Teatro, in scena “La maledizione di Kulyenchikev”
Il Laboratorio di arti sceniche dell’Istituto Alberghiero di Molfetta conferma la propria più che decennale capacità di esprimersi con grazia e naturalezza attraverso il teatro, con soddisfazione del Dirigente scolastico, prof. Antonello Natalicchio. Nell’insolita e suggestiva cornice dell’atrio della Sede Apicella, nell’ambito della XVII edizione della Giornata dell’Arte e della Creatività studentesca, gli studenti dell’IPSSAR, guidati con grande professionalità dai loro docenti, hanno dato vita a una deliziosa operazione di “riduzione e adattamento” della fiaba comica Fools di Neil Simon (a sua volta ispirata alla leggenda ebraica di Chelm), con la pièce La maledizione di Kulyenchikev. Il titolo prescelto appare riconducibile all’adattamento musicale del 1984 a cura di Melnick, Pattison e Warner. Lo spirito del bel testo di Simon rimane vivo; qualche modifica è legata allo sdoppiamento di ruoli (Snetsky) o alla trasformazione di parti maschili (per quella del postino Mishkin, per citare un caso) in femminili, in linea con le esigenze del collettivo studentesco. Inoltre, si è scelto di inframmezzare il gioco scenico con un gradevole momento coreografico (ben curato da Daniela Logrieco), consacrato alla tradizione del canto popolare russo, con la scelta di Kalinka di Larënov. Un plauso è dunque doveroso per i docenti alla regia e al coordinamento artistico (Adelaide Altamura, Teresa De Leo, Annamaria Russo, Antonio Allegretta, Carla Calò, Rosita Napolitano), i quali hanno curato con attenzione non solo gli aspetti della riduzione, ma anche la preparazione dei giovanissimi interpreti, guidandoli in una resa pienamente efficace del testo. Poderoso e pregevole il lavoro di Antonietta Travaglini, che si è occupata in maniera egregia della scenografia e dei costumi. Abile tutto il cast, costituito dagli studenti Rosa Tesse, Domenico Matera, Rossana Scatigno, Carmen Rana, Gerry Silvestri, Giuseppe Todisco, Angelo Musci (abitanti del villaggio), Marianna Grassitelli (narratrice), Simone Lobascio (Snetsky 1), Giuseppe Grassitelli (Snetsky 2), Doriana Mennea (Magistrat), Stefania Bonasia (Slovitch), Luisa Lacerenza (Mishkin) e l’ironico e falsamente tenebroso Palmo De Michele (Gregor Yousekevitch). Particolare attitudine comica dimostrano Michela Dascoli (Yenchna), naturale ed esilarante, ed Emanuella Salvemini (Sophia Zubritsky), che parodia il motivo del colpo di fulmine, accentuando i tratti bamboleggianti, e ruspanti al contempo, della protagonista. Ottima la performance di Domenico De Gennaro in Tolchinsky e di Alessandro Fucci e Giulia Carpini che hanno ben reso gli irresistibili dialoghi dei coniugi Zubritsky, considerati le pagine migliori della pièce di Simon. La maledizione di Kulyenchikev presenta elementi di irresistibile comicità, tutt’altro che dozzinale. Gli abitanti di un villaggio ucraino, in virtù della maledizione scagliata da un antico Yousekevitch, sono “completamente stupidi” e le loro conversazioni risultano caratterizzate da non sense, spesso legati all’atto di fermarsi al livello letterale del linguaggio, senza riuscire a coglierne le implicazioni metaforiche. Solo l’efficace azione educativa di Tolchinsky sulla giovane Sophia, figlia del dottor Zubritsky, potrebbe spezzare l’incantesimo, senza costringere la fanciulla a sposare lo sgradevole e sgradito conte Gregor, accusato di “gettare acqua” sul villaggio (la stupidità induceva la popolazione a interpretare in chiave superstiziosa eventi naturali come la pioggia, ma la soggezione a Yousekevitch proseguirà anche nel finale, che lo vedrà riciclarsi nelle vesti di prelato, con allusioni satiriche relative al potere di sottomissione esercitato sugli animi dalla religione). L’opera è in realtà ricchissima di spunti. La maledizione si rivela, presumibilmente, legata più a fattori psicologici che reali: infatti, a scioglierla è il matrimonio di Sophia con uno Yousekevitch solo presunto (lo stesso Tolchinsky, che, irridendo il topos della lettera di agnizione, s’è finto discendente della famiglia). Il gioco scenico è connotato da un ritmo incalzante; si sorride di tutto: delle pretese salvifiche della pedagogia e dell’amore; dell’inefficienza del sistema delle poste, che funzionava (forse!) solo quando ogni missiva era consegnata da uno scemo; degli scientisti, che nel loro ottuso perseguire il vessillo della ragione, si ostinano ad approcciarsi in maniera pragmatica a interrogativi esistenziali complessi (il dottor Zubritsky che, alla domanda su quale sia “il senso della vita”, risponde, con convinzione, “12”, come se fosse alle prese con calcoli matematici). La sostanza della riflessione è però profondamente seria: quei fools che dialogavano immersi nella beata ignoranza, dicendo scemenze talvolta geniali, convinti di non saper amare perché sciocchi, erano felici e istintivamente amorevoli, come non sarebbero rimasti dopo la falsamente salvifica metamorfosi del finale.
Autore: Gianni Antonio Palumbo