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Azzollini II, il concetto di democrazia e l'idea di Città-Stato
15 luglio 2008

Noi siamo la radice della sovranità popolare, i rappresentanti del popolo cui tocca scegliere le priorità, è questo il principio ispiratore dell'Azzollini II. Non bis, perché in scena non va uno spettacolo, ma secondo come il numero di una dinastia quella che guida la città, dopo la seconda investitura popolare. Nelle dichiarazioni programmatiche del sindaco Antonio Azzollini, in occasione del primo consiglio comunale, c'è tutta la sua filosofia politica oltre che l'idea di città. Per la filosofia in primis leggasi la regola benedettina, cui il buon Tonino si è richiamato: “ora et labora”, spiegando dunque a cosa è solito dedicarsi quando non è al lavoro, ma tra Senato e Comune di tempo per pregare ne dovrebbe restare ben poco. Poi la dottrina del capo, del governo naturalmente: il Cavalier Berlusconi. “Sono berlusconiano e quindi contrario a un'Europa tecnocrate”, dirà parlando delle resistenze europee al sostegno della pesca, con buona pace del liberismo professato e mai attuato anche dal Cavaliere. Anche l'assoluto e ribadito garantismo penale e il favorevole plauso al federalismo fiscale ha la stessa matrice nazional-popolare del suo partito. E in ultimo del Capo sposa anche la crociata contro i comunisti. Rimproverando all'unico rappresentante in consiglio della sinistra arcobaleno, Antonello Zaza, di essere “immaturo” in quanto “ancora con l'idea che non è il voto popolare a legittimare il governo”. Dimenticando la lezione di Alexis de Tocqueville sui rischi della “dittatura della maggioranza”, ma questa pare essere una lacuna insanabile della destra moderna. Il discorso di insediamento procederà quindi con il tono con cui gli Ateniesi si recarono all'isola di Melo chiedendo di sottomettersi alla grande democrazia, riportato magistralmente da Tucidide. In estrema sintesi “i potenti fanno quanto è possibile e i deboli si adeguano”, e i deboli sono naturalmente i consiglieri dell'opposizione. “Vi dovete rassegnare” dirà replicando a un intervento del capogruppo del Pd, Mino Salvemini, salvo poi lanciare un monito: “quando uno colpisce duro, noi ribattiamo con lo stesso tono duro”. Ed è stato fin troppo di parola. Così, se nella prima seduta i consiglieri dell'opposizione sono stati definiti “vattenti”, i flagellanti dei riti della settimana santa calabresi, al secondo appuntamento della massima assise cittadina Azzollini è passato direttamente al molfettesissimo “vattìn… c'a mo ven un rest”, sempre all'indirizzo di Mino Salvemini. Nel primo caso l'opposizione aveva messo in dubbio l'opportunità, la legittimità di alcuni provvedimenti e la mancanza di pulizia in città e dunque era colpevole di colpire Molfetta e non parlarne bene “come si fa nel resto dell'Italia”. Nel secondo la risposta è arrivata sulla questione della trasformazione di Palazzo Dogana in un albergo di lusso, in cui il capogruppo del Pd aveva adombrato altri interessi dietro la scelta di non farne un uso pubblico. Sempre sullo stesso asse Salvemini-Azzollini già una settimana prima c'erano stati toni forti, ma a parti invertite, con il sindaco che invitava il consigliere ad “avere rispetto per le istituzioni e evitare lo sproloquio”. E le urla in dialetto, i pugni sul tavolo battuti con veemenza in quale decoro istituzionale rientrano? Forse in quello del Senato, dove magari sarà stato influenzato da qualche leghista, cresciuto in un liceo padano. Il riflesso di questa concezione politica è tutto nell'idea di città, cui l'amministrazione è in grado da sola di provvedere alla sicurezza, ai bisogni dei cittadini, alla direzione degli affari e degli insediamenti industriali. Sulla sicurezza Azzollini ha detto che “eserciterà le prerogative di ufficiale di governo”, sulla sanità: “ho un ruolo nel comitato dei sindaci che controlla la Asl”, sui bisogni dei cittadini: “serve un lungomare più lungo stiamo provvedendo a far cambiare i progetti della nuova capitaneria di porto (che sono appena cominciati, ndr)”, sulla zona artigianale: “sorgeranno due grattacieli che serviranno da centro servizi”. E naturalmente il porto: “il più grande appalto dell'Italia meridionale di cui nessuno ha messo in dubbio la correttezza”. L'opportunità o l'utilità sì, ma queste sono derubricate a beghe da minoranza sostenuta da un governo Regionale capace solo di creare ostacoli. Città-Stato perché lavorare con gli altri enti locali, non dello stesso colore politico è difficile, come si sta verificando con la Provincia per il Pulo. Ma una Città-Stato si rapporta direttamente ad altri Stati. E quindi basta il placet dello Stato nazionale raggiunto grazie alle “sinergie” con il presidente della commissione Bilancio, sé medesimo… In ultimo il Consiglio comunale che Azzollini ha promesso “sarà più snello”, nel rispetto del dialogo perché come disse Pericle agli abitanti di Melo nel discorso sulla democrazia “Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica, ma come indispensabile premessa ad agire saggiamente...”.
Autore: Michele de Sanctis jr.
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