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Viaggio a Parigi - IV
15 giugno 2012

Il giorno seguente non avendo un accesso riservato facemmo una fila di due ore per entrare alla Gare d’Orsay; all’interno una immensa folla di gente, di studiosi, di giovani, di artisti, lo spazio dei libri e dei cataloghi e molti bar ristoranti. Credo che mi colpirono gli Impressionisti e il movimento del Puntillisme, ma l’occhio fugace del turista non sempre riesce a recepire l’intensità delle vite e dei colori espressi in quelle tele. Diventa come un passeggiata nel mercatino dietro la Basilica del Sacre Coeur di Montmartre,dopo aver fatto quelle estenuanti scale per vedere se le gambe ti reggono ancora. Il Louvre è la tappa obbligata per chi visita Parigi per la prima volta, ma bisognerebbe starci un mese e condurre un’analisi documentata per ogni singola sala. Tentai di individuare le sale della corsa dei tre protagonisti di Dreamers e su una panchina trovai una sciarpa che forse era stata lasciata da uno dei tre. Altri richiami, altri ricordi, i seminari tenuti nel decennio passato con la visione di quel film, quando ancora qualche studente tentava l’avventura del dottorato, per la passione della ricerca e del sapere. Quelli di oggi, gli studenti di oggi non hanno nemmeno quella speranza come Angelo e Tommaso che ormai si sono rassegnati e gestiscono un bar dalle parti della Tour Eiffel e ci invitarono a mangiare una pizza. Angelo è partito dall’Italia, da Giovinazzo, tanti anni fa e dopo tre anni in Scozia è approdato a Parigi, Tommaso veniva dalla Calabria e dopo quattro anni di Geologia e un corso al Dams di Bologna si era insediato a Parigi per poter suonare, per realizzare il suo sogno. Gli chiesi se aveva seguito qualche lezione di Eco, ma mi disse che volava basso e non voleva parlarne. L’ultimo giorno dell’anno lo trascorremmo nello studio con una cena elegante a base di ostriche, salmone e champagne per festeggiare il definitivo insediamento a Parigi di Manuela. Per le strade le solite cose banali che avvengono l’ultimo giorno dell’anno, urla, persone ubriache, una giovane di colore si stese per terra all’entrata del metrò che rimane aperto fino alle tre di notte. Alle Thuilleries si concentra una buona parte del popolo di Parigi che si riversa nei mercatini allestiti prima dell’inizio del viale. La televisione trasmetteva contorsionisti e trapezisti alla presenza di vip che mostravano un look all’altezza della situazione. Il giorno dopo fummo di nuovo invitati alla casa albergo di Manuela e durante il pranzo assistemmo all’esibizione di una cantante che riprendeva i più famosi motivi di Juliette Greco. Un uomo un destino si chiamava la trasmissione sulla vita, gli amori e il cinema di Yves Montand del primo gennaio, ma io lo mettevo in relazione al fatto che in un certo periodo della sua vita aveva avuto ambizioni presidenziali e Louis Althusser era entrato in crisi per questo fatto e si era messo in analisi con Lacan per evitare il ricovero e la tragedia finale. Sui palazzi di Parigi domina l’immagine di Alain Delon che fa la pubblicità alle lenti da vista, in una intervista aveva dichiarato che una delle più belle dimensioni del vivere è l’amore, l’amore per una donna e le donne più belle sono quelle che non ha mai avuto, anche se questa idea del possesso deve essere scalfita, rivista. Non si tratta di oggetti che puoi prendere o lasciare, ma di un rapporto intenso, reciproco, intenso perché reciproco e quelli come Berlusconi non hanno capito mai niente né delle donne, né dell’amore. Manuela mi disse che non ero andato a Parigi solo per fare il turista e che il giorno dopo avrei dovuto aiutarla nell’allestimento della sua nuova casa, uno studio di venti metri quadrati dove metti tutto, canapé lit, tavolino per il computer, angolo cottura, sala da bagno, angolo doccia e c’era anche un cortile da poeti maledetti in via di ristrutturazione con fondi pubblici. Costo totale a Montmartre, rue Riquet 62, centoventimila euro, se lo prendi à les Champs Elysées il costo sale a duecentocinquantamila euro. Prendemmo un auto monovolume della casa albergo e con uno strumento elettronico che chiamavo Pass Navigò ci avventurammo per le strade di Massy Palaiseau, Massy Palazzo d’acqua. Dopo aver caricato due biciclette, lavatrice, frigo e indumenti vari, prendemmo la superstrada nella direzione di Parigi per raggiungere la tangenziale a otto corsie, quattro in una direzione e quattro nell’altra. Scendendo sulla città si vede sullo sfondo il nuovo quartiere della Defense e la Tour Eiffel. Attento hai superato l’uscita per Porte de la Chapelle. Benetta Porte de la Chapelle! Torniamo indietro Porte de la Chapelle e finalmente Rue Riquet, ma prima dobbiamo passare dall’atelier perché nello studio le biciclette non ci stanno e là nell’atelier bisogna creare lo spazio per i mattoni che sono avanzati e bisogna custodirli. L’atelier è una delle cose più belle che ho visto durante il viaggio. I ragazzi hanno preso un garage e lo hanno allestito come spazio creativo; c’è l’angolo dei pittori, l’angolo dei saldatori- scultori o scultori-saldatori, il teatrino delle performances, l’angolo per la televisione e il bar, la sala per i corsi di danza, tango e flamenco, un piano superiore per qualche