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Sul capitale cognitivo
15 marzo 2014

A Natale sono stato ad Amburgo nella cui università insegna mia figlia, cordialmente invitata ad emigrare come molti giovani del nostro paese. Tante sono state le suggestioni letterarie durante il mio soggiorno: le maestose guglie delle chiese gotiche che come diceva O. Spengler ne Il Tramonto dell’occidente sono la manifestazione plastica di slanci dell’io, l’opulenza dei passages di Amburgo intorno al lago Alster che mi rimandava a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di M. Weber, la casa dei Buddenbrook a Lubecca, il famoso romanzo di Thomas Mann e poi ancora guglie e chiese e l’opulenza e le navi, tante navi sull’Elba. E il freddo. Dicono che il lago, l’Alster, in inverno diventa ghiacciato e ci puoi pattinare sopra. Immediatamente sono stato rinviato al rapporto con il nostro mare Mediterraneo e ai numerosi saggi che intellettuali come P. Valéry e J. Derrida hanno scritto sul rapporto competitivo fra il Mediterraneo e i mari del Nord, il Mediterraneo con popoli orientati prevalentemente al cattolicesimo, i mari del Nord abitati da nazioni in cui prevale la religione protestante. Si tratta di due visioni del mondo diverse perché per i primi il paradiso deve ancora venire, sta oltre la storia, per i protestanti lo si deve realizzare nella storia, è infra-mondano. Ma quello che più mi aiutava ad instaurare questo rapporto era la nozione marxiana di composizione organica del capitale (rapporto capitale costante, le macchine e capitale variabile, la forza-lavoro) e all’interno di questo rapporto l’assoluta priorità oggi accordata al capitale cognitivo, il patrimonio di conoscenze dell’intelletto generale. Avevo letto che la Angela Merkel è di Amburgo e mi chiedevo perché i tedeschi stanno vincendo la sfida del nuovo millennio e noi stiamo segnando il passo, non ce la facciamo, stiamo perdendo la sfida; ci fanno vincere al massimo qualche partita di calcio, ma l’azienda Germania sta dando tanti punti alle nazioni del Mediterraneo ( Grecia, Italia, Spagna). Il leader greco Alexis Tsipras ha sollevato il problema ed è andato anche a proporlo al teatro Valle di Roma. Il capitale cognitivo, il lavoro immateriale, l’intelletto generale sono le nozione teoriche e strategiche che hanno maggiormente coinvolto i pensatori nella seconda metà del secolo scorso, sono la dimensione in cui abbiamo vissuto ed operato, dimensione in cui abbiamo allevato i figli e voglio proiettarle sulla realtà contemporanea del nostro Paese per suggerire alcune piste da seguire. Il problema all’ordine del giorno è quale vita per i giovani nel nuovo millennio, quale racconto andiamo a proporre in una fase in cui si sta insediando un nuovo governo che come dicono ha intenzione di rimanere fino al 2018. Perché un giovane che fa parte di quel 40% di popolazione inoccupata deve mettere in bilancio la possibilità di andare all’estero, emigrare e non cercare un lavoro nel nostro paese, sulle rive del Mediterraneo. Spesso si sente dire nei dibattiti politici che se un Paese non investe nella cultura, nella ricerca, nell’università è destinato a morire, dicono che c’è bisogno di un nuovo Piano Marshall e intanto nessuno dei governi precedenti lo ha fatto. Nel ventennio passato sono apparse sulla scena università di primo piano come la Luiss, la Bocconi, il San Raffaele, tutte insediate al Centro-Nord, mentre le università del Sud sono state colonizzate da schiere di docenti che venivano dal Nord. All’interno del lavoro immateriale si è aperto un dualismo fra lavoratori che hanno accesso ai nuovi saperi ( La Computer Science) e lavoratori destinati a svolgere un ruolo marginale. Si può prendere come esempio l’uso della lingua inglese: in ambito accademico una pubblicazione in inglese o in tedesco vale di più di un libro scritto in italiano semplicemente perché il bacino di utenza è molto più ampio e nell’editoria internazionale sono diventate le lingue dominanti. Ma è sul piano del racconto, della narrazione che bisogna aprire il confronto e individuare delle linee di fuga. La prima constatazione è che il rapporto operai-capitale va oggi giocato nel contesto del lavoro immateriale; la