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Resistere usque ad sanguinem
15 dicembre 2010

È fresco di stampa il volume collettaneo “Gaetano Salvemini. Una vita per la democrazia e la libertà”, curato da Marco Ignazio de Santis, illustre collaboratore di “Quindici”. Esso racchiude, con integrazioni e appendici, gli Atti del Convegno di Studi tenutosi a Molfetta il 19, 21 e 23 novembre 2007, per celebrare il cinquantenario della morte. L’edizione è dovuta alla Associazione Elena e Beniamino Finocchiaro, al Centro Studi Molfettesi, e al Movimento del Buon Governo, e della Democrazia Partecipata. L’illustrazione di copertina è di Vittoria Facchini, la stampa del Nuovocentrostampa. Elisabetta Mongelli, Angela Amato e Leonardo Minervini hanno curato l’organizzazione generale del Convegno e seguito poi il lungo e complesso iter della pubblicazione. Quella di Gaetano Salvemini è una delle fi gure capitali nell’orizzonte storiografi co e politico del Novecento italiano. Lo squallore del nostro presente, lo spettacolo indegno off erto quotidianamente da una parte della nostra classe dirigente, impongono la costante difesa di quei valori che sostanziarono la nostra Costituzione, e che videro in Salvemini uno dei loro più strenui difensori. Il suo Magistero, oggi più che mai, diventa quindi di inalterata vitalità, oltre che di scottante attualità. In questo senso, non possiamo che plaudere a questa ultima iniziativa, e ringraziare tutti coloro che, con studio e costanza, l’hanno resa possibile. Apre il volume il corposo saggio del curatore, professor Marco Ignazio de Santis: “Le elezioni politiche del 1913 nel Collegio di Molfetta”. Frutto di un lungo lavoro di ricerca e consultazione di tutto il materiale a stampa disponibile, monografi co e seriale, e di numerosi inediti manoscritti, il saggio ripercorre minuziosamente tutta quella vicenda elettorale, che giustamente fu defi nita “portentosa”. Le preoccupazioni di Giolitti per l’imprevedibilità del risultato del primo suff ragio allargato; l’anomalia molfettese con un governo repubblicano consolidato e con un candidato governativo, Pietro Pansini, conosciuto e stimato; la mobilitazione delle associazioni “sovversive” a favore del Nostro e le connesse rivendicazione lavorative bracciantili e operaie; le diffi coltà di una competizione con rilevanti caratteristiche interclassiste. Tutto questo, come il prodromo di una tempesta che si addensa minacciosa sulla nostra città. E poi ancora: l’ambivalente posizione della chiesa locale, con il malfermo arroccamento su di un “non expedit” a maglie molto larghe, attraverso le quali fi ltrano malcelati appoggi al Pansini, contraddetti, peraltro, dal coraggioso atteggiamento di alcuni sacerdoti; il proliferare di manifesti e fogli volanti delle opposte fazioni; il soccorso e la testimonianza prestata a Salvemini da numerosi esponenti della cultura e della stampa nazionali. E fi nalmente, il 26 ottobre 1913, quella che Ugo Ojetti, in un celebre articolo di denuncia apparso sulla prima pagina del Corriere della Sera del 6 novembre successivo, defi nì una “Domenica di Passione”. Gaetano Salvemini fu sconfi tto da Pietro Pansini, e questo si sa. Quello che invece si sa meno, sul quale spesso si sorvola, e che invece de Santis descrive con documentata precisione, è l’intervento massiccio e violento dello Stato, a favore del candidato governativo. Il prefetto di Bari Giovanni Gasperini, ed il commissario di Pubblica Sicurezza Nicola Ippolito, avvalendosi della truppa e di altri mezzi, “non videro” le innumerevoli violenze della teppa pansiniana, inventarono quelle dei salveminiani, che erano in realtà deboli reazioni di difesa e rivendicazioni di diritti violati, ritardarono la consegna dei certifi cati elettorali e sabotarono l’accesso ai seggi di elettori preventivamente individuati. Insomma quei due fi guri, su precise disposizioni ministeriali, cioè giolittiane, contribuirono egregiamente a riportare in Parlamento il professor Pietro Pansini. Il saggio di de Santis, scritto peraltro con grande serenità di giudizio, consegna defi nitivamente alla storia della nostra città una vicenda che, aldilà dei numeri, estorti con la violenza, ebbe un unico autentico vincitore morale, portato in trionfo dal popolo, nell’immenso corteo del primo novembre 1913: icona indelebile del nostro passato, e viatico per il presente. Se a Molfetta le forze contrapposte tendevano quasi a collimare, a Bitonto l’intervento massiccio degli agrari scatenò una violenta lotta di classe, a danno soprattutto dei contadini. Salvemini, e un manipolo di borghesi illuminati, primo fra tutti il pedagogista Giovanni Modugno, adamantina fi gura di cattolico democratico, furono sopraff atti dalla squadracce di Domenico Cioff rese, giolittiano, e la lotta fu impari sin dalle prime battute. Nicola Pice ricostruisce quelle settimane drammatiche in pagine che vanno meditate, per capire quei giorni, ma anche i decenni che seguirono, perché la borghesia, quando ha paura, trova sempre di volta in volta le sue armi, diverse nelle forme, identiche nei fi ni: mazzieri, bombe, uomini della Provvidenza. E