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Christian Di Domenico: U Parrinu, la mia storia con Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia L'intervista
15 aprile 2014

Attore e pedagogo abilitato allo sviluppo e all’insegnamento della metodologia teatrale acquisita dal Maestro russo Jurij Alschitz dalla European Association For Theatre Culture, Christian Di Domenico è diplomato alla Scuola di Teatro di Bologna diretta da Alessandra Galante Garrone, e presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. E’ inoltre, Direttore Didattico dell’Accademia Teatrale ITACA (International Theatre Academy for Adriatic) che ha sede in Puglia. Lo abbiamo intervistato per i lettori di “Quindici” Ciao Christian, descrivimi un po’ da dove sei partito? «Ho incominciato a fare teatro dopo aver finito il liceo classico. Andai a Bologna per frequentare l’università e mentre ero in fila per l’iscrizione, incontrai una ragazza che mi piaceva e che frequentava la scuola di teatro. Così sono finito nella scuola di teatro per lei. Sicuramente dentro avevo una vocazione latente, basti pensare che sui banchi di scuola superiore già mi improvvisavo attore autodidatta, ma non avrei mai pensato di fare questo come professione. Sono pugliese dal 2001, poiché il lavoro mi ha portato qui per insegnare nei corsi e nei laboratori teatrali e sono diventato il direttore didattico dell’unica accademia che ci sia in Puglia, l’accademia Itaca. Diversamente dalle altre scuole di teatro la nostra è sempre aperta a tutti, anche se non ben promozionata, mentre molte scuole di teatro hanno solo cadenza settimanale. La regione aveva commissionato ad un mio compagno, di cercare attori residenti nel territorio pugliese, proprio per originare una compagnia che collaborasse con gli attori della zona, e da allora, nasce nel 2001 la Compagnia delle Formiche. Quindi dal 2001 al 2013, per 12 anni, io sono stato prima di tutto il dirigente di questa compagnia, direttore didattico della scuola di teatro Itaca, primo attore della scuola di teatro di Chioggia, però sono rimasto in Puglia principalmente perché mi sono sposato con Paola,mia moglie, nel 2003. Allora sono rimasto qui, fondamentalmente per il lavoro ma la mia famiglia è il mio primo pensiero». Allora, raccontami di questo tuo spettacolo, e come hai saputo farlo diventare così conosciuto. «Il mio spettacolo che si chiama U Parrinu. La mia storia con Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia, è la storia della vita di Don Pino Puglisi, incrociata alla mia vita. Ho infatti conosciuto don Puglisi quando ero piccolo; veniva a trascorrere alcuni giorni di vacanza con la mia famiglia, e con lui girava aria diversa in casa, bastavano piccoli gesti come per esempio la semplice preghiera prima dei pasti. Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, un colpo di pistola alla nuca spense la luce che brillava nei suoi occhi. Fu eliminato perché, togliendo i bambini alla strada, li sottraeva al reclutamento della mafia. Don Pino fu giudicato dai boss di Cosa Nostra un fastidioso intralcio di cui liberarsi alla svelta, il suo assassinio fu soltanto il mostruoso epilogo di una lunga catena d’incomprensioni, inadempienze e silenzi da parte di tutti. Il 25 maggio 2013, (l’anno della Fede, per la Chiesa) si è celebrata la Beatificazione di Padre Puglisi, mentre il 15 settembre 2013 si commemoreranno i 20 anni dalla sua morte. Porto sempre con me l’immagine di Padre Puglisi, specialmente nelle mie preghiere. Oggi sento il bisogno di raccontare la sua storia, intrecciandola con episodi salienti della mia biografia, in cui don Pino è presente anche quando è lontano, perché credo che possa aiutare le nuove generazioni a recepire quei valori di cui ogni sua azione compiuta era portatrice: