NAPOLI - 21.9.2008
Oggi, ad un secolo di distanza dalle prime rilevanti formulazioni del federalismo meridionale in chiave infranazionale, dal Mezzogiorno si ricomincia a riflettere sui temi del federalismo, del regionalismo e dell'autonomia comunale. Tuttavia, sarebbe del tutto erroneo appiattire acriticamente l'attuale dibattito storiografico e teorico-politico sull'ipotesi di riforma dello Stato italiano in senso federale sulle posizioni del federalismo meridionalista, in quanto il quadro socio-economico e politico-culturale di riferimento è profondamente mutato tanto sul piano interno quanto su quello internazionale.
Sul piano interno, si deve osservare che, pur permanendo un assetto politico-istituzionale centralizzato con decentramento amministrativo di tipo regionalista, l'Italia è una Repubblica parlamentare e non più una monarchia costituzionale. Inoltre, il nostro Paese alle soglie del XXI secolo si è collocato tra le prime sette maggiori potenze industriali, mentre alla fine dell'Ottocento era appena all'inizio il “decollo industriale” di una società ancora prevalentemente agricola.
Alla nascita del Partito socialista ed alla progressiva diffusione ed affermazione del paradigma marxiano della lotta tra classi, paradigma variamente interpretato, ora come supporto ad istanze riformiste, ora in chiave rivoluzionaria, oggi fa da contraltare la crisi delle forze politiche di Sinistra e dei suoi tradizionali modelli culturali di riferimento.
Alla società agricola e religiosa dell'epoca oggi si contrappone una società complessa, industrializzata e quasi del tutto secolarizzata.
Sul piano internazionale sono avvenute altre profonde trasformazioni, in parte riassumibili, nel passaggio dallo Stato-nazione alla sua progressiva crisi e trasformazione. Infatti, attualmente lo Stato-nazione sembra subire un duplice processo di erosione dei suoi poteri tradizionali verso le forme politiche sopranazionali e verso forme di autogoverno locale a base amministrativa o a base etnica e culturale.
In altri termini, gli attuali processi di globalizzazione creano interdipendenze, che limitano gli Stati-nazione sul piano dell'esercizio della loro sovranità politica, ed inoltre contribuiscono ad esportare e ad imporre modelli culturali artificiali, distruggendo culture tradizionali, entro le quali si collocava l'orizzonte di senso degli individui.
All'interno degli attuali processi di globalizzazione si inserisce anche il coevo processo costituente europeo, che sembra caratterizzarsi per: 1) il moltiplicarsi degli apparati burocratici; 2) l'applicazione del principio di sussidiarietà non a livello istituzionale ma tra pubblico e privato; 3) l'accentramento dei poteri di politica estera in mani forti e solitarie. In sostanza, sembra configurarsi un modello singolare di federalismo sovranazionale, che non si caratterizza per la realizzazione di un autogoverno comunitario, ma per l'esaltazione dell'unicità di comando: il sovrano monarca di altre epoche.
Infine, il contraltare dei processi di globalizzazione sono i processi di glocalizzazione, che contribuiscono ad erodere gli Stati-nazione dal basso, sfociando da un lato nel locale, dall'altro nel regionalismo. Quest'ultimo esalta e cerca di costruire dell'entità politiche etnicamente omogenee, intolleranti al proprio interno ed aggressive all'esterno, richiamandosi demagogicamente al concetto di autogoverno.
In Italia, tale tendenza è variamente rappresentata dalle Leghe, che hanno posto con forza il tema di un ambiguo federalismo nell'agenda politica nazionale.
Nell'ambito degli attuali processi di de-nazionalizzazione del Paese, sembra essere entrato definitivamente in crisi il meridionalismo classico, sia rivendicazionista sia dipendentista, incentrato sul paradigma accentratore. Il meridionalismo tradizionale, tanto nella variante desanctisiano-spaventiana quanto in quella nittiana, nell'Ottocento abbandonò le precedenti posizioni statalnazionali in cambio dell'assegnazione agli intellettuali meridionali della funzione d'intellettuali organici al nuovo Stato nazionale. Lo scambio Nord-Sud si cementò anche a livello socio-politico. Nel corso del Novecento, il Mezzogiorno chiese ed ottenne trasferimenti di risorse e flussi orientati di spesa pubblica, il centro a sua volta, utilizzò in funzione di quella domanda un sistema amministrativo e una politica fiscale che limitò drasticamente il peso della finanza locale e l'autonomia degli stessi Enti locali. In altri termini, i ceti dirigenti locali in cambio del consenso allo Stato italiano ottennero risorse grazie alla quali riuscivano a legittimare il proprio potere.
