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Visitare un bene culturale e scoprire la cultura come luogo del mistero
15 maggio 2016

È cosa nota che l’Italia conservi tra il 60 e l’80% del patrimonio artistico mondiale, molta parte del quale rimane non fruibile a causa dei pochi fondi assegnati alla cultura, motivo per il quale opere di inestimabile valore giacciono in soffitte o scantinati di musei nazionali. La riorganizzazione del Ministero dei Beni artistici e culturali nasce dalla necessità, dettata dalla spending review, di rendere meno farraginosa e più elastica la struttura di un ministero che, considerato il patrimonio artistico da gestire, dovrebbe essere di vitale importanza per il Paese, risorsa che costituisce, senza tema di smentita, il “petrolio”, la ricchezza, la risorsa, il futuro per molti giovani. Dovrebbe. Se ne è parlato alla sede della Università della Terza Età nell’ambito di un incontro dal tema “Visitare un bene culturale e scoprire la cultura come luogo del mistero”. L’architetto molfettese Rosa Mezzina, funzionario del Ministero dei Beni culturali, attuale Direttore del Polo Museale della Puglia che comprende numerosi siti tra cui i Castelli federiciani di Bari e Trani, ha illustrato i punti focali di una riforma che intende adottare la valorizzazione del bene artistico-culturale, intendendo per valorizzazione una serie di buone pratiche che rendono il bene non solo fruibile al pubblico ma “capace di produrre” posti di lavoro. Nel corso degli anni, ha dichiarato l’architetto Mezzina, si è assistito ad una vera e propria rivoluzione nell’ambito dei Beni culturali. Il bene infatti, se non nella disponibilità del Demanio, veniva acquisito dal privato proprietario ed entrava a far parte del patrimonio artistico pubblico inalienabile, ne veniva nominato un custode, il quale vigilava sul bene, assicurandosi che non fosse preda di atti vandalici o furti. Il bene veniva “messo sotto chiave”, non era fruibile, era un peso per lo Stato il quale non si occupava della sua manutenzione almeno fino a quando non arrivava il pericolo di crollo. Negli anni si è acquisita la consapevolezza dell’incommensurabile valore del nostro patrimonio artistico, potenziale fonte di ricchezza, non solo culturale, per tutti. L’architetto Mezzina ha preso ad esempio la ristrutturazione di Villa Adriana a Tivoli, un progetto da lei seguito come funzionario direttore del sito nel corso di dieci anni, un progetto che ha reso Villa Adriana, già sito dichiarato patrimonio dell’Unesco, maggiormente fruibile. La villa voluta dall’imperatore Adriano si estende per 120 ettari e comprende numerosi edifici e strutture che si sono aggiunti nel corso dei secoli alla villa romana, simbolo della potenza di un imperatore che portò Roma al suo massimo splendore. Derubata dei mosaici, dei marmi, solo nel XVIII il conte Fede acquisì quasi tutti i terreni ricadenti nell’estensione della villa e vi fece costruire altri edifici attualmente utilizzati come uffici e strutture di accoglienza turistica, oltre a mettere a dimora alberi come querce, pini, nella cui zona d’ombra la scrittrice Marguerite Yourcenar amava sostare e scrivere. L’architetto Mezzina ha sottolineato la necessità di una continua ricerca di tecniche di ristrutturazione e valorizzazione di beni che noi siano invasive ma rispettose della storia del bene medesimo. A tal proposito ha mostrato come per ristrutturazione delle piccole terme di Villa Adriana, le terme ad uso esclusivo dell’imperatore, si siano utilizzate tecniche innovative che non solo hanno consolidato strutture portanti ma hanno reso fruibili e godibili, attraverso passerelle mobili, le terme ai visitatori. La tecnologia 3D appare fondamentale nel caso in cui del bene rimane ben poco ed occorre ricostruire, almeno virtualmente, il bene per poterne capire la storia ed il valore. La riforma non è che solo l’inizio, una ri-partenza. Molto c’è da fare nell’ambito della valorizzazione dei beni e forse non basteranno lunghi anni per arginare il degrado nel quale sono stati relegati per decenni e, come Rosa Mezzina ha dimostrato, un ruolo determinante è la passione con la quale si fa il proprio lavoro.

Autore: Beatrice Trogu
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