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La “fluida linea d’ombra” di Gaetano Fracassio La Mostra alla Galleria 54arte contemporanea
15 dicembre 2017

C’ è qualcosa di incredibilmente statico nel vagabondaggio di Fracassio, un collezionismo di spoglie che diventano mappa per orientarsi o fermarsi in qualsiasi parte del mondo. Le parole della dott.ssa Lara Carbonara colgono nel segno, nell’esprimere l’essenza del bell’allestimento Fluida linea d’ombra di Gaetano Fracassio, realizzato presso 54Arte Contemporanea, sotto l’egida di Franco Valente e di Michele Vitulano. L’artista, autodidatta che concepisce “l’arte come esigenza psicofisica di sopravvivenza”, si muove “tra pittura, scultura, fotografia e sistemi audiovisivi” e vanta al suo attivo numerose personali, a partire da quella presso la milanese Galleria Il Cannocchiale (1991), sino a pervenire alla recente Fracassiopoli, realizzata nell’annata corrente presso il Torrione Angioino di Bitonto. Leitmotiv di Fluida linea d’ombra appare il viaggio, che tuttavia non deve essere necessariamente inteso come significativo spostamento fisico, ma implica più che altro l’inesausta ricerca di un intimo rifugio ed è spesso declinato attraverso l’esplorazione di luoghi apparentemente quotidiani e familiari, in realtà sconosciuti. Colpisce la tendenza ad avvalersi di materiali poveri, come nel caso delle valigie sculture e dei beauty case della “serie frontiere”, realizzati “con pigmenti puri, stoffa e corda su materiale vegetale”, sospesi, quasi a significare il nostro perenne oscillare tra partenze (fossero anche semplici evasioni fantastiche) e ritorni, che non di rado ci inducono a congetturare di non esserci in realtà spostati di un millimetro. Non mancano esempi di “fusione in bronzo a cera persa”, con il motivo della casa sospesa in cima a una scala in Arrivo, emblema di un equilibrio precario, ma anche di una costante tensione ascensionale, che emerge nitidamente in un’altra dimora-scultura, Intimo rifugio. Quest’ultima, apparentemente più dimessa, ci sembra rivelatrice della poetica di Fracassio. Costante è la presenza dell’elemento dell’ombra; interessante sarebbe stabilire confronti con la shadow art di Mario Martinelli o gli esperimenti di Kumi Yamashita. Un elemento che senz’altro differenzia l’opera di Fracassio può ravvisarsi nel fatto che, negli artisti precedentemente citati, l’ombra assurga a strumento di intima rivelazione dell’uomo, mentre, nel caso del Nostro, essa tende a focalizzare oggetti. La presenza umana è, infatti, apparentemente inesistente; in realtà essa è viva nello sguardo che si volge agli oggetti e li trasfigura, come se l’umbratile battuta di silenzio determinasse un felicissimo effetto di straniamento. Proprio l’artificio teorizzato da Sklovskij ci sembra rappresentare la chiave di lettura più adeguata per accostarsi all’allestimento. La ricerca di uno sguardo vergine, che operi sulle cose non per riconoscimento, ma per visione, contribuisce a riscoprire il significato di ogni elemento degli ambienti abitati dall’uomo, dal chiodo conficcato nel muro ai motivi floreali, allusivi al liberty e rivelatori di quella bellezza che, proprio perché non esibita, ma dissimulata nell’apparenza dimessa del nostro microcosmo quotidiano, si colora di una purezza nuova. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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