Vagabondando tra i libri
Sentii parlare la prima volta di Aldo Capitini negli anni ‘50. Egli organizzava le “Le marce per la pace” ed in quegli anni di “guerra fredda” tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, era facile confondersi con i comunisti che raccoglievano per strada le “Firme per la pace”. Capitini, però non era uomo da sottomettersi a logiche di partito, in quanto seguiva prima di tutto la propria coscienza. Vista la generale crisi di valori dei nostri tempi. Mi piacerebbe che i giovani conoscessero questo pensatore che portò avanti la sua azione in una coraggiosa condizione di isolamento, fuori di ogni istituzione religiosa o politica. Farò riferimento ad una sua biografia del 1988, scritta da Giacomo Zanga, suo amico e collaboratore (Aldo Capitini, La sua vita il suo pensiero, edizione L’età dell’acquario, Bresci, Torino). Capitini nacque a Perugia il 1899. Suo padre era il custode della civica torre campanaria della sua città. Si sa che l’Umbria ha conservato, nei secoli, la profonda religiosità che fu degli etruschi. Una religiosità fondata sul culto dei morti, ma non per questo cupa o ossessiva, anzi ricca di equilibrio e serenità. Zanga nota che questo “animus” etrusco, fondendosi con la spiritualità cristiana, è riemerso nel Medioevo, come un fenomeno carsico, dando vita a figure eccezionali, come Jacopone da Todi, Francesco e Chiara di Assisi. Essendo un dominio pontificio, i papi vi soggiornarono spesso. Si ricorda tra i primi il papa Zaccaria, il quale andò, disarmato, a trovare il re longobardo Rachis, che assediava la città di Perugia e gli rivolse un discorso nonviolento: “Che fece a te questa città che abbatterai, questo popolo che cerchi a morte, questi innocenti che saranno depredati, vilipesi ed offesi? Ah! Ti muova pietà di questi infelici che non ti ingiuriarono, pietà della mia canizie che si prostra in preghiera davanti a te per amore dei miei figli, per amore di te che ancora come figlio io benedico”. Il sovrano longobardo, impressionato da queste parole, levò il campo, tolse le macchine da guerra ed in seguito rinunciò al trono e si fece monaco, terminando i suoi giorni a Montecassino. Nei secoli, per quanto riguarda i rapporti tra Perugia e la Chiesa, la città assorbì del cattolicesimo più il lato religioso che quello politico. Aldo (che nell’antico germanico significava “uomo libero”), abitò a lungo nella torre campanaria, dalle cui finestre poteva contemplare il dolce paesaggio umbro. La sua fede cattolica fu, durante l’infanzia, pura e spontanea, quasi per una naturale predisposizione alla vita religiosa. Negli anni successivi, il suo animo sensibile fu fortemente colpito dallo scoppio della prima guerra mondiale. Probabilmente si sarebbe dichiarato “obiettore di coscienza”, se fosse stato richiamato con i “ragazzi del `99” che si batterono sul Piave. Fu invece ritenuto inabile al servizio militare, a causa del fisico delicato e della grave debolezza della vista. Avviato agli studi tecnici, si dedicò successivamente all’apprendimento del latino e greco, con studio intensissimo di 12 ore al giorno; una specie di rigoroso, autonomo noviziato, che ebbe però conseguenze penose sulla salute. Tanto più perché volle imparare anche l’ebraico, per attingere alla grande spiritualità degli antichi profeti di Israele. Sentì, negli anni giovanili, il fascino del nazionalismo e del modernismo cattolico, vivamente presente nel seminario di Perugia. Ad alimentare la curiosità e la sete di sapere di un giovane, vi erano, allora, numerosi stimoli: l’ideale socialistico ereditato dal padre e le letture. I Vangeli, Leopardi, Manzoni, Ibsen, Boine, Slataper e altri suoi contemporanei, favorirono nella sua mente la crescita di due pensieri: l’importanza del dolore ed il limite della potenza. Egli comprese che le gracili condizioni di salute non erano in lui un disvalore; anzi lo arricchivano, in quanto gli permettevano di comprendere meglio le ragioni dei poveri, degli umili e dei sofferenti: era il tempo in cui gruppi di burbanzosi fascisti, celebratori dell’energia e della forza, incendiavano le Camere del lavoro e picchiavano a sangue o uccidevano gli oppositori. Scrisse in seguito che, in quel periodo, maturò il distacco da una civiltà che valuta positivamente soltanto chi fa, chi rende, chi è forte e attivo. Nel frattempo, conseguita a pieni voti la maturità classica, potè concorrere ad un posto presso la Scuola Normale di Pisa e vi si trasferì nel 1924. In quel periodo conobbe anche il pensiero del giovane antifascista Piero Godetti, attraverso la rivista “Rivoluzione liberale”. Questa è la prima parte di un lavoro che continueremo in seguito. Grazie dell’attenzione. S. Mauro Torinese, 16 dicembre 2004 © Riproduzione riservata