Svimez, sono 45mila i lavoratori delle grandi aziende in southworking
Le imprese chiedono incentivi e riduzione Irap. Bianchi (direttore generale), occasione per attrarre talenti al Sud e interrompere la fuga ma servono servizi. Una possibilità di ridurre il divario Nord/Sud
Si chiama southworking lo strumento utile a ridurre il divario economico, sociale e territoriale tra Nord e Sud, perché permette di migliorare la qualità della vita di milioni di persone del Mezzogiorno costrette ad emigrare per motivi di lavoro. Ora potranno lavorare con aziende del Nord rimanendo nella propria terra.
Una mezza rivoluzione, forse l’aspetto positivo dell’emergenza Covid che ha incentivato questa attività del lavoro da casa, che, in molti casi, rappresenta il futuro. In termini economici è un vantaggio per le aziende che riducono i costi fissi (trasporto, consumi elettrici, fitto di locali, ecc.) e aumentano la produttività che in Italia non è elevata, ma lo stesso dicasi per i lavoratori che oltre al risparmio dei costi di trasporto quotidiani (bus, treni, carburante e usura dell’auto) e di rientro a casa per le festività, hanno il vantaggio di non perdere gli affetti e una vita di relazione. In una parola: la qualità della vita migliora sensibilmente e con essa anche la soddisfazione lavorativa. Non ultimo, il tele-lavoro è amico dell'ambiente, con il decongestionamento del traffico e un minore inquinamento.
A questi vanno aggiunti i non rilevanti costi per i figli (baby sitter sostituite dai nonni), meno stress, più tempo libero a disposizione, possibilità di gestirsi gli orari di lavoro e anche i luoghi di lavoro (la casa di campagna o al mare), e altro.
Insomma “working from anywhere” (“lavorare da qualunque luogo”).
Noi di “Quindici” siamo stati antesignani nello smart warking da almeno 20 anni, con un risparmio di costi e con il vantaggio della flessibilità che ci permette di fare un mensile al ritmo di un quotidiano, aggiornato fino all’ultimo momento.
Sono quarantacinquemila gli addetti che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord. Questi i primi risultati di una indagine sul southworking, realizzata da Datamining per conto della SVIMEZ su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. Dati contenuti nel Rapporto Svimez 2020, che sarà presentato il prossimo martedì 24 novembre.
Una cifra quella dei quarantacinquemila lavoratori che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali. Si ricorda nello studio che attualmente sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro- Nord. Dall’indagine emerge altresì che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l’80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking.
Poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centro-Nord la possibilità di lavorare dai rispettivi territori di origine potrebbe costituire un inedito e quanto mai opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese. Il Rapporto SVIMEZ propone l’identificazione di un target dei potenziali beneficiari di misure per il south working. Occorre concentrare gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centro-Nord. Utilizzando i dati ISTAT sulla forza lavoro e quelli relativi all’indagine sull’inserimento professionali dei laureati italiani, si è stimato che la platea di giovani potenzialmente interessati ammonterebbe a circa 60.000 giovani laureati.
Il capitolo del Rapporto SVIMEZ è stato realizzato in collaborazione con l’associazione South Working Lavorare dal Sud fondata dalla giovane palermitana e south-worker Elena Militello. In base ai dati dell’Associazione l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. Si tratta, spiega la Militello nel Rapporto SVIMEZ, di una realtà che già conta 7.300 persone iscritte alla pagina Facebook, con un pubblico di circa 30mila persone ogni mese. Da questa ricerca, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l’80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli di studio, principalmente in Ingegneria, Economia e Giurisprudenza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il progetto “South Working – Lavorare dal Sud” oltre alla collaborazione con la SVIMEZ, grazie al sostegno e alla collaborazione della Fondazione CON IL SUD, entra nella fase operativa, con l’avvio della campagna di adesioni e della rete di sostegno ai lavoratori.
La ricerca SVIMEZ analizza anche i vantaggi che le imprese e i lavoratori oggetto dell’indagine hanno riscontrato nella sperimentazione di esperienze di southworking e le politiche che sarebbero necessarie per la diffusione di tali esperienze.
La maggior parte delle aziende intervistate, in base all’indagine Datamining, ritiene che i vantaggi principali del southworking siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimento da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatica.
Di qui emerge la necessità di adottare alcuni strumenti di policy per venire incontro alle richieste delle aziende: incentivi di tipo fiscale o contributivo per le imprese del Centro Nord che attivano southworking, riduzione dei contributi, credito di imposta una tantum per postazioni attivate, estendere la diminuzione dell’IRAP al Sud a chi utilizza lavoratori in southworking in percentuale sulle postazioni attivate, creazione di aree di coworking, promossi dalle pubbliche amministrazioni, prossimi alle infrastrutture di trasporto quali stazioni ed aeroporti, nei quali sia possibile la condivisione di spazi, per sviluppare relazioni, creatività e ridurre i costi fissi e ambientali.
Tra i vantaggi che i lavoratori percepiscono di più nel momento in cui gli viene proposto lo spostamento nelle aree del Mezzogiorno, i principali sono il minor costo della vita, seguito dalla maggior possibilità di trovare abitazioni a basso costo. Per quanto riguarda gli svantaggi, spiccano i servizi sanitari e di trasporto di minor qualità, poca possibilità di far carriera e minore offerta di servizi per la famiglia.
Nel corso di un incontro promosso dalla Fondazione Con il Sud il Presidente Carlo Borgomeo ha rilevato che “in questi mesi non si è solo dato un nome al fenomeno, con l’Associazione South Working appunto, ma si è strutturato il lavoro che ha trovato in Fondazione con il Sud ampio consenso ed una forma di concreto sostegno perché da sempre promuoviamo processi che possano rendere attrattivi i territori del Mezzogiorno. Con altri progetti abbiamo favorito il trasferimento al Sud di ricercatori del Nord o stranieri. Perché crediamo fermamente che attrarre giovani talenti al Sud ne rafforzi il capitale sociale e quindi i processi di sviluppo. South working è perfettamente in linea con i nostri obiettivi”.
La SVIMEZ, con l’avvio di un Osservatorio sul south-working intende “avviare un pacchetto di misure a sostegno del southworking potrebbe favorire la riattivazione di quelle precondizioni dello sviluppo da troppi anni abbandonate – commenta Luca Bianchi Direttore SVIMEZ – Il southworking potrebbe rivelarsi un’interessante opportunità per interrompere i processi di deaccumulazione di capitale umano qualificato iniziati da un ventennio (circa un milione di giovani ha lasciato il Mezzogiorno senza tornarci) e che stanno irreversibilmente compromettendo lo sviluppo delle aree meridionali e di tutte le zone periferiche del Paese. Per realizzare questa nuova opportunità è tuttavia indispensabile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrato su quattro cluster: 1) incentivi di tipo fiscale e contributivo”; 2) creazione di spazi di co-working; 3) investimenti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari) 4) infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche”.