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Affondi, Molfetta mon amour 2007-2014 La storia politica della città raccontata da un giornalista fuori dal coro
15 novembre 2015

“Vent’anni di “Affondi” sono serviti a tenere acceso il fuoco anche quando la cenere stava consumando la legna. Ora sta a Molfetta non sprecare quello che di nuovo scalda nel camino”: con questa metafora si conclude la prefazione della giornalista e scrittrice Concita De Gregorio al secondo volume degli Affondi di Felice de Sanctis, sottotitolato Molfetta mon amour. 2007-2014. Il volume, in collegamento ideale con il precedente testo stampato nel 2007, raccoglie editoriali e articoli di fondo del direttore di Quindici, tracciando l’ideale storia della nostra città nell’ultimo decennio, scritta secondo l’ottica di “un giornalista fuori dal coro”. La pubblicazione, edita da Nuovo Centro Stampa nel marzo 2015, reca la suggestiva copertina di Marisa Carabellese, che enfatizza l’idea di Quindici come osservatorio attivo sulla nostra città, dalla pittrice effigiata nelle sue bellezze storico-architettoniche, ma anche assimilata al modulo (caro all’artista molfettese) del labirinto, attraverso le scalinate ad avvolgere la Città vecchia in una spirale vertiginosa. Non mancano nemmeno le sapide vignette di Michelangelo Manente, uno sguardo corrosivo sulle miserie e (poche, a dire il vero) nobiltà della nostra politica. Si ironizza su un Antonio Azzollini nelle vesti di Mandrake, spasmodicamente proteso a conservare le due poltrone, ma anche sul “cerchio magico della Nutella” (con la ripresa dei celebri personaggi ideati da Charles Addams) o sulle disavventure del nuovo Sindaco. Particolarmente efficace la vignetta che rappresenta Paola Natalicchio come Paola d’Arco, cui Azzollini, ghignante, si appresta a dar fuoco, o quella in cui la giornalista diviene protagonista di un’arguta riscrittura della fiaba di Biancaneve, con Annalisa Altomare nel ruolo della matrigna coprotagonista. Il volume è corredato da un numero considerevole di fotografie, tra le quali spiccano gli sguardi lucidi ed evocativi di Francesco Mezzina e quelli di Mauro Germinario, che raggiungono il vertice nella poetica immagine di un pescatore, che si staglia, intento al suo lavoro, sull’orizzonte marino. In appendice una breve storia del periodico, il primo editoriale, scritti di Antonio Ghirelli e Saverio Barbati, accanto a una precisa “Cronologia degli avvenimenti a Molfetta e delle battaglie di Quindici”. Nei suoi scritti, Felice de Sanctis si ripropone di considerare la Verità come stella polare, in linea con le idee di Schweitzer, che invitava a non arretrare dinnanzi a quel vero che finisce con il dispiacere ai potenti e ai disonesti, e con il monito salveminiano secondo il quale, più che all’obiettività, il bravo giornalista dovrebbe tendere all’onestà. Così “Quindici” ha attraversato l’era del berlusconismo, misurandosi con le sue ricadute a livello nazionale, ma anche con la sua declinazione locale, ossia i due mandati consecutivi a primo cittadino del senatore Antonio Azzollini. Sin dal primo editoriale antologizzato, “La legge del padrone”, con il ricorso al mito platonico della caverna, de Sanctis esprimeva la profonda insoddisfazione verso una politica dirigista, che induceva il giornalista anche a chiamare in causa, seppur nella - palesemente ironica - deminutio di un contesto decisamente meno arioso, il nobile modello dell’assolutismo monarchico francese. Felice de Sanctis ha sempre evidenziato soprattutto la mancanza di reale progettualità, se si esclude l’effimera stagione del porto. L’assenza di grandi idee e il perpetrarsi nei contesti cittadini e nazionali di una politica di basso profilo hanno indotto l’alimentarsi di quel “vuoto pneumatico”, ch’è l’anticamera dell’antipolitica e ha contagiato destra e sinistra. Negli anni dei mandati azzolliniani, infatti Felice de Sanctis evidenziava anche l’incapacità del nascente Partito democratico di configurarsi come soggetto politico forte, in grado di aggregare consensi e proporsi quale valida alternativa al paradigma dominante. Dal canto nostro, però, possiamo tristemente constatare come quel Partito democratico oggi pervenuto al potere abbia, a livello nazionale, deluso le aspettative di quanti attendevano una svolta rispetto alla stagione passata: il DDL “La Buona scuola” sembra delineare lo scenario di un nuovo dirigismo, incurante delle numerose voci di dissenso. Negli anni del porto e dell’edificazione sulle lame, ma anche dello scandalo “Mani sulla città”, de Sanctis ha spesso richiamato l’attenzione, insieme ai suoi collaboratori, sulle Valutazioni di impatto ambientale, che appariva quasi impossibile menzionare, in quanto suscettibili di sviluppi sgraditi alla classe dirigente. Come la profetessa Cassandra, Quindici ha smosso l’aria e diffuso verità scomode, non di rado attirando su di sé reazioni malevole e violente. Particolarmente efficaci alcuni editoriali, come quello sul “bispensiero antidemocratico”, con il riferimento alla fantascienza politica orwelliana, tradotta in realtà attraverso quella strategia di governo che agisce in modo che “la mente si adatti senza resistenze alla realtà così come definita dal partito e cancelli ogni dato divergente, ogni forma di obiezione” (15/09/2009). Moniti coraggiosi, come quello di “rottamare i politici”, emblemi di una classe dirigente senescente più moralmente che anagraficamente; deprecazioni dell’illegalità diffusa, di cui ipostasi era il proliferare dell’abusivismo dei fruttivendoli ambulanti; scorata, mai disperata, registrazione dello stato di incuria e di scarsa valorizzazione della bellezza di una città ricca di arte e storia... Sono questi alcuni dei Leitmotive degli editoriali di de Sanctis, sempre attento anche a quel senso di precarietà che offusca il percorso delle giovani generazioni. Non a caso, rivendicando con coraggio, e sulla scorta di illustri esempi internazionali (il “New York Times”), il diritto giornalistico dell’endorsement, egli ha sostenuto la candidatura della giovane Paola Natalicchio, volto che rappresentato per la cittadina una concreta chance di cambiamento (15/05/2013). Tra le tante citazioni che arricchiscono e impreziosiscono l’ordito degli editoriali di de Sanctis, ci piace ricordare il suo riferimento a Wilde, che sosteneva che “si conosce il prezzo di tutte le cose e il valore di nessuna”. Forse è questa la vera chiave di volta del recente buio ventennio di storia italiana e, ovviamente, molfettese: al nostro popolo serve riscoprire, alla maniera dei vecchi marinai, l’uso della rosa dei venti, o magari di quella che lo scrittore serbo Tomislav Mijovic definiva “la lanterna in mano al santo”. Solo così potremo ritrovare la giusta direzione, laddove ci agitiamo come tanti ignavi all’inseguimento di un’insegna sbrindellata e vana. 

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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