Storie per sopravvivere
Il racconto
Il racconto che presento in questo numero è inedito. Anni fa inventai la figura del Barbone Narratore, un barbone che, in un futuro ahimè non troppo lontano, va in giro elargendo storie a chiunque gliene chieda. Il primo racconto è apparso nell’Antologia LA RISATA DI DIO ed. Solfanelli Chieti, si intitola Narrando ed ha vinto – primo assoluto - una passata edizione del Premio Città di Andria per la narrativa. Questo è il secondo racconto su questo personaggio e un terzo dev’essere sepolto da qualche parte tra le mie infinite carte. Prima o poi metterò il cappello da speleologo con la lucetta e lo ritroverò. Prima o poi.
La Risata di Dio e reperibile presso la libreria Corto Maltese di via Margherita di Savoia insieme al altre mie pubblicazioni.
D.A.
"Ehi, tu, vieni qui."
Il Barbone si girò lentamente, era... era sorpreso, non ci si rivolgeva ad un barbone-narratore con quel tono.
"Vieni qui ho detto."
Il vecchio si mosse guardando attentamente dove metteva i piedi, la strada era stata resa viscida dalle ultime piogge saponose e dalle mille 'cose' che vi venivano gettate sopra. "Cosa vuole?"
"E cosa si può volere da te?"
"Una storia?"
"No," continuò la donna con sarcasmo "la Presidenza della UNI MINERAL WOTHAR."
Il Narratore la osservò bene, doveva aver circa quarant'anni, un tempo era stata una bella donna, ma il livore le deformava il volto e incattiviva il cuore. "Per te?"
La donna rise sguaiatamente: "Sono ghiaccio duro, io, le tue storie mi lascerebbero del tutto indifferenti."
Il Barbone-Narratore si lasciò sfuggire un sorriso. Ne aveva sentite tante di stupidaggini, ma poi, dopo una sua storia i 'cuori di ghiaccio' si erano liquefatti. "A chi dovrei raccontare la mia storia?"
Lei chinò il capo, poi lo risollevò: "A mia figlia. Sta morendo."
Il vecchio ebbe un attimo di incertezza. La sua esistenza aveva un'unica ragione, quella di raccontare storie in quel mondo che aveva visto da tempo l'alba del duemila e che era precipitato in un baratro di disumanizzazione. Ma a volte si voleva troppo da lui, si cercava l'impossibile. "Di cosa muore?"
"D'inedia. Non vuole più saperne di vivere. E' immobile da dieci giorni, non mangia e la tengo su con qualche flebo. Vuole...morire."
"Non so se potrei farlo."
"Non hai scelta, bastardo, o lo fai o ti cavo gli occhi." Gli si era messo davanti a muso duro e lo fissava con occhi di fuoco.
Il Barbone Narratore scosse il capo ed entrò nella tenda. C'era in terra un pagliericcio fatto di stracci di diversissima natura e su di esso, straccio sugli stracci, una bambina. Respirava in maniera impercettibile e aveva lo sguardo fisso al soffitto. Immobile.
"C'era una volta," esordì il Barbone "una ragazzina che passava gran parte del suo tempo davanti ad uno specchio. Si ammirava, si atteggiava, arrivava persino a sfiorare la fredda superficie con le labbra. Era la disperazione dei suoi cari che non riuscivano in alcun modo a tirarla via dallo specchio. Poi un giorno una mano sbucò dallo specchio e fece un piccolo gesto alla ragazzina che accettò l'invito e l'afferrò. Senza quasi accorgersene si trovò dall'altra parte.
Quando suo padre entrò nella stanza vide due figlie nello specchio, invece che una nella stanza e la sua immagine riflessa. Sgranò gli occhi e chiese aiuto. Giunsero in tanti, ma nessuno sapeva cosa fare. Oltre la fredda superficie le due bambine supplicavano d'essere tirate fuori da quell'incubo. Entrambe. In un punto lo specchio pareva come acqua limpida, che ogni tanto ondeggiava e formava cerchi concentrici quando una delle due metteva fuori una mano. Eccomi, dicevano a turno, tirami fuori, papà. Per due volte l'uomo tese il braccio a sfiorare le mani e per due volte lo ritrasse. Come poteva esser certo di quale fosse la sua vera figlia? Capiva che se ne avesse tirata fuori una, per l'altra non ci sarebbe stato più nulla da fare. Era sconvolto, poi si rese conto che riconoscere la sua vera figlia sarebbe stato estremamente facile."
La fanciulla si mosse sul pagliericcio, ma per gemere e per cercare come una posizione migliore. Il Barbone Narratore non le fece caso, sapeva che da qualche parte, nell'inconscio le sue parole giungevano, ma sapeva anche che per il momento non avrebbe sortito alcun effetto.
