Referendum contro la privatizzazione dell'acqua l'Azione Cattolica si interroga
Due sono stati gli incontri informativi sul referendum contro la privatizzazione dell’acqua (12 e 13 giugno prossimo), promossi dall’Azione Cattolica della Diocesi di Molfetta- Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, per capire il valore dell’acqua come bene pubblico non economico e spiegare i quesiti referendari. Con il referendum «si vogliono eliminare l’art. 23 del Ddl n.112/08 e il Decreto Calderoli, che privatizzano e mercifi cano l’acqua», ha spiegato durante l’incontro il relatore dott. Rosario Lembo, direttore dell’Università del Bene Comune (raccolte 1,4 milioni di fi rme in campagna referendaria). Il primo quesito del referendum abroga l’art. 23 del Ddl n.112/08, il secondo l’art. 154 del D.Lgs 152/06. Dunque, l’intento dei referendum è fermare la mercifi cazione e la privatizzazione dell’acqua: nessun profi tto personale dalla sua gestione monopolistica (il privato carica sulla bolletta un 7% di remunerazione del capitale investito). Infatti, l’art. 23 svende ai privati acqua, trasporti pubblici e rifi uti, con il conseguente aumento delle bollette (+20%) e la riduzione degli investimenti. Privatizzare non è sinonimo di più investimenti e meno sprechi, perché «il privato segue la logica di mercato del “più consumi, meno paghi” e “più vendi, più guadagni” - ha aggiunto Lembo - nonostante il fronte del “no” sia convinto che si privatizzi solo una parte della gestione». Il privato non offre garanzie di trasparenza, secondo Lembo. «Uscita la politica dall’Acquedotto Pugliese, ora gestito da soli tecnici, le perdite sono state ridotte al 35%, il personale è diminuito del 15% e sono stati investi quasi 200milioni di euro». Dopo la Legge Galli del 1936 è iniziata l’era delle privatizzazioni degli acquedotti, passate da aziende municipalizzate a spa, fi no alla “petrolizzazione” dell’acqua dei giorni nostri. Solo nel luglio 2010 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha riconosciuto il diritto all’acqua, su proposta della Bolivia. In Puglia, la situazione è ancora in fase di stallo,infatti, è ancora negli archivi regionali, in attesa di approvazione, una legge, proposta dall’UBC, che trasforma l’Acquedotto Pugliese in ente di diritto pubblico. L’acqua dovrebbe essere il bene per eccellenza, ma oggi, in tutto il mondo, non è un bene accessibile a tutti, nemmeno garantito come diritto umano e universale. La privatizzazione è una manovra a favore dei privati e delle grandi multinazionali, secondo Lembo, da addebitare alla crisi d’identità. Il cittadino è stato trasformato in consumatore obbligato, con la convinzione che l’acqua imbottigliata sia sicura e di qualità. Ma Michele Loporcaro del Comitato Pugliese «Acqua bene comune» ha ricordato che l’acqua di rubinetto è più controllata, perché più esaminata e soprattutto perché non a contatto con la plastica che rilascerebbe (secondo alcuni studi) il cancerogeno Bisfenolo A. Altro dato signifi cativo, riportato dal relatore durante l’incontro è lo spreco: 15 litri di acqua per produrre una bottiglia di plastica, senza contare lo smaltimento, e 300 euro il metro cubo per l’acqua in bottiglia a confronto con 1,40 euro di quella del rubinetto. L’Italia infatti è il primo paese al mondo per il consumo di acqua in bottiglia, nonostante il 96% degli italiani abbia in casa acqua di buona qualità. Solo la gestione pubblica del servizio può dunque responsabilizzare il cittadino, abituato in democrazia a derogare o esternalizzare il proprio potere di controllo a politici e privati, assuefatto da una accomodante omertà intellettuale. Il referendum è l’occasione per riappropriarsi della dignità di cittadini e del concetto di democrazia, per evitare che un bene pubblico diventi un prodotto da supermercato. Sul prossimo numero di Quindici, in edicola il 15 maggio, le interviste ai rappresentanti politici locali in merito al referendum.
Autore: Giovanni Angione