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Un "archeomostro" rischia di deturpare il Duomo di Molfetta
27 maggio 2010

MOLFETTA - Vecchie letture e nuovi mostri. Dalla prima stralciamo questa citazione: “Per una visuale più completa del Duomo occorre vederlo da una certa distanza onde
avere, in prospettiva, la contrapposizione della prima cupola su quella più alta che emerge al centro della chiesa”. Seguiamo il buon consiglio dello storico Vincenzo Maria Valente e, visto che ci manca la sua mano per ricalcare le sue famose tavole del Duomo, ci armiamo di macchina fotografica. Ma nell’inquadratura qualcosa non corrisponde. Invece di scorgere le cupole alleggerite dalle finestrelle ecco apparire i nuovi mostri. Un massiccio muro che va a sostituire il precedente fabbricato, rimasto solo nella parte anteriore oscura la visuale (nella foto) e come se non bastasse una scala ancora in laterizi e tavole che delimitano il perimetro della costruzione fanno presupporre una ulteriore colata di cemento che magari non chiuderà “l’alzata”, per dirla volgarmente, ma andrà a creare una veranda con vista privata sul Duomo. E
pazienza se la foto che ci suggeriva di scattare Valente sarà rovinata.
Succede a Molfetta ancora una volta colpita nel suo monumento simbolo di cui tutti si vantano ma nessuno, e soprattutto chi avrebbe il dovere di salvaguardarlo, se ne preoccupa realmente.
L’immobile adiacente alla chiesa, sul cui tetto sono in corso i lavori, è già balzato agli onori delle cronache alla fine del 2009 per via di un sequestro preventivo della Guardia di Finanza poi annullato dal tribunale del riesame. Per mesi i lavori sono rimasti fermi salvo poi riprendere regolarmente, per regalare alla città vecchia questo nuovo squarcio di mattoni e cemento.
Ci chiediamo è mai possibile che su un immobile, il cui valore artistico e culturale supera quello economico, sia realizzato un simile intervento? Insomma non stiamo parlando del vano tecnico su una casa di campagna per guadagnar qualche metro quadro e una verandina su cui arrostire con gli amici, ma di un terrazzo su un edificio storico assolutamente non preesistente (come si può vedere nella galleria fotografica) che incide drasticamente sul monumento più prezioso della città. La sopraintendenza dei beni culturali ne è al corrente? E se non si tratta di un intervento abusivo i tecnici del Comune avranno fatto i dovuti accertamenti?  Speriamo che questa volta abbiano misurato bene l’impatto dell’opera. Del resto si tratta di una piccola sopraelevazione e negli uffici di via Carnicella sono abituati a ben altre sviste, considerando che si sono accorti tardivamente che la nuova caserma della capitaneria di porto sarebbe finita così a ridosso del mare.
Cercheremo di dare risposte a questi interrogativi e nel rispetto delle regole, se qualche permesso è stato violato, chiediamo che si abbia il coraggio e la tempestività di intervenire per ripristinare lo status quo ante. Perchè se le costruzioni che deturpano i beni paesaggistici sono definite ecomostri, indipendentemente dalla regolarità delle autorizzazioni, questo può a ragione essere definito un archeomostro. Il rischio è che nell’Italia dei condoni e nella città dell’abusivismo anche questo nuovo mostro venga esorcizzato.

© Riproduzione riservata

Autore: Michele de Sanctis jr.
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"REMINISCENZE" ---> CORRIERE DELLA SERA -http://archiviostorico.corriere.it/1996/marzo/16/grande_intrigo_cinque_atti_Dalle_co_0_96031613359.shtml IL GRANDE INTRIGO IN CINQUE ATTI. DALLE OSTRICHE ALLE BUSTARELLE. LA SUPERTESTE COMINCIO' così: "Previti controlla molti giudici" Lo dice chiaro e tondo. "Previti ha in mano molti magistrati romani". la storia comincia con Stefania Ariosto, fidanzata di Vittorio Dotti, che spiega ai pm milanesi come e perché (secondo lei) i soldi partivano dalla Fininvest, passavano dallo studio di Previti e finivano nella tasche dei magistrati. Un racconto pieno di aneddoti e di salotti, di tangenti e di champagne. A metà strada tra alta società e sospetti di illegalità. E una storia complicata. Anche se i pm di Milano intravedono un filo semplice: la Fininvest vuole "aggiustare" i processi; gli avvocati Attilio Pacifico e Cesare Previti (legale di Berlusconi e anche numero due di Forza Italia) fanno da mediatori; Renato Squillante prende le bustarelle. Così l' accusa. E i testimoni? Stefania Ariosto, Giorgio Casoli, ex senatore psi, e altri ancora. Un groviglio giudiziario. Ma anche politico: Dotti è il compagno della Ariosto, la Ariosto è l'accusatrice di Previti. Due big "azzurri", una guerra infinita... racconta ai Giudici Boccassini, D'avigo e Colombo la Ariosto... "In occasione di una riunione conviviale, a un certo punto si appartarono Previti, Squillante e l'avvocato Pacifico. Passai vicino al terzetto. Sul tavolo c'erano numerose mazzette di denaro: fascettate, come se fossero appena uscite dalla banca. I tre stavano in piedi, lì vicino, a parlare tra di loro. Ho potuto sentire qualche frase. Squillante diceva "Si' , ci penso io..."... continua...

Questa è una città che sta bene, che non ha problemi, che naviga nell'oro, che scoppia di benessere. Così viene definita questa nostra città, Molfetta, dai suoi attuali amministratori. L'abolizione dell'Ici, gli "annunci" delle grandi opere crearono - tutt'ora ancora lo fanno - quegli entusiasmi (assopiti) illusori, miragici in un deserto di idee dove anche la sinistra si è smarrita, invece di combattere e creare quell'"antitodo" capace di bloccare l'"anastetizzazione popolare" messa in opera dalla nuova destra. Poi la crisi economica ancora agli inizi e da definire nelle sue caratteristiche distruttive, volontariamente sottovalutata per non perdere consensi elettorali. Ora la paura annunciata per la sindrome "grecia". Viviamo in simbiosi con la paura. Quella paura chiamata e definita pessimismo, disfattismo, e che ora, forse a fine dell'effetto narcotizzante, ci viene preposta e proposta sul piatto della quotidianetà: prendere o lasciare. Per dirla in parole povere e in termini popolari, "o ti mangi questa minestra, o ti butti dalla finestra." In questa società trasformata in un reality show dalle logiche mediatiche, anche la realtà di Molfetta è stata deformata: si è perso il senso dell'equilibrio. La desertificazione e la distruzione del nostro habitat continua. Quest'articolo del giovane Michele de Sanctis ne da la piena dimostrazione. Dimostrazione anche di una certa rassegnazione popolare al continuo degrado effettuato da chi invece, dovrebbe combatterlo. Personalmente mi auguro che questa rassegnazione non coinvolga anche "QUINDICI", il Direttore responsabile Felice de Sanctis e tutta la redazione e collaboratori. Sarebbe veramente la FINE. La FINE di ogni speranza.



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