conferenza. Quella sera dopo la lezione, i ballerini si esibirono in passi di tango. Le bal, sì Ballando ballando di Ettore Scola, anche quello devo dire a Massimiliano di scaricare da Internet. Le bal è la storia del Novecento raccontata attraverso il ballo e quella sera c’erano tutti, il tipo smunto alto un metro e novanta che ballava con una donna che era alta la sua metà, il banchiere che per fare l’alternativo va a ballare con la moglie curatissima in un posto simil banlieu, la donna che per sfuggire dalla propria solitudine cerca di trovare a lezione di ballo un amico, l’argentino con il codino e la sua donna con l’abito attillato rosso che faceva vedere tutte le forme e altro quando lanciava la gamba che magistralmente si intrecciava a quella del compagno. Mi servirono un bicchiere di vino e una cosa come una frittella sudamericana. All’esterno i ragazzi arrostivano salsicce e cucinavano lenticchie; ricordo che quell’anno a Parigi era caldo, sui dieci gradi in pieno inverno e i genitori portavano i bambini a vedere il ballo anche alle dieci di sera. Nel bel mezzo della serata vi fu la performance di un’attrice spagnola accompagnata dalla chitarra classica; interpretava varie figure femminili, la sguattera, la chantosa, la donna col frac e il richiamo forte questa volta era all’indimenticabile Bertold Brecht. Il giorno dopo andammo alla Cité universitaire, volevo rivedere i luoghi dei miei soggiorni precedenti: nell’ottantaquattro quando volevo fare l’epistemologo e sfogliai tutta la Revue de Metaphysique et de Morale e nel novanta con una borsa di studio della N.A.T.O., quando incontrai Derrida e Negri e cominciai ad occuparmi del decostruzionismo. La Cité è una bella struttura con un centinaio di case alloggio e giovani di tutto il mondo. Avevano ristrutturato anche la Maison d’Italie dove con ottocento euro al mese ti danno una stanza decente che penso di utilizzare negli anni che verranno. La domenica visitammo il Castello di Vincenne, residenza di caccia di Carlo V e il giorno dopo la magnifica reggia di Versailles che è il posto dove vorrei vivere, non nella reggia, ma vicino per poter passeggiare nel parco ogni giorno. Quello chalet immerso nel verde dove puoi fermarti a prendere il caffè, il ristorante la Piccola Venezia, ragazzi e turisti che percorrono i viali e mi dicono che in estate danno anche degli spettacoli. Ultimo giorno a Parigi, leggo l’editoriale di Le Monde del 9 gennaio 2012. La sete di cultura dei francesi Devi ricrederti Cassandra della sentenza proferita sulla morte della cultura in Francia in presenza della invadente tecnologia. L’alba di questo 2012 sta portando una nuova novella che da calore al cuore: i francesi non hanno mai come ora espresso tanta voglia di cultura, di arte, di spettacoli, di cinema. Le sale cinematografiche hanno registrato l’aumento di spettatori nell’ordine del 4,2% rispetto all’anno precedente, dal Louvre sono passate 9 milioni di persone, 7 milioni da Versailles, 4 milioni dal Centre Pompidou, 3 milioni dalla Gare d’Orsay. Questi numeri indicano una tendenza più profonda di cui filosofi, sociologi ed intellettuali devono tenere conto. Il rapporto sulle tendenze culturali ed artistiche dei francesi ci dice qualcosa: usciamo di casa di più, ascoltiamo più musica, leggiamo di più, seguiamo più concerti, andiamo più spesso a cinema. Oggi tre francesi su dieci svolgono un’attività artistica contro l’1,5% nel 1970; il 60% in più suona uno strumento, il 100% in più scrive, dipinge, fa teatro, il 300% in più segue corsi di danza. Qualcuno può obiettare che l’accesso alla cultura resta sostanzialmente ineguale, che sono le grandi macchine organizzative che producono le cifre precedenti. Rimane il fatto che nell’era di Internet la situazione sembra rassicurante: non si sta producendo quell’offuscamento delle menti annunciato da molti. In un formidabile movimento di oscillazione, la nostra civiltà, che produce sempre più solitudini, genera nello stesso tempo, il suo antidoto: i francesi si rivelano amanti dei grandi eventi culturali, di avvenimenti che unificano, del teatro, dei concerti rock, delle sale in cui lo schermo è meno importante della partecipazione collettiva, del ‘qui e ora’, del c’ero anch’io, dell’emozione condivisa. Bisogna rileggere Walter Benjamin? Bisogna cercare ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, opera angolare pubblicata dal filosofo nel 1936, le risposte a quello che sta avvenendo? La smaterializzazione degli oggetti di pensiero produce una profondità di senso che ci restituisce un paesaggio che siamo lieti di contemplare. Dieci ragazzi con gli archi eseguivano musiche di Vivaldi in una delle stazioni del metro, erano di tutte le razze ed erano uniti dalla musica, da una delle più belle espressioni della nostra vita. Sono tornato ad Avalon, ma i miei pensieri vanno, sono rimasti a Massy Palaiseau, a Rue Riquet, a Porte de la Chapelle, a Silvie che in un bar del Quartiere latino si interroga sul senso dell’esistenza, sulla finitudine umana. Tutto sommato la mia vita si svolge intorno ad alcune dee, sei muse che possono essere l’arte, la poesia, la bellezza del mondo, ma preferisco pensare che sono le donne del mare.

Autore: Marino Centrone
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