La carità ama a tal punto il silenzio, che questo diviene la condizione indispensabile perché il dono non si tramuti in offesa. Queste sono parole pronunciate da un grande uomo che ha deciso di restare umile e generoso e che ancora oggi è nel cuore di tutti, don Tonino Bello, fondatore del Centro d’Accoglienza della Caritas diocesana il cui giorno di inaugurazione fu il 9 febbraio 1989. Oggi, quasi raggiunto il trentesimo anniversario dalla fondazione del Centro Caritas don Tonino Bello, parliamo della situazione del centro di Molfetta, perché, come disse don Tonino nel suo discorso «Portare a conoscenza della nostra comunità diocesana un fatto carico di speranza, come quello costituito dal Centro d’Accoglienza della Caritas, può rappresentare un incoraggiamento per tutti, penso quindi che sia perdonabile, almeno una volta tanto, quel tasso eccedente di esibizione…». Esibizione che serve oggi a evidenziare il problema più grande che la Caritas sta avendo: la mancanza di volontari, punto chiave dell’intero progetto, che sono anzitutto, “l’occhio che abilita la comunità ecclesiale a vedere” e quindi consulenti per tutti gli uffici cittadini che diano una fattiva collaborazione al Centro di ascolto di Molfetta, ma anche interlocutori per l’individuazione e l’analisi dei bisogni del territorio. Il volontariato è presenza culturale, morale e politica all’interno del territorio: è culturale perché il cambiamento di mentalità privilegia la solidarietà come relazione tra uomini, è morale perché elimina la connessione tra volontariato e privato proponendo il disagio del singolo all’attenzione di tutti, è politico perché si confronta con gli organi politico-amministrativi. La mancanza di volontari è accompagnata da altre difficoltà come la mancanza della forza di volontà di rinunciare all’alcool; quest’ultimo impedisce ai responsabili del Centro di aiutare chi ne ha bisogno e si nasconde dietro esso la mancanza di lavoro, o ancora la mancanza di volontà da parte di alcune persone di migliorare la propria condizione. È di queste problematiche che il responsabile della Casa d’accoglienza “don Tonino Bello”, Mimmo Pisani, ha accettato di parlare con Quindici, insieme a tre dei volontari, Michele Manganelli, Nicolas Spagnoletti e Michele Catuogno, che oggigiorno lo aiutano a dare ai bisognosi, un letto dove dormire, dei vestiti puliti, un pasto caldo e tutto ciò di cui potrebbero aver bisogno. Quanti sono i poveri a Molfetta? «Secondo un conteggio parziale effettuato per l’anno 2018 i poveri a Molfetta si aggirano sui 170. Si registra un calo rispetto allo scorso anno, in cui complessivamente ne sono stati contati ben 314. È stato il 2017, infatti, l’anno in cui è stato raggiunto il picco, almeno a partire dal 2011, in cui ne sono stati contati 52, aumentati a 113 nel 2012, a 160 nel 2013, a 184 nel 2014, a 222 nel 2015 e a 301 nel 2016». Sono tutti italiani o ci sono stranieri (e quanti) tra coloro che assistete? «Tra la gente che assistiamo ci sono anche stranieri, sempre in aumento. Da essere 25 nel 2011, nel 2012 sono diventati 60, nel 2013 ne sono stati contati 89, nel 2014 invece 118. Nel 2015 un ulteriore aumento, 158, che non si è arrestato nel 2016 e nel 2017 in cui ne sono stati registrati, rispettivamente, 215 e 241. Per il 2018 se ne contano 110». Il numero complessivo di italiani e stranieri è aumentato rispetto a dicembre 2017? «Il numero degli italiani da dicembre 2017 è diminuito, ma di poco, dato che da 73 si è passati a 60». Dove trovate i fondi? «I principali fondi cui attinge la Caritas provengono dalla Diocesi, che ci dà un enorme contributo, ma anche dalle offerte della gente». I molfettesi sono generosi? «Sì, ma talvolta vanno spronati affinché possano compiere buone azioni. Secondo credenze popolari la Caritas è solo il posto in cui lasciare i propri vestiti vecchi, ma non ha alcun senso portare in inverno vestiti estivi solo perché bisogna liberarsene. Arrivata la stagione fredda tutti hanno il diritto di coprirsi: bisogna dare ai poveri quello di cui hanno bisogno, non quello di cui ci si vuole sbarazzare. Ma posso garantire che, una volta conosciuta la realtà della Caritas, gli abitanti la seguono con continuità ». Che tipo di poveri sono (gente che ha perduto il lavoro, donne abbandonate dai mariti, ecc.)