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Un'occasione persa per l'Europa
23 settembre 2011

Ancora una volta l’Europa ha mostrato la propria debolezza. Il progetto dell’Unione Europea, e quello dell’Euro in particolare, stanno vivendo una fase di profonda crisi accentuata dalle difficoltà economiche che attraversano il panorama mondiale. La crisi dell’Europa, pur non derivando da questo momento di particolare tensione, risulta tuttavia evidente. Anzi, con una diversa impostazione, il vecchio continente avrebbe potuto giocare un ruolo di leadership nelle vicende socio-economiche che ci proiettano un futuro sempre più incerto. L’UE, nelle intenzioni, nasce con il preciso intento di rafforzare la posizione di un continente martoriato dalla seconda guerra mondiale. È questa l’idea dei padri fondatori tra i quali, per citarne solo alcuni, Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli e Konrad Adenauer.

Le premesse iniziali, portate avanti con innumerevoli difficoltà nei vari accordi e trattati, si sono trasformate solo parzialmente in realtà.
La forza dell’Unione Europea, così come ben evidenziato dall’esperienza statunitense, doveva riporsi nella compattezza e nell’espressione di una sola ed autorevole voce che superasse i confini del singolo stato, soprattutto in termini di politica estera e di politica economica. La storia recente invece ci mostra un quadro totalmente differente. In parecchi contesti lo spirito unitario è stato preceduto dagli interessi dei vari paesi. Le posizioni sul Medio Oriente, le relazioni con gli USA e le recenti tensioni sviluppatesi nel Nord Africa hanno mostrato i limiti di una politica poco europeistica in cui le voci sono state quelle autonome della Germania, della Francia, dell’Inghilterra e, a volte, anche dell’Italia.
Il concetto basilare è quello che, prevedere una guida unica, comporta una perdita di potere ed un rimettersi ad una decisione “comune” che non sempre soddisfa i singoli attori. Ma è possibile pensare ad un organismo sovrannazionale che non ha un potere concreto ? Evidentemente no. Ultimo esempio è il dibattito acceso sull’euro. Quale il futuro per la moneta unica? Un interrogativo che potrebbe risultare, forse, troppo complesso per il singolo cittadino, magari maggiormente interessato a garantirsi un lavoro e a crearsi una prospettiva in un territorio come quello del Sud Italia, in cui le inefficienze abbondano di per sé. L’attuale contesto ci chiama in prima persona ad un senso di responsabilità che dovrebbe spingere le istituzioni nazionali e locali ad una precisa presa di posizione. È arrivato il momento di decidere in modo chiaro ed inequivocabile il percorso da intraprendere. Se l’idea di uno spazio unico deve proseguire è necessario allora che si indichino delle regole e delle competenze ben precise.
Le sorti economiche del nostro territorio non sono poi così scollegate dagli effetti derivanti dalla crisi dell’economia greca o dalle manovre sull’Euro. Un quadro europeo instabile certamente non contribuisce a fornire un’immagine rassicurante delle singole economie e ciò comporta una sfiducia generale, accentuata dai valori del debito pubblico e dalle ridotte proiezioni di crescita. Il declassamento dell’Italia effettuato da Standard & Poor’s, sia sull’Italia che sulle banche italiane, è una dimostrazione di un clima complessivamente negativo. Non che l’Europa da sola avrebbe evitato quest’ulteriore tsunami ma una politica unitaria più salda e pianificata avrebbe sicuramente consentito di avere oggi nei singoli stati delle economie più sane e pertanto più resistenti alla crisi. In termini concreti, le problematiche brevemente accennate si tradurranno in ulteriori difficoltà per le imprese che già oggi cercano di districarsi tra la preoccupante riduzione del credito, condizioni di mercato sfavorevoli, e scarse o pressanti regolamentazioni.