"Tese nuovamente la mano e afferrò quella di una delle ‘due’ figlie che gliela porgevano. Poi la lasciò e fece lo stesso con la seconda. Non ebbe esitazioni, con un gesto deciso la tirò fuori. Notò che lo specchio era diventato rigido come avrebbe dovuto essere, mentre con immensa gioia sentì tra le braccia il caldo respiro della sua bambina.
‘Come hai fatto’ gli chiese qualcuno.
E lui sorridendo rispose: ‘La sua mano… era calda.’"
Il Barbone scostò la tenda e uscì.
"E questo sarebbe tutto?" La donna lo fissava bieca.
"No, è solo che lì dentro si respira aria di morte."
"Non ha interessato molto la mia piccola la tua stupida storia."
"Non era per lei, ma per te."
La donna fece una smorfia: "Non ho bisogno di storie, io."
"Qual è la morale, donna?" Lei fece per girarsi e andar via. "Non hai idee, vero?" Insisté il Barbone.
"So bene cosa significa questa tua storia. Che ciò che fa la differenza tra un uomo e la sua immagine è il calore umano."
"Quanto ne hai dato a tua figlia? Per lei sei stata vera o soltanto una immagine speculare?"
"Non ne avevo per me, come avrei potuto sprecarne?"
Il Barbone Narratore scosse il capo: "Ciascuno di noi è due volte se stesso. Buono-cattivo, caldo-freddo, immagine-sostanza. Cosa sei stata per tua figlia?" Non aggiunse più nulla. Le fece un cenno imperioso ordinandole di restar fuori e tornò nella cupa tenda. La ragazzina era sempre nella stessa posizione, con gli occhi a fissare un punto indefinito.
"C'era un uomo buono, ma offeso mille volte dalle sventure della vita. Non aveva mai fatto male a nessuno, eppure pareva che tutte le disgrazie capitassero soltanto a lui. Un qualsiasi altro uomo avrebbe inveito contro la sventura e contro Dio, l'avrebbe offeso e maledetto. Ma lui era certo che vi fosse una giustizia cosmica e che prima o poi avrebbe avuto il compenso per tanta sofferenza. Poi morì. E anche allora ci fu uno sbaglio. Fu scambiato per un altro uomo, feroce criminale, e, mentre questi andava in vece sua in Paradiso, lui finì all'Inferno a scontare una pena non sua.
Avrebbe, un qualsiasi altro essere, urlato e gridato la propria rabbia. Ma lui pensò che in questo modo forse avrebbe davvero meritato l'Inferno. E pensò anche che aveva un solo modo per vincere contro il destino avverso: reagire. In fondo, prima o poi, era certo, ci sarebbe stata la giustizia cosmica anche per lui. A danno di quel Dio che aveva incredibilmente sbagliato."
La fanciulla si mosse. Lui si accorse che lo sguardo lo aveva sfiorato, un attimo soltanto un attimo per poi tornare alla volta, ma sembrava meno perso nel nulla. Il Barbone Narratore sentì scaldarsi il cuore e continuò: "Quell'uomo tanto sventurato da finire per sbaglio all'Inferno potrei essere io, perché, l'Inferno è qui, sulla terra, e pensare anche che molti di noi sono all'Inferno per sbaglio. E penso, infine, che l'unico modo per sconfiggere l'Inferno è non farsi sconfiggere, non odiare questa specie di vita, ma trasformarla, lentamente, facendo qualcosa, una qualsiasi piccola cosa per mutarla.
Dico qualsiasi, persino sopravvivere, in barba ai demoni la fuori che sarebbero felici della nostra morte." Vide ancora lo sguardo muoversi, ma questa volta fermarsi per almeno un secondo sui suoi occhi antichi. Sperò, ma poi tutto tornò come prima.
Uscì dalla tenda. Aveva il cuore in fondo alle scarpe. Bevve un lungo sorso di acqua minerale in una bottiglia avvolta in una busta sdrucita che portava in tasca e fece per andar via. E incrociò lo sguardo della donna. Era non più furente... pareva... ecco, arresa. Lui chinò il capo. Ma cosa si aspettavano tutti da lui, i miracoli?
"Mamma," una voce flebile dalla tenda "ho... fame... "
La donna sgranò gli occhi. Traballò e il vecchio Barbone fece appena in tempo a sostenerla. Quando lei risollevò lo sguardo aveva gli occhi lucidi. Mosse le labbra ma non le uscì una parola.
"Ti sento calda, donna."
"Giuro... giuro che lo sarò... d'ora in poi."
Il Barbone Narratore emise un profondo sospiro.
Già, qualcosa si poteva fare per l'umanità. Anche all'Inferno.
Ma cominciando da se stessi.
Si girò, tornò sui suoi passi e il pianto alle sue spalle divenne musica.
Donato Altomare