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Bìlico, visioni digitali Una mostra di Gaetano Armenio
15 luglio 2001

Opere di grande impatto visivo, con forti contrasti cromatici che sottolineano un percorso in cui i sentimenti comuni sono rappresentati in forme fantastiche: questa la chiave del successo della mostra “Bìlico” di Gaetano Armenio, che si è tenuta, dal 16 giugno al 1 luglio, nella Galleria RA Comunicazione Totale di Terlizzi. Una mostra al buio, equipaggiati da una flebile torcia elettrica, in viaggio attraverso l’interiorità dell’artista alla scoperta dell’amore, del dolore, del tormento che ad esso si accompagnano. Una esplorazione che si realizza prima che a livello razionale, a livello sensoriale. Un coinvolgente sottofondo musicale e una dolce caramellina aromatica accompagnano i visitatori. Un video ipnotico ed ossessivo contribuisce a creare al primo impatto un senso di smarrimento che prosegue anche con la visione delle prime opere. L’artista, un esordiente, ci racconta come tutto sia avvenuto quasi per gioco: “ho iniziato nel tempo libero, realizzando con i programmi di computer grafica, che durante il giorno utilizzo per il mio lavoro e con semplici fotografie alcuni di questi paesaggi fantastici”. La sua storia è davvero curiosa. Infatti, aveva stampato alcune di queste opere e le aveva collocate nel suo posto di lavoro, ed è stato proprio qui che ha incontrato il gallerista, che, colpito dalle originali composizioni, gli ha proposto di esporle. Prima mostra ma già un bel successo di pubblico e di critica. Si rimane subito stupiti dalla tecnica con la quale sono stati realizzati i quadri. Si tratta di una tecnica, ci spiega l’artista, basata sull’elaborazione di interventi grafici e pittorici, immagini fotografiche digitali, così da realizzare cybacrome di grande formato montati su espanso”. Il risultato? Paesaggi fantastici senza spazio né tempo, percorsi da visioni o pensieri intelligibili, colori contrastanti, corpi femminili celati ma sempre presenti e con infinite identità, volti depersonalizzati in una continua metamorfosi digitale. Parole come tormento, confuse, ripetute con un ossessivo non senso attraversano molte delle opere, ma non sono mai protagoniste della visione, a volte disturbano la percezione come il bagliore della torcia sulla superficie dei quadri che non aiuta ad apprezzare a pieno i contrasti cromatici. Le opere in cui i corpi sono più definiti, poche per la verità, perdono l’originalità della ricerca fantastica ma non il guizzo di colore che le salva dal banale. Difficile trovare il filo conduttore della mostra, la collocazione delle opere non aiuta, spesso il contrasto tra un’opera e l’altra infastidisce e nonostante sia ricorrente o una trama cromatica o un elemento grafico, queste si apprezzano meglio se considerate singolarmente. Anche lo stile non è ben definito alcune opere presentano i caratteri dell’astrattismo altre si chiudono nella rigidità delle forme, ma in tutte ci si scontra con la mancanza di profondità creata e nello stesso tempo compensata dai contrasti cromatici. In conclusione, quella del promettente artista molfettese è una ricerca estetica in continuo bilico fra reali raffigurazioni e rappresentazioni artificiose, immaginarie, illusorie. Michele de Sanctis jr.
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