Un esempio su tutti è nel confronto con la Cina. I prodotti cinesi hanno letteralmente invaso il mercato portando sulla via del declino importanti comparti produttivi come quello tessile. Se è vero che la concorrenza deve essere affrontata sul campo, e non respinta con misure quali dazi e blocchi all’importazione, è anche vero che determinati prodotti dovrebbero essere venduti sui nostri mercati solo se rispettosi di quei requisiti previsti per le produzioni realizzate in loco. Per essere ancora più chiari, se non possiamo competere sul costo della manodopera, dobbiamo esigere che i capi d’abbigliamento che arrivino da qualsiasi paese extra UE siano realizzati con tessuti e colori atossici o che le fabbriche utilizzano tutte quelle misure per evitare emissioni tossiche, o che ancora i lavoratori impiegati non siano sottoposti a condizioni di lavoro disumane. Certo non è facile poter predisporre un meccanismo di controllo simile ma, pur non appartenendo al club dei “ti piace vincere facile” , bisogna rivedere le politiche e le regole sinora utilizzate. L’Europa ormai da anni ha perso quell’autorità che avrebbe dovuto possedere per equilibrare un’economia mondiale che vede come unici protagonisti USA e Cina.
Pertanto l’unico progetto da intraprendere sarebbe quello di ritrovare un percorso comune di crescita, poiché le sorti dell’economia locale dipendono sempre più direttamente da quanto deciso a livello sovrannazionale e, senza una guida forte ed autorevole, si rischia nei prossimi anni un ulteriore declassamento, molto più ampio e più tangibile di quello riferito al debito pubblico o alle banche.
 
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Autore: Domenico Morrone
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La debolezza dell'Europa è nella mancanza di un sistema politicamente integrato, cioè di un governo e di un'autorità sovranazionali. L'ultima conferma di questa realtà ci viene dalla vicenda dell'Euro, il quale tra il 2001 e il 2002 ha perso peso e valore perchè dietro la moneta unica c'è il vuoto politico e decisionale. La salute di una moneta non è solo il segno delle buone condizioni di un'economia, ma anche del sistema politico che la sostiene, come è confermato proprio dal caso americano, dove il dollaro è accettato universalmente perchè, oltre che l'economia, è garantito dalla potenza politica e militare degli Stati Uniti. Quella di creare la moneta comune è stata una decisione di grande coraggio e, se consideriamo i tempi e i ritmi dei processi decisionali comunitari, addirittura un atto temerario. L'idea di una moneta unica europea era in gestazione da più di un ventennio, ma pochi credevano che avrebbe visto la luce. E, in effetti, se non si fossero verificate una serie di fortunate coincidenze - il clima creato dal lancio del Mercato unico, la forte personalità dei leader europei del momento e, soprattutto, la riunificazione tedesca - il progetto Euro sarebbe rimasto per chissà quanto tempo ancora nei cassetti degli uffici studi delle varie banche centrali. In una intervista eilasciata nel gennaio del 2000, Felix Rohatyn, ex banchiere, già salvatore di New York dalla bancarotta e ambasciatore americano a Parigi, dichiarava: Non c'è niente che noi possediamo e l?Europa non possiede in termini di capitali, tecnologia, educazione ecc.. Salvo che noi abbiamo un'economia continentale invece di un'economia basata sugli stati-nazione. Abbiamo un sistema politicamente integrato, un unico sistema legale, un insieme di regole, un linguaggio, una grande mobilità di lavoratori e una visione alquanto diversa del ruolo dello stato nell'economia. Questi aspetti politici e sociali sono molto importanti, ma, detto questo, gli europei sono in grado di fare quello che vogliono.- Poi è scoppiata la "BOLLA"....l'"INFERNO"...



