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“Il tempo della carestia”, ultimo libro di Gianni Antonio Palumbo Poesia dei contrasti, delle dicotomie, delle antitesi
11 marzo 2024

MOLFETTA - Nel rileggere l’incipit (“Cantico del controsamaritano”) mi vien da pensare al dipinto di Piermario Dorigatti “Via dall’inferno” (ideato nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina) che è anche un esplicito riferimento alla Shoah; è un’opera che per Dorigatti ha il preciso significato di “testimoniare l’abisso”. Il fatto poi che il quadro sia stato conservato accanto al letto dell’autore dopo l’attacco di Hamas, come risulta dal suo privato, “è come se Dorigatti abbia voluto, in quanto artista dalla potente espressività pittorica e sensibilità civile, pensare alla sua opera come intima memoria attiva, un privato monito contro le atrocità della storia. Quella del passato e quella del presente. Per non dimenticare e combattere l’indifferenza” (Corriere della Sera, 21 gennaio 2024, La lettura).

Niente a che vedere però con l’immagine classicheggiante della copertina della silloge, dove sacro e profano, umile e sublime sono accanto e convivono, in un mondo che appare “un lontano specchio stonato” (Distonia).

 Antico e nuovo. Classicità e modernità. Storia passata e storia contemporanea, Secolo breve e XXI secolo, attualità. Un puzzle che riserva continuamente sorprese con una sedimentazione di base di culture che ti lasciano senza fiato.

Nei versi di Gianni Palumbo è soprattutto l’uomo della strada il protagonista (in realtà tutti noi, complici inconsapevoli di ciò che è stato ed attori di ciò che sta accadendo), accanto ai “grandi” artefici della storia.  Episodi emblematici, legati a personaggi famosi e non (vedi il Cantico del controsamaritano) in una convivenza temporale che allarga gli orizzonti di chi si avventura in questo percorso di vita e di cultura, una cultura che per il Nostro è pane quotidiano.

Echi danteschi, petrarcheschi, foscoliani, eliotiani, biblici e non solo. E tutto giànella autoaprentesi apertura dove non mancano la quotidianità, le piccole grandi storie legate al passato antico, a quello recente, al presente. Qui tutto appare immediato e sincronico con tutte le sue emergenze (v. Martirio di un San Sebastiano, Vi ho viste, Sul ciglio della strada etc.).

È una poesia esistenziale (Sul crinale della luce e Seguace del mare) o meglio un arazzo di poesie, alcune già edite e/o composte in diverse stagioni.

Occorre uno sguardo attento a cogliere e raccogliere l'essenza e il distillato di ogni singola parola. (Cancellare la parola).

È una lettura che induce continuamente alla ricerca, allo studio e alla riflessione. I riferimenti colti sgorgano, fioriscono, sbucano spontanei, sbalordiscono e travolgono il lettore. È certo, Gianni, che leggendoti, vien voglia di rileggerti e rileggerti e rileggerti ancora. Tanti i poeti e gli artisti a cui fai riferimento, non solo parlando di poesia, ma anche di altre “arti” come la musica, la pittura, il teatro, la danza, il cinema di cui sei esperto e sempre aggiornato. Cultura e vita, vita e cultura in una indissolubile fusione che è naturale per te. Due orizzonti che si incontrano e coesistono.

Antico e moderno in una armonia di diversi.

Varietà di registri e di linguaggi, dall’aulico al comico al borghese, così come di atmosfere. Emerge l’impostazione teatrale dei poemetti “in apertura e chiusura” tra teatro antico, cantico, laude e modernità in un interrogarsi incessante, quasi si trattasse di una sorta di presa di coscienza dei misfatti della storia in un crescendo che a tratti si stempera in oasi di dolcezza, di tenerezza e di nostalgia. Tutto è condito da un filo di malinconia che attenua i momenti più duri e difficili. Secolo breve e XXI secolo affratellati dall’homo homini lupus.

La natura (il vento, il mare, la pioggia, i faggi, le stelle etc.) partecipa, spettatrice a tratti impotente, accanto all’IO del poeta che finisce per diventare un NOI.

La tecnica, la padronanza e la musicalità del verso sono innegabili (v. in particolare i Congedi, p.11 e 135).

Poetiche scorribande, quelle di Gianni che si autodefinisce “l’Astolfo matto a zonzo sulla luna” (da Variazioni di Selene).

Poesie vecchie e nuove. La terza sezione “Non alla luna non al vento di marzo” contiene poesie tratte da una silloge del 2006.

Dolcezza e tenerezza soffuse ovunque sopportano e supportano le brutture e gli inciampi dell’esistere.

In questo procedere nella lettura tra pianori e asperità, tra alti e bassi, non sai se ti incantano più la forma o i contenuti. Alla base, le emergenze quotidiane che riguardano in toto l’essere umano perché è questo il filo sottile, tenace che lega e mantiene il tutto. Tanti gli errori, tante le omissioni, tanti i silenzi, tanti i nodi irrisolti e, anche quando la speranza pare cedere il passo, si intravedono spiragli di luce nonostante l’oscurità (Alla notte, Cantico della sposa triste, Ho sognato ancora quella casa, L’abisso).

Libro affascinante, multiforme, direi πολ?τροπος, che si può affrontare utilizzando diversi piani di lettura.

La sezione familiares, in quel continuo alludere e in quel dire non dicendo, cattura. Penso ai versi dedicati agli alunni e agli affetti più cari. I canti spirituali si prestano come occasione di dibattito anche tra i non credenti.

È l’umanità con tutte le sue fragilità e sfaccettature che campeggia (“L'attesa”).

I colti riferimenti, l’attualità, la cronaca spicciola, l’attenzione agli ultimi e la spiritualità fanno parte dello stesso orizzonte in cui si miscelano naturalmente sacro e profano, cielo e terra e tutto, alla fine, riesce, se non proprio a conciliarsi, a contemperarsi, a trovare un suo posto e a convivere in una specie di vicinanza se pur distonica.

Piedi a terra e sguardo al cielo (p. 108, 109, 110, 106), per cogliere ciò che di buono, nonostante tutto, rimane (v. “Francesco, è giunto il tempo”, da cui è tratto il titolo della silloge).

I continui richiami alle Maddalene e alla Divinità nella sezione canti spirituali, si prestano a confronti e dibattiti in seno alla Chiesa, in quanto toccano importanti dogmi della fede.

Il poeta, mettendosi continuamente in discussione, come il grande Aretino nel Secretum, coinvolge, affratella (La grazia della vergogna, p.114, Incertezza, p. 101) e cerca di scuotere dal torpore l’uomo comune e non solo.

Dettagli, particolari si scoprono leggendo e rileggendo, andando avanti fino a riconoscersi in ciò che ogni singola parola suggerisce.

È un canto ricco di sfumature e di asperità, policromo e con spiragli di luce.

È un canto di denuncia e di presa di coscienza, a volte cruda, senza che mai venga meno, nella maggior parte dei casi, quella dolcezza di fondo che, insieme ad una sorta di nostalgia e malinconia, sfocia in una tenerezza e in una grazia (evidente già nella immagine di copertina) che non hanno confini. Un equilibrio tra diversi che prende e sorprende il cuore.

Il poemetto L’asfalto e la grazia chiude la silloge ed è ricco di liricità.  Il quesito iniziale, le situazioni che si succedono, il ritornello “Rosa semper rosa est, etiamsi in stercore dormiat” lo testimoniano.

“È scesa la notte /col suo argento di stracci. / E noi abbiamo/ bevuto la luce/dai sussurri d’un ramo/sperduto al vento e alle rose”.

Giulia Notarangelo

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