seconda è che il turbo-capitalismo produce dualismo fra zone dell’opulenza e zone marginali di cui progressivamente siamo entrati a far parte. Un racconto che la Chiesa di papa Francesco ha recepito come del resto aveva intuito don Tonino Bello, mentre ancora non riescono a capire i politici che si muovono sul piano istituzionale né hanno capito alcuni che hanno avuto la pretesa di proporre racconti in terra di Bari negli ultimi vent’anni. Per questo voglio confrontarmi con due narrazioni che sono state proposte negli ultimi quarant’anni in Terra di Bari, lo storicismo marxista e il cattolicesimo di Comunione e liberazione, la prima ha costituito il quadro di riferimento degli intellettuali del Pci- Pds-Pd, la seconda ha nutrito molti intellettuali del dialogo di origine cattolica. Voglio confrontarmi per metterle in rapporto con una tradizione forte di pensiero, la tradizione avanzata dall’operaismo che in terra di Bari è stata proposta nel recente passato da un intellettuale, Nicola Massimo de Feo che aveva conosciuto M.Tronti all’esame di libera docenza e aveva continuato a tenere rapporti con il gruppo romano. Nel ’68 e negli anni successivi in Terra di Bari si formarono quasi tutti i gruppi della Sinistra extra-parlamentare: Avanguardia operaia, Lotta continua, il Manifesto, la IV Internazionale, il Circolo Lenin e il CAA (comitato antifascista e antiimperialista). Il Circolo Lenin e il CAA erano formazioni marxiste-leniniste, ma il secondo si rivelò una cinghia di trasmissione del PCI che non voleva perdere il rapporto con il movimento degli studenti e da essa furono reclutati tutti gli intellettuali di partito della École barisienne. In provincia, a Molfetta, fu fondato un Circolo di Potere operaio che in seguito sarebbe approdato al Gruppo politico del Manifesto con Lucio Magri, Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Luigi Pintor. Gli indignati partecipano alla storia attraverso la microstoria, la microstoria che un soggetto vive in una piccola città di provincia, riuscendo a connettere i grandi eventi con le contraddizioni che ciascuno incontra nella vita quotidiana. Nell’università di massa di quegli anni confluivano elementi provenienti dalla piccola borghesia, pezzi della borghesia di Stato, alcuni frammenti del ceto agrario e solo qualche figlio di operaio. In quel contesto la centralità della fabbrica, della realtà di fabbrica diventava qualcosa di astratto perché la zone industriali di Bari e Taranto erano in fase di insediamento, mentre le Ferriere di Giovinazzo stavano per essere dismesse. Nelle assemblee della centralità operaia, della lotta salariale come lotta politica parlavano solo i funzionari di partito (perché le formazioni extra-parlamentari erano diventate partiti) e nessuno riusciva pienamente a comprendere la portata dello scontro in atto. Più convincenti diventarono i discorsi quando si cominciò a parlare di operaio sociale, dello studente come operaio sociale e delle condizioni di espropriazione a cui tutti gli studenti erano sottoposti attraverso la meritocrazia, la selezione e i costi crescenti degli studi. Si aveva fretta di finire per trovare un posto di lavoro, magari al Nord, a insegnare Materie letterarie in una scuola media di provincia per liberare i genitori dall’onere a cui nel corso dell’esistenza erano stati sottoposti. Il corso di studi in Filosofia prima della liberalizzazione era penoso perché prevedeva ancora il Latino come esame obbligatorio con un testo di traduzioni chiamato Meletemata che ancora oggi non so cosa significa. L’impegno politico era considerato dai più roba da fanatici privilegiati perché la vera politica al Sud era dominata dalla Balena Bianca che ancora utilizzava le squadracce fasciste di Almirante per pestare gli studenti con i capelli lunghi che indossavano l’eskimo. Il ’68 e il ’69 furono anni di liberazione perché avevamo lasciato alle spalle quella scuola arcaica chiamata Liceo classico e finalmente eravamo approdati all’università dove si diceva stavano i maestri del pensiero. Nell’università di Bari, a Lettere e filosofia, tranne il già ricordato de Feo e alcune teste pensanti del Pci come Vacca, De Giovanni e de Castris imperava il relazionismo