EUROPEISTI DA SEMPRE- In presenza di tanto cinismo, sono costretto a ripetermi. L' Europa ha perso il filo, è vero!! Oggi noi Europei in gran parte non sappiamo bene da dove veniamo e ancor meno condividiamo una visione comune di quale sia la nostra meta. Abbiamo quindi urgente bisogno di una nuova narrazione, che tenga conto, però, dell' IDENTITA' precedente: più precisamente i capitoli amari , controproducenti, talvolta decisamente barbari della storia della civiltà europea. La conoscenza e la consapevolezza storica giocano qui un ruolo vitale, ma bisogna che sia una storia veritiera , che mostra ogni ruga, non MYTHISTORIE. L' unità, sia essa nazionale o continentale , non deve rappresentare un fine in se stessa ma semplicemente un mezzo per fini superiori. L'Europa, grazie alla sua IDENTITA' STORICA è, oggi, una POTENZA, ma considerare l'EUROPE PUISSANCE, un fine in se stesso o semplicemente auspicabile per eguagliare il potere USA è euro- nazionalismo, non PATRIOTTISMO Europeo. Quindi, la nostra nuova narrazione deve essere una sincera, autocritica, cronaca di progresso (progresso assai imperfetto, ma pur sempre progresso) da passati diversi in direzione di obiettivi condivisi che possano costituire un futuro comune. Per loro natura tali obiettivi non possono essere raggiunti appieno ( la perfezione non esiste almeno su questa terra) ma lo sforzo comune indirizzato a realizzarli può in sé e per sé legare una comunità politica. La grandezza del MITO risiede nel tessere una storia che parta da sei fili: Libertà, Pace, Diritto, Prosperità, Diversità, Solidarietà. In presenza di questo discorso “Europeista estremo” non c'è Cina o Usa che tengano; gli Europei hanno varcato le colonne d'Ercole: la barriera mentale che avevano interposto fra sé e l'Altro e sono arrivati ovunque. Noi Europei abbiamo trasformato il mondo e da grandi COMBATTENTI quali siamo,lo faremo anche questa volta!!!...P.S. Abbiamo in Europa l'arte di pensare le cose, analizzare, riflettervi sopra. Di questo, anche gli ingegni d'oltre-Atlantico sono invidiosi oltre al fatto che questo nostro “potere”, i Cinesi, non possono copiarlo!!!

Mi vedo costretto ripetermi. Finchè non si costruirà un “livello europeo”, quindi l' “Europa”, le cosiddette “prospettive” non compenseranno gli effetti della globalizzazione. Perché l'Europa non ha l'influenza internazionale che la sua popolazione e il suo livello di sviluppo richiederebbero. Anche e soprattutto perché l'Europa appare come una zona di progresso debole, per non dire di stagnazione, in un mondo sconvolto dalla crescita accelerata della Cina e dalla crescente egemonia americana. Bisogna abbandonare le illusioni di un discorso “europeista” estremo e riconoscere che è necessario cercare su un altro piano, più basilare, la ragion d'essere del declino di una certa visione della vita sociale. Una volta messa da parte questa falsa risposta, bisogna affrontare ciò che si chiama “la fine del sociale” e trarne tutte le conseguenze per l'analisi. L'indebolimento dell'Europa è dovuto al fatto che essa non crede nel proprio futuro. E' scontenta dell'egemonia americana, ma non abbastanza da cercare di svolgere un ruolo geopolitico pari a quello degli Stati Uniti o della Cina, per l'assenza di una coscienza europea: gli stati più forti economicamente cercano solo di proteggersi e proteggere i propri privilegi, frenati dal timore di scatenare un conflitto con gli Stati Uniti. Da questo punto di vista gli americani non hanno torto nel giudicare severamente i cittadini europei, che non hanno “né armi, né idee, né volontà”. L'impotenza europea non si manifesta solo nel campo della politica internazionale: la maggior parte dell'èlite scientifica e industriale mondiale è attratta dagli Stati Uniti per la qualità dei suoi centri di ricerca e delle sue grandi università. Sarebbe tempo che l'Europa, superando le debolezze e l'impotenza di ciascun paese europeo, creasse una rete di istituzioni e di centri di ricerca eccellente in grado di rivaleggiare con gli Stati Uniti o di collaborare con le università e i laboratori americani su di un piano di parità. Manca una coscienza europea. La costruzione europea presenta moltissimi vantaggi e solo una piccola minoranza vi si oppone, ma è così poco esaltante da ridurre i paesi europei al rango di osservatori critici della storia mondiale. L'Europa non è più un continente di combattenti; si sta trasformando in un continente di pensionati. L'espressione “il mondo occidentale” è ormai pressoché priva di senso. L'Europa non solo è una Stato senza nazione, ma è uno Stato debole che definisce più in senso amministrativo che politico. E poiché l'Europa non è una nazione, è al mondo intellettuale, scientifico, artistico e culturale formato dall'unione di paesi, città, correnti di idee, scuole, centri di ricerca, che va chiesto di essere più creativo, più indipendente dagli Stati Uniti e anche più cosmopolita e multiculturale.