? «Il target del povero molfettese è un individuo sui 50 anni che ha perduto lavoro o che svolge un lavoro occasionale, privo quindi di stabilità economica, separato dal coniuge, dedito all’alcol. L’alcolismo rappresenta l’ostacolo più grande che si frappone tra i poveri e la solidarietà da parte delle associazioni, del Ministero di Grazia e di Giustizia, del Comune, dei Servizi Sociali. Molta gente che si rivolge a noi rifiuta di farsi aiutare, preferisce il nulla al poco e piuttosto che entrare in comunità rinunciando all’alcol e resta per strada». La povertà si è estesa alla classe media? «Purtroppo sì, a causa della mancanza di lavoro e di accompagnamento a fuoruscire dalle situazioni difficili». Quanti sono gli operatori volontari? È difficile trovarne e come vengono reclutati? «Purtroppo i volontari che si affacciano alla Caritas sono molto pochi e siamo costretti a ricorrere a figure professionali per ricoprire tutti i turni necessari. Don Tonino ci ha insegnato che le associazioni come questa si reggono sulle forze dei volontari, di coloro che hanno occhi per “vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”. Ci sarebbe bisogno di persone che si dedichino completamente al servizio dei poveri, sono necessarie presenze assidue, ma chiedere questo a studenti, per esempio, è impossibile. Pertanto chi ha voglia di aiutare, fa tutto ciò che rientra nelle sue possibilità, che è sicuramente meglio di non fare nulla». Cosa ne pensa del decreto del governo che penalizza le associazioni di volontariato? «Io credo che sia una grave mancanza di attenzione nei confronti della società. Nei giorni festivi, in cui le attività cessano, il volontariato continua ad operare. Certo, forse non fa tutto quello che si potrebbe fare, ma interviene per quanto le risorse lo consentono. Il mondo non può aspettare i lunghi tempi della burocrazia, diversi da quelli del volontariato. Il tempo del volontariato è l’attimo, l’immediatezza, il gesto ed esso va incentivato proprio per la sua carica di gratuità e disponibilità che lo contraddistingue in una società egoistica come la nostra, in cui ognuno pensa esclusivamente alla coltivazione del proprio orticello. È proprio questa concezione sbagliata a far perdere al volontariato la sua importanza: don Tonino diceva che “ogni persona è Basilica Maggiore e Tabernacolo del Signore” perché “gli uomini sono angeli con un’ala soltanto”. Per trovare un’altra ala non può essere frenato il volontariato, a cui sarebbe bello che i giovani si affacciassero. Fa male vedere nella gente che ti circonda, un generale disinteresse: da quando si è diffusa la rete si ha l’illusione di essere connessi con il mondo e di conoscerne i problemi, ma si è collegati solo con l’irreale. Lo stile di vita della nostra società va cambiato per poter riscoprire il vero valore del sostegno verso il prossimo: aiutare qualcuno significa dire all’altro “tu vali” e dimostrarglielo». C’è un’esperienza che ha lasciato particolarmente il segno nella sua vita? «Ricordo con particolare affetto un giovane che aveva il vizio di fare uso di stupefacenti. Per risparmiare acquistò della droga da una città limitrofa e cadde subito in coma. Un coma da cui purtroppo non si è più risvegliato. Mi fa molto male ricordarlo, ma io provo ad aiutare tutti. Qui alla Caritas io cerco di porre un freno alle loro cattive abitudini, cerco di far assaporare loro una vita diversa, migliore, ma purtroppo molti non capiscono che è necessario cambiare la propria vita per salvarsi e si servono dell’associazione solo come luogo in cui poter trovare di che mangiare e di che vestirsi. Io non negherei mai questo ed altro, ma vorrei che loro, e tanti altri, capissero che aiutare qualcuno non vuol dire concedergli tutto ciò che vuole. Mi riferisco anche a coloro che piuttosto che assumere un individuo in cerca di lavoro lo sfruttano: ma aiutare è altra cosa. È stipulare un accordo e portare rispetto per l’altra persona». Alla domanda “Cosa ne pensa del decreto del governo che penalizza le associazioni di volontariato?”, Michele Catuogno risponde: «È un decreto positivo se pensiamo alle associazioni che utilizzano i fondi per lucro, ma non è giusto per le associazioni, come la Caritas, che aiutano davvero le persone povere». Durante il volontariato, purtroppo, si ha la “sfortuna” di assistere a episodi che in qualche modo segnano in maniera particolare e che si è sicuri non si dimenticheranno. «Durante l’emergenza Nord Africa, nel 2010- 2011 – ci racconta Michele Manganelli – ho assistito all’arrivo di migranti con addosso degli stracci sporchi e strappati e con solo una bottiglia d’acqua a testa. Sono stati portati nei centri in fila indiana come se fossero dei criminali, erano disorientati e spaventati, siamo riusciti con calma e pazienza a spiegare loro dove si trovassero, non credo che dimenticherò mai quel giorno». «Noi volontari della Caritas siamo consapevoli che la realtà all’interno dei centri sia ardua e che a volte ci si possa trovare in difficoltà, per questo ci interroghiamo spesso su come la situazione possa essere migliorata in qualche modo – spiega Nicolas Spagnoletti –. Mi ritrovo spesso a pensare che un modo “semplice” per aiutare i centri ci sia: mi piacerebbe che la realtà cattolica si svegliasse poiché, essendoci molte parrocchie a Molfetta, se solo ogni parrocchia mandasse anche solo due volontari, riusciremmo a risolvere tutti i problemi che abbiamo e soprattutto a ridare un significato a quei valori che don Tonino Bello ci ha insegnato: la carità e il volontariato». © Riproduzione riservata