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Porto, clamoroso colpo di scena all'udienza in tribunale sulla presunta truffa da 150 milioni: i Pm rinunciano all'incidente probatorio, rinvio al 31 marzo
15 marzo 2014

Colpo di scena nell’inchiesta sulla presunta maxitruffa da 150 milioni di euro per i lavori di realizzazione del nuovo porto di Molfetta continua: i Pm della Procura di Trani hanno rinunciato all’incidente probatorio. In pratica con questo procedimento si acquisiscono le prove raccolte durante la fase istruttoria per poterle utilizzare durante il dibattimento in aula. In tal modo si congelano le prove raccolte nelle indagini preliminari. Si ricorre all’incidente probatorio se, ad esempio, c’è il rischio che un testimone possa essere minacciato durante il processo ordinario (e che quindi possa ritrattare), in tal modo la testimonianza viene acquisita prima che abbia inizio il processo e avrà validità di prova. Nel caso dell’inchiesta sul porto, con questa decisione a sorpresa (ovviamente non condivisa dagli avvocati difensori degli indagati) i Pm Antonio Savasta e Michele Ruggiero non hanno voluto cristallizzare con valore di prova l’inchiesta precedente. Il che significa che i magistrati ritengono necessario proseguire le indagini, essendo emerse altre prove forse più consistenti a carico degli indagati (fra cui l’ex sindaco e presidente della commissione Bilancio del Senato Antonio Azzollini ex Pdl oggi Ncd, e il consigliere regionale dello stesso partito Antonio Camporeale) e nuovi possibili capi di accusa e nuovi indagati. L’incidente probatorio aveva lo scopo di cristallizzare anche le dichiarazioni rese dai giudici da Carlo Parmigiani, fino al maggio 2012 direttore tecnico del cantiere della Cmc di Ravenna, la ditta appaltatrice dei lavori, del dirigente comunale ai lavori pubblici, responsabile del procedimento, Vincenzo Balducci (arrestato insieme al direttore del cantiere Giorgio Calderoni e poi scarcerati nel corso dell’inchiesta) e dall’ex vice sindaco, il repubblicano Pietro Uva. Alla richiesta della Procura si sono opposti i difensori dei 61 indagati, mentre il Gip Francesco Zecchillo si è riservato di decidere, rinviando l’udienza a lunedì 31 marzo e chiedendo ai Pm di produrre i nuovi elementi di prova che farebbero considerare superata l’indagine precedente. Intanto si attendono i risultati della perizia sul progetto di realizzazione del porto e in particolare su alcuni profili contrattualistici e amministrativi nella complessa procedura dell’appalto, perizia chiesta nel novembre scorso dagli stessi inquirenti e che vede impegnati i periti Francesco Musci, dirigente generale del ministero delle Infrastrutture e presidente delle opere pubbliche di Puglia e Basilicata e la dott.ssa Angela Filomena Fontanarosa. Uno sviluppo imprevisto che non esclude nuovi clamorosi colpi di scena in questa brutta pagina della storia amministrativa della città, per la realizzazione di un porto i cui lavori non sarebbero mai dovuti iniziare a causa della presenza di circa 100mila ordigni bellici nei fondali (dei quali ne sono stati rimossi finora solo la metà, il che richiede tempi ancora lunghi e cospicui finanziamenti, col rischio di lasciare l’opera marittima incompiuta). Ricordiamo alcuni particolari di questa vicenda che “Quindici” ha trattato ampiamente nelle sue inchieste. Le indagini furono avviate dopo una segnalazione del dirigente generale dell’Authority per la Vigilanza sui contratti pubblici, per presunte irregolarità relative all’appalto per l’ampliamento del porto commerciale marittimo di Molfetta. L’Authority era stata invitata a verificare la regolarità dell’appalto su denuncia della ‘Società Italiana per Condotte d’Acqua spa’ che ipotizzava una limitazione della concorrenza. La denuncia si basava sul fatto che in una clausola del bando di gara del Comune di Molfetta veniva imposto il possesso o la disponibilità di una ‘’draga stazionaria aspirante-refluente dotata di disgregatore, con potenza installata a bordo non inferiore ad Hp 2.500’’. L’Authority ritenne fondata la denuncia e dichiarò illegittimo il bando di gara, disponendo un nuovo monitoraggio sull’appalto. Questa verifica si concluse con la contestazione di molteplici irregolarità, poi sottoposte al vaglio della magistratura penale e contabile. Gli indagati – ex amministratori pubblici e imprenditori – sono accusati di associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali. Le indagini, coordinate dalla Procura di Trani (Pm Francesco Giannella, Antonio Savasta e Giuseppe Maralfa), hanno accertato che per la realizzazione della diga foranea e del nuovo porto commerciale di Molfetta è stato veicolato in favore del Comune, all’epoca dei fatti guidato da Antonio Azzollini, un ingente ‘fiume’ di danaro pubblico: oltre 147 milioni di euro, 82 milioni dei quali sino ad ora ottenuti dall’ ente comunale, a fronte di un’opera il cui costo iniziale era previsto in 72 milioni di euro. L’opera (appaltata nell’aprile del 2007 con consegna lavori nel marzo 2008) non solo non è stata finora realizzata a causa della presenza sul fondale antistante il porto di migliaia di ordigni bellici, ma non vi è neppure la possibilità che i lavori possano concludersi nei termini previsti dal contratto di appalto assegnato ad un’Ati composta da tre grandi aziende italiane: Cmc (capofila), Sidra e Impresa Cidonio. Secondo l’accusa, dal Comune di Molfetta, pur sapendo dal 2005 (circa due anni prima dell’affidamento dell’appalto) che i fondali interessati dai lavori erano impraticabili per la presenza degli ordigni, hanno attestato falsamente che l’area sottomarina erano accessibile. In questo modo si è consentita illegittimamente, secondo l’accusa, la sopravvivenza dell’appalto e l’arrivo di nuovi fondi pubblici, sono state fatte perizie di variante ed è stata stipulata nel febbraio 2010 una transazione da 7,8 milioni di euro con l’Ati appaltatrice.

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