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Un posto per chi torna Il racconto
15 marzo 2023

L’uomo camminava a capo chino avvicinandosi al centro della città. Aveva appena lasciato il freddo e il buio della terza classe, e non aveva riconosciuto la stazione, aveva avuto ancora la forza di meravigliarsi nel vederla così bella, ma ora non guardava ciò che era attorno a lui. Nemmeno sognava, aveva sognato troppo in quei 10 anni. Era stanco, disperatamente stanco. Lo guidava l’istinto e lui si lasciava guidare. Tutto era cambiato intorno a lui, ma per fortuna non poteva accorgersene. Una ragazza che camminava distratta lo urtò lievemente, poi accorgendosi del suo stato lo scambiò per un mendicante e gli porse una moneta. Egli si guardò la mano, che involontariamente aveva teso e senza rendersi ben conto di ciò che era accaduto guardò la moneta che luccicava ai bagliori del sole pomeridiano. Tutto quel luccicare del sole, delle case bianche, dalla moneta argentata, lo stordiva, ma ora era quasi arrivato. Alzò gli occhi: davanti a lui si ergeva un elegante palazzo bianco, quasi tutti uffici, con grandi porte di vetro. Tutto quel bianco e i vetri lo abbagliavano. Ma perché tutto riluceva in quel modo? ... Un signore elegante era sulla soglia di uno di quegli uffici e si accorse dell’uomo: non poteva essere un mendicante. “Chi desidera, prego?”, chiese gentilmente. Prima qui c’era… abitava qualcuno qui?” chiese l’uomo incerto. Il signore aggrottò le sopracciglia cercando di ricordare. “Sì, abitava la famiglia di un medico. Lei li conosceva?”. “Ed ora…?”, chiese l’uomo mentre la voce gli moriva in gola”. “Eh, poveretti! – fece il signore, compunto – La moglie e una bimba morirono sotto le bombe. Aveva anche un figliolo, non è morto, ma per lui è stato peggio. Lei li conosceva intimamente… ma cos’ha? Un momento… acc… si segga, piano, così”. Il Direttore delle carceri era un uomo superficiale e poco perspicace, ma aveva buon cuore. Era tornato stanco a casa ed ora si rifocillava davanti ad un buon pasto, mentre la moglie lo tempestava di domande: “E allora? Che hai potuto fare per lui? Che cosa tremenda!”. Il Direttore fece una strizzatina d’occhio alla moglie, non voleva che la figlia ascoltasse quelle tristezze. Quando la ragazza fu uscita, sorbendo il caffè, si accinse a soddisfare la curiosità della signora. “Cosa vuoi, mi fece tanta pena quel giorno che svenne nel mio ufficio, e poi era un signore, e un autentico galantuomo, ma sai cara, io non posso fare niente per lui, il figlio ha a suo carico una rapina mano armata e poi era affiliato a una delle peggiori gang della città. Lo so, non è stata del tutto colpa sua, la famiglia distrutta, il padre creduto morto, senza guida, solo, affamato… Il primo che gli ha teso la mano ha potuto farne ciò che ha voluto. Aveva solo 16 anni! Anche la domanda di grazia è stata respinta. Bah! Com’è triste la vita! Su cara, non ci pensiamo più. Cosa fai oggi? Accompagni la piccola dalla sarta, bene, poi vengo a prendervi in macchina e andiamo a quel cocktail, è gente molto gentile non possiamo mancare. Metti l’abito viola cara, ti sta bene”. L’uomo sedeva con il braccio posato sul tavolo e la testa reclinata, era già buio, ma non c’era bisogno di accendere la luce, non c’era niente da vedere. E poi chissà se c’era la luce in quell’alberghetto di quart’ordine. Ma lui doveva certo stare peggio. Era stato buono il Direttore a farlo alloggiare a sue spese, anche un abito gli aveva dato. Spuntava la luna. Ne sentiva, più che vedere, il raggio che si posava carezzevole, amico, sul suo braccio, sul tavolo, su una brocca di acqua limpida. Era bello una volta guardare la luna, i bimbi erano a letto e loro fumavano sulla terrazza, nel buio si vedeva il punto rosso delle sigarette. C’era anche una siepe di gelsomini, ne sentiva ancora il profumo intenso. Erano belli i suoi capelli al chiaro di