fenomenologico, una filosofia del povero singolo esistente subalterno degli eventi storici. Il pensiero europeo con l’operaismo e il post-strutturalismo era attraversato dalle drammatiche domande che le ecceità, le nude vite, i soggetti ponevano al mondo e quelli a parlarci del povero singolo esistente. Alcuni di noi si dedicarono al positivismo logico, alla filosofia analitica, alla logica-matematica perché intuirono che il pensiero imperiale, il pensiero del contesto- linguaggio, il pensiero lineare aveva prodotto alcuni risultati che sarebbero stati applicati nella Computer Science. Intuirono che si era prodotta un frattura fra Filosofia continentale e Filosofia analitica a cui il Nuovo razionalismo di Ludovico Geymonat aveva tentato di porre qualche rimedio. Tuttavia Geymonat e la sua scuola lo fecero in modo banale, riproponendo il Diamat che aveva ormai fatto il suo tempo e non era una risposta adeguata alle domande avanzate dal Materialismo dell’incontro, dal Materialismo aleatorio. Molte nude vite, molti ricercatori delle università italiane cominciarono a percorrere i territori dell’Impero (Inghilterra e Stati uniti) con la coscienza che l’investigazione della Filosofia analitica potesse produrre un’adeguata conoscenza del modo in cui il linguaggio diventa codice, comando, scienza già fatta, mettendo in angolo la trasgressione del codice, la rivolta, la scienza nel suo farsi. Sul piano politico la Triplice (Avanguardia operaia, Lotta continua, il Manifesto) era fallita con il Congresso di Rimini del ’77 ed aveva liberato una moltitudine di soggetti che si misero a percorrere le strade del mondo occidentale con l’idea fissa che l’operaio sociale e la nuda vita erano soggetti sacrificabili, sacrificabili ad una vita oscura, randagia, nel sottopassaggio, meglio nel sottosuolo e che le classi dirigenti stavano provvedendo al proprio avvicendamento preparando le poltrone per i propri figli, il nepotismo. Dalla scuola all’università, dalle sagrestie al Parlamento. La lotta contro il precariato fu vinta nel ’77, quando i contratti di ricerca furono trasformati nel ruolo dei ricercatori con procedure idoneative. Il nepotismo ha caratterizzato l’ossatura della università italiana negli ultimi quarant’anni e le nude vite si sono difese andando in giro per il mondo. Per non fare la fine dei crumiri. Dell’operaismo rimaneva quel dispositivo teorico dell’operaio sociale unito alla centralità che fin da quegli anni assumeva il lavoro immateriale, la conoscenza come dispositivo di potere, la problematica dei bisogni. Sì la problematica dei bisogni, lo spazio del corpo, l’evento della parola parola, la balbuzie di Artaud, il corpo del carcerato, i pazzi della Salpétrière a Parigi, i reclusi delle strutture manicomiali e degli ospedali psichiatrici, le lotte di Basaglia, gli spettacoli di Carmelo Bene, tutti momenti di riflessione e di vita che erano indagati da quello che oggi viene definito come il poststrutturalismo francese. Il ritorno dagli Stati Uniti dopo la permanenza di un anno alla Boston University è stata la cosa più triste e avvilente della mia vita. Eravamo verso la fine degli anni Ottanta e tutto era cambiato. Nelle facoltà universitarie non esistevano più i collettivi, mentre si stava consolidando l’informatizzazione della pubblica amministrazione e delle strutture formative. I luoghi dei racconti stavano diventando sempre più simili a degli uffici comunali o a squallide agenzie di collocamento. I corridoi delle facoltà umanistiche, ormai ritenute facoltà a sviluppo zero, diventavano sempre più deserti. Qualche vecchio matusa proponeva scampoli di pensiero debole, ma la maggior parte dei cattivi maestri era fuggita all’estero o aveva lasciato l’università. Finalmente si poteva tornare a proporre una filosofia accademica, una filosofia che non induceva processi di trasformazione della realtà, una filosofia della società aperta. K. Popper aveva pubblicato La società aperta e i suoi nemici e molti intellettuali italiani aderirono al messaggio, ind i v i d u a n d o nel marxismo una filosofia della schiavitù umana. Se sul piano europeo si imponeva la London School of Economics, su quello nazionale emergevano e si affermavano università come La