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Pulo: una lezione dal Neolitico Importante convegno nel vicino ex convento dei Cappuccini
15 dicembre 1999

Una coppetta di ceramica che ora dietro di sé ha più di 5.000 anni e una nitriera che ne ha soltanto 200: due passati, due momenti della storia che nel bene e nel male hanno segnato uno stesso luogo: il Pulo di Molfetta. Di qui è partito il convegno di studi tenutosi qualche settimana fa presso il viciniore convento dei padri Cappuccini: si è parlato di neolitico a Molfetta e nella Puglia, terra ricchissima di testimonianze preistoriche, ma anche di questo ingegnoso sistema di estrazione e lavorazione del salnitro di età borbonica, fin troppo imponente per essere stato adoperato solo per pochi anni, complice la immediata reazione delle lobbies napoletane degli estrattori, altrimenti danneggiati dal produttivo Pulo di Molfetta. E' singolare e forse curioso che con questi due momenti la storia torni a restituirci due casi di "sfruttamento" dell'ambiente Pulo, ovvero due modi, assai diversi per la verità, di vivere un medesimo luogo e di rapportarsi ad esso: più integrale l'uno, quello primitivo, pieno di ogni aspetto della vita quotidiana, eppure più rispettoso e discreto; viceversa l'altro, quello borbonico, più settoriale e più mirato, ma senza dubbio assai più invadente e aggressivo. Sembra ormai accertato che il "Pulo neolitico" non abbia quasi per niente toccato l'interno della dolina, ma si sia fermato sui suoi bordi: così confermano anche gli ultimi assai fruttuosi scavi effettuati l'attiguo fondo Azzollini, diretti dall’archeologa prof.ssa. Radina, che sembrano mettere in discussione anche alcune passate congetture formulate, per la stessa area di scavo, da Angelo Mosso, il precedente più autorevole in merito. Oggi si è in molti a sostenere che, per esempio, quello che era sembrato un percorso lastricato, fu in realtà un muro, forse di terrazzamento o di recinzione, legato comunque alla pratica agricola; o ancora, che di necropoli, così come ipotizzato da Mosso, non si possa parlare, visto che le sepolture risalirebbero a età diverse tra loro. Ai culti funerari primitivi sarebbero legati alcuni oggetti ornamentali rinvenuti, tra i quali ossicini forati e conchiglie. Sembra prova incontrovvertibile dell'altissima vitalità di Molfetta nella produzione di ceramica neolitica, la presenza ri-emersa di un focolare, di arnesi vari adoperati nella fase di lavorazione, e soprattutto di alcuni pregevolissimi prodotti finiti, ricostruiti dagli archeologi: gli ultimissimi scavi, in particolare, hanno portato alla luce non solo la "solita" ceramica impressa - quella che in molti studi del settore si trova citata come "ceramica-tipo Molfetta", tanto è tipica di quest'area - ma anche esemplari di ceramica in stile Serra d'Alto, assai posteriore e molto più evoluta della prima, bicroma e decorata, della quale oltre alla su citata coppetta oggi possiamo apprezzare anche altri frammenti di questo tipo. Confermati, inoltre, i già supposti contatti con Lipari, data la presenza di ossidiana. Quanto ai bisogni fondamentali, in corso di studio sono i cariossidi carbonizzati rinvenuti tutt'intorno, che permettono di risalire a quel che si mangiava intorno al V millennio a.C.: sembra che ci si cibasse di orzo e di farro, regolarmente prodotto, come ci si aspetterebbe del resto da quegli uomini che per primi intesero modificare la natura, ma senza appropriarsene, costruire un rapporto diverso con questa, ma senza turbare l'equilibrio delle identità. Poi arrivarono i Borboni e vollero strafare: ma, si sa, quello era il loro modo consueto di trattare le cose, un retaggio che forse ci portiamo ancora dietro. Tiziana Ragno
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