Quel paese e altri luoghi
I nostri detti memorabili
Il cristianesimo non ha determinato una rivoluzione solo nell'àmbito della religione, ma anche nel campo delle imprecazioni. Per quanto paradossale possa sembrare l'affermazione, basta fare qualche confronto per convincersi della verità dell'assunto.
Se i latini esclamavano Hercle! (per Ercole!), gli italiani dicono (pardon) Cristo! o Cribbio!, che è la stessa cosa, perché Cribbio è alterazione fonetica eufemistica di Cristo. Se i romani gridavano Iuppiter! (per Giove!), nel Bel Paese si blatera (chiedo venia) per Dio!, perdinci! o perdiana!, che si equivalgono, in quanto la seconda e la terza forma sono parafonie della prima.
Non devono trarre in inganno nemmeno imprecazioni come Porco zio! e Porca madosca!, perché zio e madosca, parlando col dovuto rispetto, sono alterazioni fonetiche rispettivamente di Dio e Madonna. Se i latini esclamavano I in malam crucem! o Abi in malam rem! (Va' in malora), gli italiani preferiscono urlare: Va' al diavolo! Andare al diavolo o andare a casa del diavolo significa peraltro “finire all'Inferno”, che è la destinazione peggiore per un credente cristiano.
E il dialetto che dice in proposito? Il dialetto molfettese conosce l'espressione scì fing'a la caséddë du diàvëlë (andare fino al trullo del diavolo), che vale “andare in capo al mondo” o meglio “finire nella dimora infernale”, che si suppone remota, isolata e terribilmente disagevole.
Quando prevale la decenza o la convenienza, anziché mandare al diavolo o all'inferno, si preferisce mandare a quel paese. In altre parole quel paese è un eufemismo religioso che maschera l'oltremondo diabolico dei dannati. Parallelamente si registra anche un'allusione malaugurante di tipo sessuale: quel paese, cioè, è anche la biblica Sodoma. Lo testimoniano senza ombra di dubbio imprecazioni come (absit iniuria verbis) vaffanculo!, va' a farti fottere!, va' a dar via il culo (a Milano: va' a dar via el cül; va 'l ciapà in el cül) o va' a farti buggerare!, dove buggerare, sia detto per inciso, prima che “imbrogliare, tradire, guastare”, significa “praticare la sodomia”, in quanto nel medioevo genti bulgare abbracciarono l'eresia patarina e così l'etnico Bulgari (Bugeri nel secolo XIII) diventò prima sinonimo di “eretici” e poi di “sodomiti”.
Il vernacolo di Molfetta, accanto al volgare e banale “vaffa”, elenca tutta una serie di improperi più o meno coloriti. Si va dagli eufemistici va' ffà mbaccë o nêsë! (va' a stuzzicare il naso!) e va' ffà mbréllë (va' a far ombrelli!) all'ormai disusato va' ffà mbaccë o sckùëfëlë! (va' in rovina!). Un altro bell'esempio del passato è va' ffà u furnë ad Ortë! (va a fare il forno a Orta!), dove Orta è chiamata in causa per la sua rinomata produzione granaria. La vetustà del detto è garantita dal vecchio nome del centro rurale, che solo verso la fine del 1862 venne chiamato Orta Nova. A chi si comportava in modo infantile, si diceva pure va ssciùëchë o pëzzìddë! (va' a giocare al pozzetto con le pietroline o con le biglie).
Molto carica di aggressività sessuale è la bestemmia fattìuuë calà do mónëchë! (fattelo calar dal monaco!), variante esplicita della più coperta esclamazione vattë fa bënëdàiscë! (va a farti benedire!), invito a farsi esorcizzare, che spesso si preferisce al più crudo vattë fa fòttë! (va' a farti fottere!), che ha la sua alternativa eufemistica in vattë fa fràiscë! (va' a farti friggere!). Più sornione è vattë fa òngë! (va' a farti ungere!), dal momento che si sottintende: con l'olio santo dell'estrema unzione.