Bocconi e la Luiss. Cominciarono a circolare testi di F. von Hayek come quello sul Liberalismo, mentre in campo epistemologico diventavano dominanti filosofi come F. Barone, M. Pera e D. Antiseri. Finalmente nel 1990 arrivò la Pantera contro la proposta dell’inserimento dei privati all’interno dei Consigli di amministrazione delle università pubbliche. La facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bari fu occupata per sei mesi, da ottobre a marzo dagli studenti del Movimento. Qualcuno invocava l’intervento della polizia, qualche altro sbavava in assemblea perché non riusciva da sei mesi a proporre il suo vano turpiloquio. A Parigi Derrida teneva un seminario sul cannibalismo e sull’amore, l’atto d’amore come mangiare l’altro, nutrirsi di esso. La problematica della decostruzione contenuta ne La scrittura e la differenza veniva proiettata nell’attimo estatico dell’amore. Un segmento del pensiero contemporaneo in seguito approfondito da Jean-Luc Nancy. J. Baudrillard ha sostenuto nella parte finale de Lo scambio simbolico e la morte che se marxismo e psicoanalisi sono in crisi bisogna farli cozzare contro per vedere che spettacolo ne viene fuori. In effetti la psicoanalisi, spesso accusata di essere un sapere piccolo-borghese, è l’unica dimensione in cui emerge la natura rimozionale e potestativa del pensiero normale. L’unica scienza che permette di interpretare i percorsi della devianza, la sua genesi, le dinamiche complesse che la condizione di devianza mette in campo. L’origine della malattia è sempre sociale e per questo bisogna inventare politiche dell’amicizia. “Con questo divenir politico, attraverso tutti gli schemi che gli attribuiamo, a cominciare dal più problematico di tutti, quello della fraternità, si apre la questione della democrazia, la questione del cittadino e del soggetto come singolarità contabile. E’ quella di una fraternità universale. Non c’è democrazia senza rispetto della singolarità e dell’alterità irriducibile, ma non c’è neanche democrazia senza comunità degli amici, senza soggetti identificabili, stabilizzabili, rappresentabili e uguali fra loro.” 1 Scheda: Amburgo (in tedesco Hamburg, in basso-tedesco Hamborg) è una città della Germania, posta sull’estuario del fiume Elba. È la seconda città più popolosa della Germania, dopo la capitale Berlino, ed è anche la città non-capitale più popolosa dell’Unione Europea. Il suo porto è il maggiore della Germania e il secondo nell’Unione Europea. Amburgo, coerentemente con il suo passato anseatico, costituisce ancora oggi una città-stato e si fregia ufficialmente del titolo di Freie und Hansestadt Hamburg (“Città libera ed anseatica di Amburgo”). Sorge sulle rive del fiume Elba (Elbe in tedesco) nel nordovest della Germania. È una Città- stato (Stadtstaat), situata fra i Länder della Bassa Sassonia (Niedersachsen) e lo Schleswig-Holstein. Si trova nel punto in cui i fiumi Alster e Bille sfociano nell’Elba, che 110 km più a nord-ovest sfocia a sua volta nel Mare del Nord. È attraversata da una fitta rete di canali chiamati Fleete; il centro città è circondato dai due laghi artificiali formati dall’Alster: il Lago Binnenalster (la parte di fiume che si trovava dentro le antiche mura della città), e il Lago Außenalster (Alster esterno). Il porto naturale si estende per tutta la larghezza dell’Elba principalmente sulla riva meridionale che fronteggia i quartieri di St. Pauli e Altona. La tempesta di fuoco del 1943 Durante la seconda guerra mondiale Amburgo fu sottoposta ad una serie di devastanti raid aerei. Le incursioni alleate mediante il maximum use of fire voluto da Churchill raggiunsero il culmine con gli attacchi su Dresda e Amburgo, che insieme a Tokyo e ai bombardamenti atomici rappresentano il più alto livello distruttivo mai sperimentato dalle armi. La tecnica accuratamente studiata dagli inglesi mise a punto un particolare tipo di bombardamento che mediante l’uso di spezzoni incendiari da 4 libbre, sganci a grappolo poteva innescare un’unica e gigantesca tempesta di fuoco. Lo stesso Arthur Harris, capo del Bomber Command, battezzò l’attacco su Amburgo col nome di “Gomorra”, dando a intendere quali fossero le intenzioni circa il destino della città. La