Fede, Coraggio e, soprattutto, capacità di Perdonare. Per la prima volta ho scritto un testo, quando di solito sono solo attore o regista, ma non drammaturgo e non ne avevo mai scritto uno in vita mia. Per la composizione di questo testo ho impiegato infatti la bellezza di nove mesi, un po’ come una maternità. All’inizio io non c’ero nemmeno, ma c’era solo la storia di don Pino dalla vita alla morte in un copione di 46 pagine. Più tardi ho deciso di incorporare questo testo con la mia vita perché ho sentito di dover dedicare questo spettacolo interamente a lui. La mia biografia si intreccia con la vita di don Pino proprio perché la mia famiglia è stata segnata da questa morte, specialmente per mia madre è stato un trauma, dato che era una persona a lei, e a noi, cara. Ho avuto il piacere di conoscerlo di persona e, come racconto ai miei spettatori, avendo perso molte occasioni per poter recuperare con lui, per poterlo avere accanto, mia madre mi invitò a fare uno spettacolo per ricordarlo. Sentivo dentro di me l’urgenza, la necessità, di rendere onore alla memoria di don Pino, utilizzando gli strumenti della mia professione. Quando poi l’ho realizzato, il 25 maggio nel giorno della sua beatificazione , al castello di Barletta, ho invitato amici e colleghi tra cui, Riccardo Carbutti, il direttore artistico del Festival Castel dei Mondi ad Andria. Mi ha aiutato molto nel Festival dell’anno scorso, lo spettacolo fu un successo clamoroso, dove dovemmo mandar via un centinaio di persone perché lo spazio non lo consentiva, e per questo motivo ho dovuto fare una replica straordinaria. Da quel momento in poi, l’eco del lavoro, fu così grande che ho iniziato da Andria un percorso tra le scuole, le parrocchie e le piazze, provando ad avvicinarmi, prima di tutto, ai ragazzi. Sono in giro per l’Italia facendo diversi spettacoli grazie ad un continuo passaparola. Le persone che osservano la mia rappresentazione sentono il bisogno di chiamarmi e invitarmi da loro proprio per raccontare la mia storia. Ho avuto diverse chiamate dai docenti, dai genitori perché vogliono che i loro figli mi vedano. U Parrinu, mi ha permesso di fare più di 100 repliche, che è un vero miracolo. Il lavoro non è stato sempre positivo per me; ho avuto la possibilità di lavorare con grandi attori importanti, che hanno più rilievo di me, e in tempi di crisi come questo , pensa che non mi è stato ancora retribuito il lavoro da ben due anni. Ed essendo, comunque, prima di tutto un padre di famiglia, l’immagine di mio figlio con delle scarpette rotte ai piedi senza avere la possibilità di cambiarle, mi ha fatto piangere il cuore. In momenti come questo, il mio porto sicuro è stato la famiglia, infatti parlando con mio padre, se le cose non fossero andate bene, dato che è possessore di un caseificio, avrei chiaramente chiesto a lui un posto di lavoro per garantire ai miei figli che non gli manchi nulla; se questo fosse stato il mio ultimo spettacolo, io sarei stato comunque contento perché è una bellissima parabola da raccontare ai miei figli. Quando la mia famiglia vide per la prima volta lo spettacolo, mio fratello Ivan si rivolse a me dicendo che non mi avrebbe mai voluto nel caseificio, e con le lacrime agli occhi mi dette tanto coraggio e la giusta carica per continuare questa sfida. Il tema principale è quello del perdono che ritroviamo nella testimonianza di Salvatore Grigoli (assassino di don Pino), e tocca quei valori basati sul perdono e su tutti i gesti di buona volontà di don Pino. Sono davvero contento per questo spettacolo perché mi permette di avere tanti contatti e amicizie, richiamando anche la vocazione di don Pino, e il suo desiderio di stare a stretto contatto con la gente ed i ragazzi. Sento un’emozione particolare dentro di me ogni volta