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Aspetti ignorati di vita molfettese ai primi dell'Ottocento
15 settembre 2006

Nel luglio scorso è uscito con i tipi del Nuovo Centro Stampa di Molfetta, una interessante ricerca di Paola A.M. Gambardella e Alba Cecchini il volume "Oggetti, storie e stili di vIta a Molfetta tra Rivoluzione e Restaurazione". Già l'acuta presentazione di Marco I. de Santis inquadra la ricerca nell'ambito della storia della civiltà materiale, inaugurata da Braudel, che occupa un posto importante nella storiografia contemporanea. Il lavoro, attento e accurato, condotto dalle due coautrici con apprezzabile criterio scientifico, sostenuto da una ampia bibliografia, ha il "merito di saper analizzare aspetti della vita familiare come l'alimentazione, l'arredamento, l'abbigliamento maschile e femminile, gli spazi dell'intimità casalinga, della vita dei bambini e dei domestici. Questa micro storia si collega alle grandi vicende politiche intercorse tra "rivoluzione e restaurazione", ed alla influenza culturale esercitata sulla città, attraverso la ricognizione del patrimonio librario, dell'arredo artistico delle case, dei gioielli, di collezioni di monete e quadrerie. Questo vario e ricco repertorio è stato portato alla luce, pazientemente e minutamente descritto e valutato, con l'esame di atti notarili di successioni ereditarie e di contratti. Emergono così, anzitutto i ventotto notai operanti a Molfetta nel periodo studiato, di circa un trentennio, che già ci offrono un panorama della borghesia intellettuale molfettese. L'analisi dei patrimoni ci consente di risalire ad un parziale censimento della piccola nobiltà molfettese ed alle fortune di produttori agricoli e commercianti, soprattutto di olio. I nomi dei notai citati costituiscono una prima testimonianza della evoluzione sociale ed economica della città che in quegli anni vedeva crescere la popolazione dai 6.000 abitanti del 1750 ai 14.000 del 1809. Dei notai operanti citiamo alcuni nomi: G. Spadavecchia, F. S. Pomodoro, F. De Pinto, V. A. Tripaldi, D. De Gaudio, O. Bartoli, G. Fomari, D. Visaggio, D. Maggialetti, L. A. Massari, F. S. Palombella, M. Minutillo, F. Capocchiani, S. Viesti, che troveremo poi nelle cronache cittadine del secolo. I patrimoni analizzati sono anche di contadini possidenti; artigiani, medici è cerusici, negozianti, sacerdoti, proprietari, maestri d'arte, accanto ai notabili e possidenti come i baroni Noia, i Piergiovanni, i de Uva, i Salvemini, i Cavalletti, i Lupis, i Fiori, i Nisio, i Gadaleta, i Romano, i De Pinto, i De Candia, di cui alcuni scomparsi dall'anagrafe cittadina, come i Tripaldi, Comar, Gigliese, Gaeta, Colajanni, e soprattutto Antonucci, l'importante vescovo della Diocesi, mons. Gennaro Antonucci. Nel patrimonio di questi cittadini figurano spesso libri, di cui i notai annotano il valore monetario, desunto più dalle rilegature che dagli argomenti trattati. Per una considerazione sul livello culturale delle classi possidenti della città, attraverso un sommario censimento dei libri inventariati, rileviamo anzitutto che alcune dotazioni librarie arrivano a centinaia di volumi o di tomi su argomenti che dimostrano molto chiaramente il carattere della cultura illuministica. Sono trattati di viticoltura, olivicoltura, di medicina, di scienza oltre che di storia di istituzione ecclesiastiche, di liturgia, di letteratura. Non mancavano testi classici latini e greci, dizionari ed enciclopedie. Se a queste collezioni private aggiungiamo la grande "libraria" dei Gesuiti notata dal Pacichelli nella seconda metà del Seicento, poi passata dopo la espulsione dei Gesuiti nella biblioteca del Seminario Vescovile, e le dotazioni librarie degli ordini religiosi presenti a Molfetta come Domenicani e Francescani nei loro conventi, soppressi dalle leggi eversive della Repubblica Partenopea del 1799 e della Monarchia francese dal 1806 al 1815, il patrimonio librario cittadino appare quindi considerevole e fa meritare a Molfetta la fama di città colta. Per completare il panorama della borghesia molfettese che emerge dai documenti riscontrati dalle coautrici, occorre aggiungere i nomi di famiglie cospicue e di personaggi di fama, non citati: sono i marchesi de Luca che saranno imparentati poi con l'antica e potente casata dei Del Balzo, l'enciclopedico Ciro Saverio Minervini, lo scienziato barone Giuseppe Maria Giovene, lo scienziato della corte borbonica, di fama europea Giuseppe Saverio Poli, il cui patrimonio sarà ereditato dal pronipote Giacinto Poli, (che per la dote della seconda moglie, la nobildonna terlizzese Maria Antonietta Antonelli De Paù amministrerà oltre 1.000 ettari sparsi nel territorio della provincia), il musicista Luigi Capotorti, i grandi funzionari del regno di Napoli Sergio Samarelli e Mauro Luigi Rotondo, molti operanti a Napoli. Importanti notizie forniscono le due coautrici su un personaggio di rilievo, Felice Fiori, di cui descrivono il vasto patrimonio librario. Apprendiamo che il Fiori ha studiato a Padova come G. S. Poli, ha viaggiato per tutta l'Italia del Nord frequentando a Siena la famiglia Piccolomini, ha visitato molte capitali d'Europa, ha frequentato a Napoli Giuseppe Saverio Poli e Ciro Saverio Minervini, è stato nominato sindaco di Molfetta nel 1811 e poi componente della Intendenza provinciale insieme al barone Graziano Giovene, ha ristrutturato il Palazzo di città creando il Teatro comunale. A Molfetta la sua "libraria", che comprendeva parecchie "cinquecentine", era aperta ad un pubblico scelto. Il quadro che risulta da tutte queste notizie ci offre la testimonianza, anche nelle abitudini e costumi di vita più comuni, di una città in fase di sviluppo ad opera di una borghesia attiva ed intelligente che sa accumulare fortune con il commercio dell'olio ed i traffici marittimi, senza trascurare la elevazione del tenore di vita e del livello culturale attraverso intensi contatti con Napoli, la Capitanata ed il Salento, Ferrara, Venezia e Trieste, e l'altra sponda dell'Adriatico sino alle coste del Mediterraneo Orientale. Le due coautrici meritano un plauso per la serietà del loro impegno e per il contributo offerto alla storia della nostra città.
Autore: Giovanni de Gennaro
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