notte del 28 luglio 1943 si generarono colpi di vento infuocato a 75 metri al secondo. Le case bruciarono per il solo effetto del calore e circa 50.000 persone furono sterminate. I cadaveri vennero ritrovati soprattutto nei rifugi sotterranei come le cantine, trasformati improvvisamente in enormi forni crematori. Alla fine della guerra, la città era ridotta a 43 milioni di metri cubi di macerie (compreso il centro storico), pur non raggiungendo la totalità della distruzione come invece accadde a Dresda, Colonia e Norimberga. Nel dopoguerra, la Cortina di ferro - a soli 50 km a est di Amburgo - separò la città dalla maggior parte del suo hinterland e ridusse ulteriormente l’attività di commercio globale. Il 16 febbraio del 1962 una forte tempesta fece raggiungere all’Elba il livello massimo storico, inondando un quinto di Amburgo e provocando la morte di oltre 300 persone. Dopo la riunificazione tedesca nel 1990 e l’ingresso di alcuni paesi dell’Europa dell’Est e degli Stati baltici all’Unione europea nel 2004, Amburgo e il suo porto cominciaro- 1 J. Derrida, Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995 no a coltivare l’ambizione di riconquistare il primato come porto per le navi da container e centro di scambi commerciali. A partire dalla riunificazione la regione metropolitana di Amburgo è cresciuta di circa 400.000 abitanti; nel 2007 la sua popolazione ammontava a circa 4,3 milioni di persone. Economia Amburgo è una delle capitali dell’economia tedesca, ed ha il più alto reddito pro capite della Repubblica Federale, pari a quasi il doppio della media europea. Il più significativo contributo all’economia della città stato è costituito dal Porto di Amburgo, secondo solo a quello di Rotterdam in Europa e al nono posto nel mondo con un trasporto di 9,8 milioni di TEU e 134 milioni di tonnellate di merci nel 2007. Dopo la riunificazione tedesca Amburgo ha recuperato la parte orientale del proprio hinterland, diventando di gran lunga il porto più in crescita di tutta Europa. Il commercio internazionale è anche il motivo di un gran numero di consolati nella città. Benché situato a 110 km dalla foce dell’Elba, è considerato un porto di mare per la sua capacità di accogliere grandi navi transatlantiche. Insieme a Seattle e Tolosa, Amburgo è una delle principali sedi dell’industria aerospaziale civile. L’Airbus, che ha uno dei suoi due impianti di produzione ad Amburgo, ed altre aziende del settore, impiegano oltre 30.000 persone della città e dintorni. Un altro settore di particolare importanza è quello dei media. Hanno qui la loro sede alcune delle più grandi aziende di editoria tedesche: Axel Springer AG, Gruner + Jahr, Heinrich Bauer Verlag, Der Spiegel e Die Zeit. Circa la metà delle riviste e dei quotidiani tedeschi a diffusione nazionale vengono prodotti ad Amburgo. Esistono anche numerose aziende nel campo della musica (la più grande fra le quali è la Warner Bros Records Germania) e di Internet (ad esempio le filiali tedesche di AOL, Adobe Systems e Google hanno sede qui, come compagnie Web 2.0 quali Qype). L’industria pesante include la produzione di acciaio, alluminio e la più grande fabbrica di rame d’Europa e numerosi cantieri navali come quelli di Blohm + Voss. Fra le altre aziende di interesse, hanno la loro sede la Tesa (leader mondiale nella fabbricazione di materiali adesivi) e il Gruppo Körber. Ad Amburgo si trova il DESY (acronimo per “Deutsches Elektronen-Synchrotron”), uno dei più importanti centri mondiali per la ricerca sulla fisica delle particelle. Fino al giugno 2007 vi era in funzione il più grande anello di accumulazione elettrone-protone mai costruito. All’interno di questo centro di ricerca è presente la prima sorgente di radiazione Free-Electron-Laser nella regione dei Soft X-Ray costruita, il “Free Electron Laser in Hamburg” (FLASH), entrato in funzione nel 2005. Presso il DESY è in costruzione il Free Electron Laser europeo (European XFEL), operante nei raggi X, che si prevede sarà operativo a partire dal 2015. Nella città ha sede anche il GIGA (German Institute of Global and Area Studies), un altro importante istituto di ricerca.

Autore: Marino Centrone
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