Si passa quindi ai trivialissimi vatt'u pigghjë ngàulë o ind'o mêzzë! (va' a prendertelo in quel posto!), sovente sostituiti dal meno becero vatt'u pigghjë ê Nnêplë! (va' a prendertelo a Napoli!), dove si tira in ballo l'antica capitale regnicola. D'altra parte, per togliersi dai piedi qualcuno, bisogna mandarlo preferibilmente a Napoli o ad Acerra, cioè al paese di Pulcinella, visto che c'è pure il modo di dire mênnê o paìsë de Prëcënéddë o, come dicono in sede, mannà o paésë 'e Pulëcënèllë.
Quel Paese dunque, nella più ampia tradizione popolare, è nello stesso tempo l'Inferno, Sodoma e la Città di Pulcinella, vale a dire il Paese di Cuccagna, nella sua accezione positiva (Bengodi) e negativa (Regno della confusione e della buffoneria), senza dimenticare che paese significa mondo e che tutto il mondo è paese.
Il discorso potrebbe sembrare concluso, ma i dialetti conservano ulteriori sorprese. Esiste infatti qualche altro paese dove si possono mandare gl'importuni. A Molfetta si chiama Capazzùëpëlë, a Bitonto Capazzùppë e a Terlizzi Capazzùlë. Insomma, se qualcuno ci dà fastidio, possiamo sempre spedirlo là dove si sbatte pesantemente la testa.
Se i noiosi da smistare il più lontano possibile dovessero essere ancora troppi, esiste per loro u lùëchë dë zi Vattìnë (il fondo di zia Vàttene), il podere di Vattelappesca, collocato sui più incerti confini campestri, grazie all'equivoco tra Vattìnë 'Bettina' e vattìnnë 'vàttene'.
Altra topotesia di comodo è la mêssarì dë Tappa tappë (la masseria di Tappa in tappa), probabilmente irraggiungibile, in quanto lê mòrrë dë Tappa tappë (la masnada di Tappa in tappa) non è altro che un codazzo rumoroso e ingombrante, che non si sa dove vada e donde venga. Lo conferma la mêssarì dë Currë currë: cënguênda sëltatë e sëssênda têmmùrrë (la fattoria di Corri corri: cinquanta soldati e sessanta tamburi), un'altra frotta chiassosa e inconcludente in perenne e affannoso movimento.
Un altro luogo immaginario è la Gavëtatë, la terra dei nanerottoli, che presenta qualche somiglianza con il regno dei pigmei e con l'isola di Lilliput, mentre la capênnë dë Mêrchjónnë o dë zi Chjónnë (capanna di Melchiorre o di zio Chionne) può essere un qualsiasi rifugio improvvisato che richiami nebulosamente nei meandri mentali la casupola ormai introvabile di quell'illustre sconosciuto.
Può anche capitare che un sito reputato recondito e lontano dalla città (v. Scardigno, Nuovo lessico molfettese-italiano, p. 136), in realtà sia stato molto più vicino di quanto non si potesse pensare all'abitato o addirittura inglobato in esso. È il caso del chêndòënë dë Cola Valéstë (il cantone di Cola Balestra), nome - lievemente corrotto dalla tradizione orale - di un angolo della città vecchia, tra via Sant'Orsola e via Morte, che in effetti, ancora nel Sei-Settecento, si chiamava Cantone di Colavalente.
Anche la Tòrrë dë lë brëghêndë (Torre dei briganti), che può evocare leggendarie vicende di banditismo in remoti nascondigli boschivi o agresti, non è altro che la Torre Rotonda della Nepta vicina alla Prima Cala di Molfetta, ancora esistente agli inizi degli anni Sessanta del Novecento.
Se alla fine comunque gli importuni dovessero tornare alla carica, li si può tranquillamente spedire a ppizzë dë munnë (in capo al mondo), tanto nei paraggi c'è il nulla.
Autore: Marco I. de Santis