recata spontaneamente in Africa per una missione di cooperazione internazionale, cioè perché le è balenato di fare qualcosa volontariamente, per quel che poteva, per aiutare dei bambini in difficoltà.

E qui mi sorge il sospetto che, nell’ondata di sovranismo e razzismo soffuso, Silvia Romano sia solo l’ultimo bersaglio accidentale, come Carola Rackete, del resto, che alcuni politici e giornalisti compiacenti abbiano elaborato per colpire tutte le missioni internazionali, così come l’idea stessa che possa esservi, oltre la dimensione di ciò che ricade direttamente sotto il proprio culo, una cooperazione internazionale, che non risponde direttamente a direttive governative, ma fa riferimento ad una rete globale incontrollabile, non irreggimentabile, che sfugge al controllo e per questo da dare facilmente in pasto alla gogna nazional-popolare.

È stato un gioco da ragazzi, in tempi di emergenza per coronavirus, di fobie e follie liberticide, di crisi economica, di astinenza sessuale extraconiugale e da lavoro dipendente, per gli imprenditori dell’odio scatenare, per mezzo di post virali, il risentimento degli italiani per aver speso quattro milioni di euro per una cooperante volontaria, per di più convertitasi, sposata e incinta. Che, oltre al bieco sessismo e all’insulsa islamofobia, si stia da tempo cercando di screditare la portata umanitaria e la valenza sociale della cooperazione internazionale gestita dalle incontrollabili ONG è testimoniato anche dall’attacco subito da una personalità dall’indiscussa professionalità quale Gino Strada, accusato da un presunto medico torinese, sempre rigorosamente su un social network, di non essersi impegnato per l’emergenza del coronavirus: «Che fine hanno fatto le ONG? Gli stranieri li aiutano e il popolo italiano no? Non abbiamo bisogno noi di loro?» , costringendo Emergency, Medici senza Frontiere e Action Aid ad una clamorosa, quanto sonante, smentita, ma chissà se per i leoni da tastiera sarà servita.

Michele Lucivero

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