MOLFETTA - “Essere un magistrato oggi significa dover affrontare campagne di stampa, di denigrazione e di sovraesposizione mediatica. Nell’Italia attuale la legge è avvertita come un intralcio da settori molto ampi della classe dirigente. Il magistrato può agire solo attraverso la legge e non sulla base di convinzioni personali”. Ha esordito così Antonio Ingroia presentando il suo libro “Palermo” alla libreria il Ghigno a Molfetta. Ingroia, magistrato, è nato a Palermo nel 1959. Nel 2009 è stato nominato procuratore aggiunto alla Procura distrettuale antimafia della sua città. Allievo di Borsellino e Falcone, dal 1993 ha lavorato a fianco di Giancarlo Caselli, conducendo numerosi processi su Cosa Nostra e sui suoi rapporti con il mondo della politica e dell’ economia. Diventato un importante PM antimafia, si è occupato di noti casi giudiziari: dal sequestro De Mauro all’omicidio Rostagno, dal caso Contrada ai processi Dell’Utri e Mori.
L’autore ha parlato di se stesso, dei suoi comandamenti morali, delle sue amarezze e della sua passione per la giustizia. “Sui principi di fondo di una democrazia, non posso essere neutrale. Ho delle opinioni cui far riferimento che non sono né ideologiche né politiche, ma costituzionali. E sono quei valori consacrati dalla Carta su cui ho solennemente giurato. Giurato, lo sottolineo. In difesa di questi valori mi schiero e sempre mi schiererò”.
Poi il magistrato ha raccontato il suo amore per Palermo, capitale della Sicilia e specchio dell’Italia. “E’ una città che raccoglie desideri insieme a grandi lutti e tragedie. E’ la terra che simboleggia i più grandi fallimenti dello Stato ma anche i momenti di grande riscatto della gente dell’intero Paese”.
“Palermo” è un libro che trasporta il lettore in questo cammino di vita che il magistrato compie alla ricerca sempre della verità e del bene comune.
Il volume è dedicato ai genitori del magistrato, Rosa e Gaspare e ai suoi maestri Borsellino e Falcone, uomini che ci hanno lasciato un patrimonio inestimabile di valori. “Il loro patrimonio sembra essere un tesoro dimenticato sul fondo del mare. Il nostro compito oggi è di portarlo in superficie, non c’ è bisogno di cercare un nuovo modello italiano. Noi lo abbiamo. Tocca a noi liberarlo e farlo parlare ai cuori liberi. Per un’Italia migliore non bisogna solo cambiare i volti ma il modo di essere della classe dirigente. Bisogna dare all’Italia esempi positivi perché c’è il rischio che i cittadini possano considerare i corrotti e gli impuniti degli idoli”.
Il magistrato si sofferma su tre punti fondamentali e ci dice che i politici dovrebbero affrontare le seguenti problematiche: il fisco equo, il tema degli evasori fiscali e i servizi efficienti.
Ingroia ha parlato del suo ingresso in politica con il partito Azione Civile per ripulire quel sistema malato e cercare la verità sulle stragi dei suoi maestri.
L’Ultimo Samurai, come viene definito Ingroia, ha compreso che bisogna passare dall’ isolotto e sbarcare sulla terra più grande. Passare da Palermo a Roma significa mettere in gioco la sua storia, la sua credibilità, la sua reputazione professionale.
Per Ingroia il processo di cambiamento deve sciogliere il nodo cruciale della verità. “Il tema della verità non è un tema neutro e giudiziario. Quella stagione del ’92 e ’93 è cruciale per fare il salto di qualità della nostra democrazia. Noi siamo figli di quella strage e se non otteniamo la verità è una democrazia incompiuta. Se non conosciamo la verità su quelle stragi non saremo mai cittadini di una vera democrazia. Quando la verità è una verità difficile e politicamente impegnativa, occorre che la politica faccia la sua parte e c’è la necessità di una politica amica della Legalità e della Magistratura”.
La Magistratura non ha strumenti per conquistarla e per questo Ingroia crede fortemente che entrando nello scenario politico si può provare a cambiare. “Se non si cambia la politica, la partita è persa per il Paese e per la Magistratura. In Italia, la questione criminale è una questione di democrazia perché è legata a dei sistemi di potere criminale unici al mondo. Il problema principale è che la classe dirigente è compromessa con quel sistema criminale ed è la causa da cui discendono tutte le conseguenze”.
Durante il dibattito, Ingroia ha interagito con il suo pubblico. Quindici ha chiesto al magistrato: “Qual è l’insegnamento più importante che le hanno dato Falcone e Borsellino? E noi giovani che viviamo nella dura realtà del Sud cosa possiamo fare concretamente per combattere la criminalità e per non far sì che la giustizia possa divenire solo utopia?”.
L’autore ha risposto che i valori più importanti che gli sono stati trasmessi da Falcone e Borsellino sono la tenacia e l’intransigenza etica. La tenacia nel non arrendersi dinanzi alle difficoltà e combattere per i principi in cui si crede. L’intransigenza etica perché non si deve essere disposti al compromesso. Al riguardo, Ingroia ha raccontato che questi principi gli ha appresi soprattutto da Borsellino. “Dopo la strage di Capaci, Borsellino si è ritrovato non solo senza il suo più grande amico, ma senza la sua àncora, il principale punto di riferimento istituzionale. Ha proseguito il suo lavoro circondandosi di nemici ed ha lottato solo per la giustizia”.
Ingroia ha invitato i giovani a non essere indifferenti, perché l’indifferenza è nemica della Legalità.
“Palermo”, un libro duro, ma accanto ad un’amarezza di fondo, emerge forte la voglia di un impegno per un’Italia migliore. Il sogno che hanno inseguito tutti i caduti per mano della mafia.
La presentazione del libro è stata coordinata dalla prof.ssa Isa de Marco e l’intervista è stata affidata al prof. Raffaelle Tatulli (nella foto). L’incontro con l’autore è iniziato con un minuto di silenzio dedicato alla scomparsa di Agnese Borsellino, moglie di Paolo Borsellino.
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