ancora oggi, si leggono con sdegno i due articoli che sullo scempio di Bitonto ebbe a scrivere sul “Secolo” dell’11 e 26 novembre, Luigi Locatelli: “il governo ha trattato le Puglie come una colonia abitata da popoli di razza inferiore… non bisogna né inorridire, né tornare indietro, ma resistere usque ad sanguinem… opporre violenza a violenza, ricacciare nelle fogne la malavita e i suoi condottieri”. Elena Germano Finocchiaro, nel suo contributo “Gaetano Salvemini e Edoardo Germano: i contrasti e gli incroci di due vite parallele”, traccia un breve profi lo biografi co del padre, impegnato quale medico, nel soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto del 1908, ai colerosi nell’estate del 1910, ai soldati durante la Grande Guerra, e infi ne per l’erezione del Preventorio antitubercolare. Una fi gura di alto prestigio, e di provata onestà. Germano, nel 1913, fu esponente di spicco del partito pansiniano, e redasse una “Relazione sulle elezioni del 1913 a Molfetta”, parzialmente edita dal repubblicano Napoleone Colajanni nel novembre del 1913. Possiamo ora rileggerla in questo volume, nella versione originale riveniente dall’archivio familiare della signora Germano Finocchiaro. Si tratta, in sostanza, di un tentativo di controbattere puntualmente alla testimonianza accusatoria dell’Ojetti. Germano agì in buona fede, ma probabilmente non percepì subito la collusione della forza pubblica con la teppa prezzolata dalla camarilla repubblicana, e quando se ne avvide non potè fermarla, né volle poi sconfessarla. Nel 1966 Feltrinelli pubblicò gli “Scritti sulla Scuola” di Salvemini, curati da Lamberto Borghi e Beniamino Finocchiaro. Il professor Marino Centrone (“La società della conoscenza di Gaetano Salvemini”) propone una lettura di quest’opera fondamentale della pedagogia del Novecento, attraverso una accurata scelta di brani. Dalle ceneri del clericalismo e del vuoto nozionismo positivistico, deve nascere una scuola nuova, aperta a tutte le avventure della conoscenza, accessibile a tutte le classi, non solo formalmente laica, ma moralmente e razionalmente orientata alla promozione della convivenza civile e democratica. Sono pagine bellissime e di bruciante attività. Oggi, tra gli studenti e i cittadini tutti che protestano contro lo scempio della scuola pubblica, esse potrebbero tranquillamente comparire sugli striscioni e i manifesti che scuotono il mortifero torpore di questi anni. Pasquale Minervini (i cui scritti i lettori di “Quindici” ben conoscono e apprezzano), profondo conoscitore dei carteggi salveminiani, pubblica con la consueta acribia e con un ampio e puntale apparato di note, la cospicua corrispondenza del Nostro con sua sorella Annetta, rimasta sempre a Molfetta, nubile, morta il 22 febbraio 1955. La donna visse sola ed emarginata durante il fascismo: dopo la Liberazione, le furono restituiti onorela sostenne per decenni moralmente e materialmente, sopportando con grande aff etto e comprensione continue recriminazioni e richieste di sostegno economico. Tra le preziose informazioni fornite da queste carte, veniamo a sapere che, per ben due volte, nell’aprile del 1941 e nel novembre del 1942, il Comune di Molfetta rifi utò ad Anna il sussidio di assistenza “perché sorella del prof. Salvemini”. In quell’occasione i nostri zelanti amministratori riuscirono a passare per iniqui in prima istanza, e per fessi in seconda, perché, su ricorso della poveretta, il Prefetto di Bari dispose l’immediata corresponsione dell’emolumento. Gli Atti comprendono, infi - ne, due appendici ricche di varie testimonianze e contributi che, purtroppo, non ho spazio per descrivere: costituiscono, comunque, parte integrante e qualifi cante della pubblicazione. Se posso esprimere alcune considerazioni personali su questo volume, devo dire che le pagine che più mi restano impresse sono quelle sulla campagna del 1913, e soprattutto quei passi dove appare con più evidenza la connivenza delle forze dell’ordine, cioè dello Stato, con i mazzieri pansiniani. E mi sovvengono gli anni di gioventù, quando, pur stimandolo per il suo antifascismo e per la sua coerenza morale e onestà, defi nivamo con supponenza il Nostro un mero “riformista”. E a sostegno delle nostre tesi, ricordavamo che per ben tre volte lo stato borghese (fascista o liberale, per noi, allora non v’era diff erenza) lo aveva vinto: nel 1913 con Giolitti, nel 1924 con Mussolini, nel 1948 con la Democrazia Cristiana. Molti anni dopo, ebbi a leggere alcune sue pagine su questo tema. In verità, anch’egli non aveva alcuna simpatia per lo Stato in quanto tale (checché se ne dica, l’impronta marxista restò in lui indelebile), ma riteneva d’altra parte che esso, così come si era andato formando in Europa dopo la Rivoluzione Francese, con tutti i suoi limiti e la sua precarietà, ma anche e soprattutto con la sua costante tensione democratica, era quello che storicamente aveva assicurato un minimo di libertà e benessere al maggior numero di cittadini. Era una tipica argomentazione salveminiana, ma, come sempre, era giusta.

Autore: Ignazio Pansini
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