luna, e le sue labbra erano dolci e fresche, sentiva ancora il suo alito profumato quando rideva silenziosamente sul suo viso. I bimbi dormivano quieti ed egli accarezzava trepido le loro testine bionde vicine vicine… Solo se tendeva l’orecchio nel buio della camera ne udiva il respiro calmo e leggero. L’uomo ebbe un sussulto, la luna ora investiva il letto. Ma questo era vuoto, e nel lenzuolo visibile, c’era un rammendo. “Ancora lui, che altro c’è?”, chiese il secondino con voce stizzosa a un inserviente. “Hanno fatto lite, il vecchio è solo contuso. Il ragazzo ha una ferita piuttosto profonda sul sopracciglio”. “Ma che state qui a discutere idioti, – intervenne il Direttore che passava – ci vuole un medico presto, la fasciatura è insufficiente, pure i medici devono ammalarsi, maledizione!”. Il Direttore non trascendeva mai, ma questa volta perdeva proprio la testa. Forse però la collera gli giovava perché chissà come, un’idea veramente geniale gli attraversò il cervello. Il suo viso si rasserenò e si spianò in un sorriso quando ebbe spedito un ragazzo in bicicletta con un biglietto, ed ebbe finalmente un po’ di tempo per congratularsi con se stesso. Il ragazzo stava male, la ferita era infetta e le mani del dottore non riuscivano del tutto a dominare il loro tremito, quando però si posavano sul giovane ferito esse erano ferme e leggere. Lo scienziato aveva preso ormai il posto del rudere che era stato fino a due giorni prima. Gli anni di fatica, di stenti, il dolore oscuro, disperato dei giorni precedenti erano superati, ora era solo il medico che ancora una volta lottava contro l’Avversaria potente e questa volta la posta in gioco era infinitamente grande. La stanza era quasi buia, una lampada azzurra diradava un po’ l’oscurità ed egli poteva vedere quel volto immensamente amato. Quale schianto aveva provato nel vederlo così cambiato! Che terribile sforzo aveva dovuto compiere per curarlo come un malato qualsiasi per non stringerlo follemente al cuore. Gli anni di inerzia forzata non contavano più, egli aveva la mente lucida e obbediente, era il chirurgo di una volta, quello a cui gli altri affidavano fiduciosi la loro vita. Guardò il volto pallido che riposava sui guanciali che la luce rendeva azzurrognoli: il giovane dormiva inquieto, delirava. Si chinò trepido su quel volto giovane e bello, quel volto che tanto gli ricordava gli altri che ormai non c’erano più. Il ragazzo mormorava parole insensate, ma ad un tratto, chiara, distinta, una parola egli riuscì ad afferrare: “Mamma”. L’uomo, il chirurgo, si inginocchiò sul pavimento nudo e nella penombra una preghiera salì a Colui che tutto perdona. “Per tua grazia gli ho dato una volta la vita, che io possa dargliela ancora. Mi sono ribellato alla tua volontà, è tanto che non prego più, ma Tu sai ciò che voglio dire, mi sono ribellato, ma ora dico: “Sia fatta la tua volontà, Signore”. Rimase così, per lungo tempo, la piccola lampada azzurra non serviva più. Ormai era l’alba, un’alba serena ad illuminare il volto tranquillo del giovane, e le mani congiunte dell’uomo. Molti giorni erano trascorsi, molte lettere si erano incrociate fra città lontane, lettere molto importanti. Quella sera la casa del Direttore era illuminata a giorno, si festeggiavano i 18 anni della figlia, ma il padrone di casa era assente. La confusione e la baraonda non potevano ormai infastidirlo: era nel suo ufficio e leggeva un decreto molto, molto importante: nientemeno che la grazia per un carcerato. Il Direttore delle carceri non era un uomo molto perspicace ma aveva buon cuore, si avvicinò alla finestra e guardò l’uomo e il giovane allontanarsi avvinti, in una gioia senza parole, e quando i suoi occhietti miopi non li distinsero più, soffocò uno strano accesso di tosse nel fazzoletto di seta. © Riproduzione riservata

Autore: Marisa Carabellese
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