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Via D'Amelio, la mafia, gli italiani: 18 anni dopo è una Italia maggiorenne?
19 luglio 2010

MOLFETTA - Nei primissimi anni ’90 era ancora possibile sentire una frase, idiota se ingenua, ignobile se faziosa, per le strade di Palermo e della Sicilia, leggerla sui giornali, cosa molto più grave, sentirla dire persino da alcuni politici: “la mafia non esiste”.
Era una frase che rappresentava la colonna stessa su cui si basava il potere mafioso: l’omertà, la negazione di esso, il ridurre l’opposizione alla malavita organizzata una fantasia di fanatici.

Quando, il 23 maggio del 1992, le auto di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo, e dei ragazzi della sua scorta, furono fatte saltare in aria con il tritolo sulla autostrada che collegava Capaci all’aeroporto di Palermo, Punta Raisi, e quando il 19 luglio, esattamente 18 anni fa, lo stesso tritolo uccise Paolo Borsellino (foto) mentre era al citofono con sua madre, fu chiaro che non era così.
La mafia esisteva, e aveva deciso di colpire come mai aveva fatto prima, lanciando la sua sfida allo Stato in maniera plateale. Cosa Nostra non solo esisteva, ma non si nascondeva più, veniva allo scoperto, si mostrava più forte di sempre. Voleva affermare, facendo letteralmente a pezzi i giudici Falcone e Borsellino, che il loro lavoro e la loro vita, fatta di notti senza sonno, di ansie, di atti quotidiani sotto protezione, era stato inutile. E, in questo caso, Cosa Nostra commise un errore decisivo: nulla, di ciò che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano fatto, sarebbe stato inutile. Il loro lavoro e la loro storia umana avrebbero per quasi vent’anni ispirato le coscienze dei cittadini e la parte migliore della politica italiana, da quel momento in poi decisa nella lotta alla mafia.

Cosa Nostra sperava che gli attentati di Capaci e di Via d’Amelio fossero l’inizio del suo grande potere sull’Italia, fu invece l’inizio di una strenua opposizione, della ribellione del Paese e delle sue istituzioni alla mafia, che negli anni ha ricevuto colpi durissimi: tirarono fuori, finalmente, tutta la rabbia dell’Italia.
 

Di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di quell’esempio e di quel coraggio, è rimasto più di qualcosa. E’ rimasto se oggi c’è la consapevolezza che la mafia esiste, è un problema italiano, da affrontare alle radici, nel nostro vivere quotidiano, nella nostra maturità di cittadini. E’ rimasto se un neolaureato campano, a 25 anni, decide di trovare il coraggio, a costo di sconvolgere la sua vita, da quel momento in poi blindata e sotto protezione, per raccontare le dinamiche della camorra e del clan dei Casalesi, in “Gomorra”. E’ rimasto se oggi, all’arresto dei boss mafiosi, quando vengono accompagnati fuori dai commissariati, manette alle mani e giornale in faccia, non ci sono più applausi e incoraggiamenti ma fischi e insulti. E’ rimasto oggi se, anche a Molfetta, il presidente della locale associazione Antiracket riceve per busta un proiettile, ma decide di andare avanti per la sua strada e proseguire il suo lavoro.
Ma la consapevolezza del fenomeno mafioso, e la lotta quotidiana ad esso, restano impossibili, se cristallizzati sulla punta di diamante, sull’eroismo di due eroi (ecco, forse un po’ più eroi di Carlo Giuliani, signor Governatore...) di cui rimane una statua, su esempi volati per aria con il tritolo ma fini a se stessi se non si traducono nell’agire morale della Nazione, delle sue istituzioni e della sua popolazione, soprattutto. Da noi: perché le parole di Falcone, «la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine» non restino l’ipotesi ottimistica di un grande uomo di Giustizia, ma diventino la profezia che restituisca davvero questo Paese alla sua memoria, quella di essere il più bello al mondo, serve l’ impegno di uomini, la dignità, la testa alta. Il nostro sentire, vedere e parlare: chi non ha paura muore una volta sola, chi ha paura muore ogni giorno, diceva Paolo Borsellino.

Da via d’Amelio, oggi, sono passati esattamente diciotto anni.
C’è una domanda a cui rispondere con il vivere pratico, quando i fiori freschi di oggi, posti sotto le targhe e le statue, saranno seccati. La vera domanda su cui interrogarsi, ogni giorno, come cittadini e con i piccoli gesti e con le piccole prese di coscienza come individui, è se bastano le fiction, se sui temi della mafia, dell’omertà, della connivenza, dell’accettare con rassegnazione il malcostume diffuso, o, a costo di pagarne il prezzo, ribellarsi e sentirsi liberi, diciotto anni dopo l’Italia e gli italiani siano finalmente diventati maggiorenni. Oppure no. 

 © Riproduzione riservata

Autore: Vincenzo Azzollini
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"Una delle cause dell'attuale virulenza della mafia risiede proprio nella scarsa attenzione complessiva dello Stato nei confronti di questa secolare realtà" (G.Falcone). L'Italia è un Paese che non ha dimenticato le contrapposizioni ideologiche, le "appartenenze separate" che ne hanno pregiudicato il sentimento della cittadinanza, la condivisione delle regole del gioco democratico, e quindi "l'appartenenza comune". Con emotività collettiva, passione, apprensione, anche con furore abbiamo affrontato le nostre tragedie e dietro ognio tragedia ci è sembrato di scorgere altre presenze: ombre che ancora impediscono la reciproca fiducia. Scoprimmo ufficiali delle forze armate, spioni, imprenditori, padroni dell'economia di stato, politici di destra, di centro, centro - sinistra, in un circuito che connetteva banchieri, mafia, finanza vaticana, gli apparati dello Stato. E' in questo costante scambio tra visibilità e oscurità, tra pubblico e segreto che si possono afferrare gli intrecci italiani tra politica e affari, tra lo Stato e il crimine organizzato. Nei momenti peggiori quando la fine sembrava a un passo, l'Italia ha sempre saputo ritrovare - contro il terrorismo, contro le mafie, contro la corruzione - le ragioni comuni della cittadinanza e, dentro lo stato e nell'interesse collettivo, si sono fatti avanti uomini che, mentre tutto sembrava perduto, hanno saputo interpretare - alcuni sacrificando la vita - "il senso dello Stato", Paolo Baffi, Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini, Vittorio Bachelet, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino....


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