All'interno di questo quadro di riferimento, il meridionalismo era progressivamente diventato un'ideologia dello Stato centralizzato, da difendere ad oltranza anche quando sarà chiaro che il rapporto tra l'intervento pubblico e le classi dirigenti locali aveva prodotto delle profonde distorsioni nel Sud d'Italia. Ma, oramai, le condizioni che avevano reso possibile quel patto sono profondamente mutate sia per l'incipienza degli attuali processi di denazionalizzazione, sia per le trasformazioni che nell'ultimo secolo hanno attraversato il Mezzogiorno. Trasformazioni che, oramai, ne rendono obsoleta l'immagine di omogenea arretratezza. Infatti, sia una serie di ricerche empiriche, sia studi comparativi a livello europeo, hanno evidenziato l'attuale posizione intermedia dell'economia meridionale. Così, si è scoperto che il Sud d'Italia non è affatto, e non lo è mai stato, una regione compatta ed omogenea, bensì è una realtà variegata ed articolata, in cui aree sofferenti e relativamente arretrate convivono insieme ad aree in sviluppo.
Ed è proprio sugli aspetti innovativi del Mezzogiorno che oggi si pone l'accento per elaborare una prospettiva federalista meridionale. Certo, sino ad oggi in riferimento a queste tematiche, il Sud non ha fatto sentire la propria voce, probabilmente sia per la sua diffidenza nei confronti della Lega, sia per le resistenze di quelle soggettività che permangono ancorate alle politiche assistenziali, sia per l'estraneità ad un approccio istituzionale incentrato sulle Regioni. In realtà, sembra che anche nel Mezzogiorno siano presenti nuove realtà sociali, economiche, politiche e culturali a partire dalle quali si potrebbe rilanciare un percorso federalista, basato sull'autonomia dei Comuni e delle Province. In questo modo, si intende criticare un processo di federazione calato dall'alto, che risponde esclusivamente alle esigenze di autoriforma del ceto dirigente e burocratico, a discapito di un processo di mobilitazione conflittuale, che contribuirebbe a forgiare la lealtà nei confronti delle nuove unità politiche, senza, tuttavia, mettere in discussione l'unità nazionale.
In sostanza, si tratta di porre il problema del rapporto tra federalismo e Mezzogiorno non a partire da una prospettiva d'ingegneria costituzionale, astratta e fallimentare, ma a partire da una prospettiva storico-politica e socio-economica, attenta ai processi di trasformazione oggi in atto nel Sud d'Italia. Il federalismo dovrebbe diventare, così, l'espressione di una fase costituente materiale, in parte già in atto, caratterizzata dal paradigma dell'autonomia per lo sviluppo. Un'autonomia delle città, capace di esprimere e comunicare progetti e bisogni anche nel Mezzogiorno, sfatandone l'immagine stereotipata di un Sud immobile, familistico ed incivile. Infatti, i soggetti istituzionali sui quali si basa l'attuale processo costituente sembrano essere le Città ed i Comuni, che rivendicano una sempre maggiore autonomia nel senso di assumere e realizzare determinati compiti.
Alcuni degli elementi caratterizzanti l'attuale dibattito sul federalismo visto dal Mezzogiorno, ossia l'esigenza di fondarlo concretamente sia sulle nuove soggettività socio-economiche e politico-culturali - onde favorire il complessivo progresso sociale, economico e civile del Meridione senza, tuttavia, isterilirlo in logiche economistiche - sia sulla critica nei confronti di un approccio riduttivisticamente ingegneristico-istituzionale, di contro ad una mobilitazione partecipativa dei cittadini, richiamano due aspetti precipui della tradizione federalista meridionale di fine Ottocento, che furono chiaramente formulati da Gaetano Salvemini (foto): la centralità dell'autonomia comunale da un lato, e il radicamento dei percorsi e dei progetti d'innovazione politico-istituzionale su soggettività sociali effettivamente interessate alla loro realizzazione dall'altro. Da qui, la necessità di recuperare storiograficamente quella tradizione di pensiero e di rielaborarla criticamente alla luce delle istanze contemporanee.
Salvatore Lucchese