L'attentato dell'11 settembre e la guerra americana contro l'Iraq hanno diviso l'Europa: un gran numero di paesi ha appoggiato gli Stati Uniti; altri, tra i quali in primo luogo la Francia, si sono opposti alle loro decisioni unilaterali con il sostegno di larga parte dell'opinione pubblica, fieramente avversa alla guerra. Cosa che indebolisce ancora di più l'Unione europea. Solo a poco a poco e soprattutto con la stipulazione del trattato di Maastricht, la Comunità economica europea ha cominciato a trasformarsi in Comunità europea e poi in Unione europea. Ormai era impossibile lasciare che l'Europa continuasse a farsi da sola; è stato necessario elaborare una politica specifica per arrivare all'introduzione, riuscita nonostante l'astensione britannica, di una moneta unica e a un progetto di allargamento che ha incorporato il centro e l'est del continente. I francesi hanno accettato a fatica questo trattato. Altri paesi l'avrebbero rifiutato, se i loro cittadini fossero stati consultati. La questione che ormai ognuno si pone, anche se la maggior parte dei partecipanti alla costruzione europea continua a sostenere una posizione empirica, può essere formulata nel modo seguente: l'Europa diventerà uno Stato nazionale come lo sono stati l'Inghilterra e la Francia? Esisteranno, ben presto, una coscienza e un'identità europee, e gli europei si definiranno europei, piuttosto che inglesi, tedeschi o italiani, quando si presenteranno a un americano o a un giapponese? Un grande passo avanti è stato compiuto con l'idea di una Costituzione europea. Ma questo primo slancio ebbe breve durata. L'idea di una Costituzione venne in seguito riproposta, in modo più pragmatico, al momento di accogliere nuovi Stati membri. Poiché gli Stati cercano di difendere particolarismi e interessi nazionali, questo sforzo è assolutamente necessario. L'Europa, man mano che si estende, si diversifica e interviene in modo più massiccio nella vita degli Stati membri, sembra, però, anche rinchiudersi in se stessa, sui problemi interni, e continua a non riuscire a svolgere un ruolo importante quando si tratta di questioni mondiali. Bisogna concludere che l'Europa ha perduto il suo originario dinamismo, che si indebolisce via via che si estende e che in sostanza ha ben poco peso nel processo di globalizzazione? In Francia la consapevolezza del declino ha provocato un senso di angoscia e ha portato agli scioperi del 1995, che sono andati ben oltre le rivendicazioni dei servizi pubblici. Oggetto di una accesa polemica tra gli intellettuali e i sindacalisti che reclamano il ritorno del massiccio intervento dello Stato nella vita economica: una richiesta impossibile, ma soprattutto la tangibile testimonianza della radicale opposizione alle politiche liberiste. In molti paesi, anche dopo il crollo economico del modello sovietico risulta difficile liberarsi dal modello dirigista e pianificatore che ha dominato tanto a lungo nella sinistra. Ma in Europa, almeno considerata complessivamente, nessuno aspira veramente a un'economia diretta dallo Stato e l'efficacia del modello sociale europeo viene messa sempre in dubbio. L'Europa è quindi ancora ben lungi dal costituire un vero e proprio Stato, anche se è a questo che tende.

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