che mi esibisco. Quando vedo il pubblico davanti a me, quasi sempre commosso, o che alla fine mi viene a stringere la mano e si congratula, è un modo di fare comunità e di fare teatro che ha restituito un senso alla mia professione che molto probabilmente avevo perduto e che forse si è un po’ perduta. Con questo non voglio assolutamente dire che un attore deve per forza mandare certi messaggi facendo teatro ma è anche vero che molto del teatro è effimero. Il mio teatro è un teatro vivo, del momento e ci vuole una giusta attenzione ed empatia, un giusto ascolto che garantisce l’efficacia dello spettacolo. Io sento uno stretto legame col pubblico che ho di fronte. Cerco infatti un punto di incontro con la comunità che mi ascolta, perché mi ha fatto riscoprire il contatto umano e le relazioni. Questo è un patrimonio inestimabile da custodire con cura». Diversamente dagli altri spettacoli teatrali, il tuo teatro ha mantenuto le luci accese. Come mai questa scelta? «E’ vero, io tengo le luci accese perché cerco comunque un’atmosfera, mantengo anche una piccola luce accesa in sala, tento sempre di rivolgermi alle persone, le voglio vedere in faccia, voglio far capire a loro che sono all’interno dello spettacolo. Cerco sempre di coinvolgerle, e allora ho bisogno di vederle, di stare con loro, ho bisogno della loro presenza, della loro capacità di ascolto e del loro modo di emozionarsi o stupirsi. Il che mi rende quindi cosciente che il teatro è un dare e avere, non un solo dare. Io ho avuto una grande fortuna con il mio spettacolo ma quello che voglio fare oggi è un essere il divulgatore di un grande messaggio, ovvero riuscire a rendere la parabola di formazione a chi ascolta. Avvicinare il loro percorso al mio. Adesso vorrei donare, quella che oggi è una storia. Nelle vesti di attore, cerco di narrare la vicenda, ma nel mio piccolo cerco di dare con le parole tutte le emozioni che ho vissuto e che continuo a vivere con questa mia parte di vita». “Quelli che pensano troppo prima di muovere un passo trascorrono la vita su un piede solo”. La vita di Christian, al giorno d’oggi, che relazione ha con questa frase? «I passi mi hanno portato qui, dopo tutta la mia vita. Ecco vedi, i tuoi passi ti hanno portato qui, a cercarmi. Io non lo so dove mi porterà questo cammino perché ho abbandonato il certo per l’incerto, ho abbandonato la mia compagnia e la mia vecchia vita. In questo momento pieno di incognite, difficoltà e vuoto per me, un po’ mi spaventano, però ci vuole un po’ di coraggio. Questo primo passo non è solo il mio, ma è quello di molte persone. La vita è piena di scelte, sta a noi capire se fare un passo avanti o indietro, e capire qual è la cosa giusta da fare. Per me questo primo passo è sicuramente un nuovo modo di essere attore, nella mia vita. Io non ho più voglia di tornare indietro, cioè io oggi voglio fare delle scelte anche professionali che abbiano alla base una necessità non per forza di carattere morale, ma fare una scelta alternativa ad un teatro che io stesso vedo sempre più distante dagli ascoltatori. Cerco di colpire le persone che sono di fronte a me, fare un primo passo verso di loro. Voglio giungere alle loro impressioni ed emozioni che non fanno altro che fortificare la mia fede che mi da la giusta forza per proseguire nel mio cammino». © Riproduzione riservata “Ho incontrato molta gente di Chiesa… e tutti mi hanno detto: non ti preoccupare che Dio ti perdona.. Io, su questo, ho spesso dubitato che possa perdonare uno come me, di quello che ho fatto io.. soprattutto adesso che forse ho ammazzato un santo… figuriamoci… quante possibilità di perdono posso avere io?” Salvatore Grigoli assassino di Padre Pino Puglisi

Autore: Giambattista Palombella
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