Ancora una volta l’Europa ha mostrato la propria debolezza. Il progetto dell’Unione Europea, e quello dell’Euro in particolare, stanno vivendo una fase di profonda crisi accentuata dalle difficoltà economiche che attraversano il panorama mondiale. La crisi dell’Europa, pur non derivando da questo momento di particolare tensione, risulta tuttavia evidente. Anzi, con una diversa impostazione, il vecchio continente avrebbe potuto giocare un ruolo di leadership nelle vicende socio-economiche che ci proiettano un futuro sempre più incerto. L’UE, nelle intenzioni, nasce con il preciso intento di rafforzare la posizione di un continente martoriato dalla seconda guerra mondiale. È questa l’idea dei padri fondatori tra i quali, per citarne solo alcuni, Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli e Konrad Adenauer.
Le premesse iniziali, portate avanti con innumerevoli difficoltà nei vari accordi e trattati, si sono trasformate solo parzialmente in realtà.
La forza dell’Unione Europea, così come ben evidenziato dall’esperienza statunitense, doveva riporsi nella compattezza e nell’espressione di una sola ed autorevole voce che superasse i confini del singolo stato, soprattutto in termini di politica estera e di politica economica. La storia recente invece ci mostra un quadro totalmente differente. In parecchi contesti lo spirito unitario è stato preceduto dagli interessi dei vari paesi. Le posizioni sul Medio Oriente, le relazioni con gli USA e le recenti tensioni sviluppatesi nel Nord Africa hanno mostrato i limiti di una politica poco europeistica in cui le voci sono state quelle autonome della Germania, della Francia, dell’Inghilterra e, a volte, anche dell’Italia.
Il concetto basilare è quello che, prevedere una guida unica, comporta una perdita di potere ed un rimettersi ad una decisione “comune” che non sempre soddisfa i singoli attori. Ma è possibile pensare ad un organismo sovrannazionale che non ha un potere concreto ? Evidentemente no. Ultimo esempio è il dibattito acceso sull’euro. Quale il futuro per la moneta unica? Un interrogativo che potrebbe risultare, forse, troppo complesso per il singolo cittadino, magari maggiormente interessato a garantirsi un lavoro e a crearsi una prospettiva in un territorio come quello del Sud Italia, in cui le inefficienze abbondano di per sé. L’attuale contesto ci chiama in prima persona ad un senso di responsabilità che dovrebbe spingere le istituzioni nazionali e locali ad una precisa presa di posizione. È arrivato il momento di decidere in modo chiaro ed inequivocabile il percorso da intraprendere. Se l’idea di uno spazio unico deve proseguire è necessario allora che si indichino delle regole e delle competenze ben precise.
Le sorti economiche del nostro territorio non sono poi così scollegate dagli effetti derivanti dalla crisi dell’economia greca o dalle manovre sull’Euro. Un quadro europeo instabile certamente non contribuisce a fornire un’immagine rassicurante delle singole economie e ciò comporta una sfiducia generale, accentuata dai valori del debito pubblico e dalle ridotte proiezioni di crescita. Il declassamento dell’Italia effettuato da Standard & Poor’s, sia sull’Italia che sulle banche italiane, è una dimostrazione di un clima complessivamente negativo. Non che l’Europa da sola avrebbe evitato quest’ulteriore tsunami ma una politica unitaria più salda e pianificata avrebbe sicuramente consentito di avere oggi nei singoli stati delle economie più sane e pertanto più resistenti alla crisi. In termini concreti, le problematiche brevemente accennate si tradurranno in ulteriori difficoltà per le imprese che già oggi cercano di districarsi tra la preoccupante riduzione del credito, condizioni di mercato sfavorevoli, e scarse o pressanti regolamentazioni.
Un esempio su tutti è nel confronto con la Cina. I prodotti cinesi hanno letteralmente invaso il mercato portando sulla via del declino importanti comparti produttivi come quello tessile. Se è vero che la concorrenza deve essere affrontata sul campo, e non respinta con misure quali dazi e blocchi all’importazione, è anche vero che determinati prodotti dovrebbero essere venduti sui nostri mercati solo se rispettosi di quei requisiti previsti per le produzioni realizzate in loco. Per essere ancora più chiari, se non possiamo competere sul costo della manodopera, dobbiamo esigere che i capi d’abbigliamento che arrivino da qualsiasi paese extra UE siano realizzati con tessuti e colori atossici o che le fabbriche utilizzano tutte quelle misure per evitare emissioni tossiche, o che ancora i lavoratori impiegati non siano sottoposti a condizioni di lavoro disumane. Certo non è facile poter predisporre un meccanismo di controllo simile ma, pur non appartenendo al club dei “ti piace vincere facile” , bisogna rivedere le politiche e le regole sinora utilizzate. L’Europa ormai da anni ha perso quell’autorità che avrebbe dovuto possedere per equilibrare un’economia mondiale che vede come unici protagonisti USA e Cina.
Pertanto l’unico progetto da intraprendere sarebbe quello di ritrovare un percorso comune di crescita, poiché le sorti dell’economia locale dipendono sempre più direttamente da quanto deciso a livello sovrannazionale e, senza una guida forte ed autorevole, si rischia nei prossimi anni un ulteriore declassamento, molto più ampio e più tangibile di quello riferito al debito pubblico o alle banche.
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